Benvenuti nel nuovo circo dell’intelligenza artificiale, dove i numeri sono sempre a dodici zeri, le promesse galleggiano sopra le nuvole, e i capitali reali… quelli si fanno attendere. SoftBank, che già da anni gioca a Risiko con le startup globali, aveva annunciato con enfasi quasi hollywoodiana un investimento da 100 miliardi di dollari per costruire infrastrutture AI negli Stati Uniti. Un piano epocale. Poi è arrivato il “solito imprevisto”: Donald Trump, e le sue tariffe stile Medioevo 4.0.

L’ambizioso progetto, battezzato con il nome Stargate (già qui capisci che c’è qualcosa di troppo epico per essere vero), avrebbe dovuto diventare la spina dorsale dell’intelligenza artificiale made in USA, in un’alleanza che suona come una barzelletta: SoftBank, OpenAI e… Oracle. Come mettere insieme un casinò giapponese, un laboratorio nerd e un mainframe del 1998.

Eppure, a gennaio 2025, era tutto rose e algoritmi: Trump lancia il piano Stargate, dichiara guerra all’egemonia cinese sull’AI e promette il Rinascimento Siliconico d’America. SoftBank si fa avanti come cavaliere bianco (o grigio), e inizia i colloqui con istituti finanziari, asset manager, pension fund, e assicurazioni per mettere insieme il malloppo. Ma qualcosa non torna: dopo mesi di “preliminary talks”, nulla è stato firmato. Nulla.

A bloccare l’idillio? Le tariffe di Trump. Quelle che dovevano “proteggere l’economia americana” stanno rendendo il costo del capitale più alto, i margini più stretti e i nervi dei banchieri più tesi di una corda di violino. Aggiungici una volatilità economica globale che si legge nei bond come nei tweet, e l’inflazione dei data center diventa più reale di quella degli zuccheri.

E non è finita. La concorrenza non dorme. Mentre SoftBank e soci mettono in scena la grande opera infrastrutturale, là fuori iniziano a spuntare modelli AI cheap but smart come DeepSeek, che costano meno, funzionano bene, e fanno sorgere una domanda scomoda: ha senso investire miliardi in un’infrastruttura per un’AI che fra sei mesi sarà obsoleta?

Il mercato, al momento, sembra rispondere con un silenzio assordante. SoftBank continua a bussare alle porte delle banche e dei fondi, proponendo un meccanismo di finanziamento vecchio stile: equity ridotta all’osso (10-20%, tanto per dare la parvenza di skin in the game) e montagne di debito, tra mezzanine bonds e prestiti senior. Un modello già visto nel cinema delle SPAC, che oggi assomiglia più a un B-movie.

Ma qui non si tratta solo di soldi. Si tratta di narrativa. Di storytelling economico. Stargate doveva essere l’emblema della rinascita americana nell’AI. Una struttura da mezzo trilione di dollari, distribuita su quattro anni, con l’obiettivo dichiarato di creare la più grande rete neurale infrastrutturale del mondo libero. Ora sembra più una sceneggiatura interrotta da uno sciopero degli sceneggiatori. E da uno sciopero dei prestiti.

Il problema non è solo tecnico o finanziario. È sistemico. I progetti come Stargate sono troppo grandi per fallire… ma anche troppo costosi per iniziare. Servono fondi giganteschi in un’epoca in cui il denaro ha smesso di essere facile. Servono partnership solide in un momento in cui tutti guardano al proprio bilancio trimestrale. E servono scelte di lungo periodo in un contesto politico dove il lungo termine è la prossima elezione.

E poi c’è un altro tema, il più sottile e il più pericoloso: la disillusione. Dopo il boom AI del 2023-2024, l’euforia si è trasformata in aspettativa. E l’aspettativa in pressione. Se OpenAI, Oracle e SoftBank non riescono a consegnare risultati reali, scalabili, e profittevoli, la festa finisce. Gli investitori non vogliono più slide, vogliono ROIC. E, per ora, i numeri non ci sono.

Una curiosità che sembra uscita da una chiacchierata al bar: in mezzo a questi giochi da 100 miliardi, le stesse aziende che progettano super-cervelli artificiali stanno tagliando i benefit per i dipendenti, riducendo spazi ufficio e vendendo immobili per fare cassa. Intelligenza artificiale, ma con contabilità umanissima.

La parola d’ordine del momento, anche tra i grandi nomi della Silicon Valley e Tokyo, è “attendismo”. Il capitale c’è, ma sta fermo. Gli investitori guardano, valutano, si confrontano. E aspettano che qualcuno si prenda il rischio di essere il primo a saltare. SoftBank ha già saltato troppe volte. E non sempre in piedi.

La keyword qui è intelligenza artificiale infrastrutturale, ma le secondarie — e non meno importanti — sono finanziamento AI e geopolitica del debito. Il tutto immerso in un contesto in cui l’economia reale e quella virtuale si stanno sfiorando pericolosamente. Il progetto Stargate è ancora vivo. Ma più che una porta verso le stelle, oggi sembra un portone arrugginito da oliare con tanto debito e poca visione.

Nel frattempo, DeepSeek e altri fratellini minori continuano a correre. Veloci, leggeri, scalabili. Mentre SoftBank e i suoi partner sono bloccati nel limbo del “to be confirmed”. Silicon Valley docet: chi parte per ultimo, spesso arriva quando il gioco è già finito.