Mettiti comodo, apri la fotocamera, sorridi… e preparati a sapere se morirai prima del previsto. No, non è un nuovo filtro di TikTok, è FaceAge, l’ultima creatura partorita dai cervelli (e server) del Mass General Brigham. Un algoritmo che guarda una tua semplice selfie e ti sussurra all’orecchio non solo quanti anni sembri, ma quanti te ne restano. Spoiler: spesso meno di quanto pensi.

Non è fantascienza, è biologia computazionale servita con un bel contorno di machine learning. L’idea è elegante quanto brutale: il tuo volto non racconta solo l’età anagrafica, ma quella biologica. Cioè: quanto stai invecchiando davvero, dentro le tue cellule, i tuoi mitocondri, i tuoi telomeri stanchi. E già che ci siamo, dice anche se risponderai bene a un trattamento oncologico, o se faresti meglio a iniziare a sistemare le questioni in sospeso.

FaceAge è stato addestrato con metodo chirurgico. Hanno buttato dentro le foto di 6.196 pazienti oncologici prima della radioterapia. Niente ritratti artistici, solo facce normali. Poi l’hanno testato con altri 100 pazienti in cure palliative, confrontandolo con le previsioni di 10 medici umani. Risultato? L’algoritmo ha umiliato gli oncologi. Come una partita di scacchi tra Kasparov e una calcolatrice impazzita.

Il dato più tossico: i pazienti sembravano biologicamente 5 anni più vecchi della loro età reale. Quelli con un “FaceAge” più alto? Tasso di sopravvivenza peggiore. Puntualmente. Senza sbavature. Una precisione chirurgica, inquietante. I medici, senza il supporto dell’algoritmo, andavano a intuito. Indovinavano un po’ meglio del caso. Ma bastava infilare nel loro processo decisionale il numero di FaceAge, e puff, improvvisamente diventavano più competenti.

Chiamiamola intelligenza aumentata, se vogliamo essere gentili. Oppure: resa incondizionata della medicina umana a quella computazionale, se vogliamo essere onesti.

E adesso immagina il futuro: vai dal medico, non ti prende più la pressione, non ti ascolta col fonendoscopio. Ti fa una foto. La passa al software. “Mi dispiace, signor Rossi. Lei ha una faccia da morto precoce. Ma guardi il lato positivo: almeno lo sappiamo per tempo.”

FaceAge, oltre a farci rivalutare l’effetto delle notti brave sul nostro invecchiamento, apre a scenari molto più seri. Per esempio: la medicina personalizzata potrebbe smettere di basarsi sulle anamnesi, sui questionari, sulle stime grossolane. E iniziare a usare ciò che già abbiamo, costantemente: i volti. Selfie, telecamere, videocall, badge aziendali. Una miniera di dati biometrici, oggi completamente sprecata.

Ma c’è anche l’altro lato della medaglia. Quello distopico. Immagina le assicurazioni sanitarie che ti valutano dal tuo volto. “Ci dispiace, lei ha una FaceAge di 63, ma ne ha 45. Premio maggiorato.” Oppure i recruiter: “Il candidato sembrava energico, ma l’algoritmo l’ha dato per stanco biologico, quindi avanti un altro.”

Aggiungici una spruzzata di bias algoritmico, che sappiamo benissimo esistere. E ti ritrovi con uno strumento potentissimo in grado di escludere, profilare, discriminare, tutto basandosi su un’apparenza statistica spacciata per verità scientifica.

Ovviamente i ricercatori mettono le mani avanti. Dicono che FaceAge non deve sostituire il giudizio medico, ma affiancarlo. Frase classica, come quando ti dicono che l’auto a guida autonoma ha ancora bisogno del tuo volante. Poi però l’algoritmo frena da solo, sterza da solo, e tu sei lì a tenere le mani sul volante come un manichino da showroom.

Il bello (o il tragico) è che il volto umano è già uno dei più potenti indicatori di salute. Basta guardare una persona per capire se è stanca, depressa, malata. Lo facciamo da millenni. Ma FaceAge va oltre, scava sotto l’epidermide, decodifica pattern invisibili, stima il tuo stato mitocondriale senza nemmeno un prelievo. Una specie di oracolo digitale che non legge il futuro nei fondi di caffè, ma nelle occhiaie e nella tensione dei muscoli facciali.

E se pensavi di cavartela con un po’ di botox, dimenticalo. FaceAge non guarda la superficie, ma il declino sistemico. La verità biologica è più profonda della chirurgia estetica.

C’è qualcosa di straordinariamente cinico ma affascinante in tutto questo. L’idea che una semplice fotografia, uno scatto da smartphone, possa contenere tutta la storia del tuo corpo, i tuoi errori, le tue notti insonni, i tuoi traumi, persino le tue cellule tumorali che già non collaborano. Come se ogni selfie fosse un ECG esistenziale, una radiografia silenziosa, un verdetto incapsulato in 12 megapixel.

E noi che pensavamo che l’unico rischio delle foto frontali fosse avere il doppio mento.

La verità? FaceAge è un’arma a doppio taglio. Da un lato, potrebbe migliorare diagnosi, prognosi, trattamenti. Dall’altro, potrebbe essere l’ennesimo strumento di controllo bio-tecnocratico, dove la tua faccia diventa un passaporto di vita o di morte, di copertura o di esclusione, di terapia o di abbandono.

Ma ehi, sorridi comunque. Tanto l’AI lo sa se è un sorriso sincero.