Sono stato nell R&D per decenni, dopo i grandi successi dei modelli open source cinesi mi ero fatto una idea romantica e magari un po’ utopica sul sistema cinese. Poi ho conosciuto Lin 林 al Bar dei Daini, giovane ricercatrice, “maker” esperta di tecnologia che mi ha detto il suo punto di vista.
I nativi di Shenzhen sono pochi. Lin, nata e cresciuta qui, ha un legame unico con questa città in continua trasformazione. Milioni di persone arrivano dalle province per visitare questo centro tecnologico, che da piccolo villaggio è diventato uno dei principali poli di ricerca in Cina. Shenzhen è cruciale per una Cina che aspira a superare gli Stati Uniti nell’innovazione tecnologica, e Lin è un volto simbolo di questa Cina proiettata al futuro, anche in Occidente.
Nel cuore dell’apparato accademico cinese, oggi, si respira un paradosso surreale. Mentre il Paese investe cifre astronomiche nella ricerca oltre 3,6 trilioni di yuan nel 2024 la possibilità concreta di innovare si sta assottigliando dietro una cortina di burocrazia, conformismo e premi autoreferenziali. L’intelligenza artificiale, teoricamente pilastro del primato tecnologico nazionale, è diventata un campo minato dove la creatività viene soppesata a colpi di titoli, pubblicazioni e connessioni personali.
Il sistema è costruito per punire il pensiero originale. Il tempo necessario per esplorare strade non battute, spesso privo di risultati immediati, è considerato un lusso. Meglio allinearsi con il trend del momento large language models, ovviamente e sfornare articoli su articoli, possibilmente pubblicati su riviste con fattori d’impatto bulimici e citazioni a cascata. Perché è lì che si gioca la vera partita: quella dei finanziamenti, mi ricorda tanto John McCarthy nel 1955…
Il meccanismo di selezione dei talenti è marcio nella radice. Un sistema che valuta i ricercatori in base a parametri quantitativi numero di paper, titoli accademici, premi ricevuti è un sistema che genera follower, non leader. La cosiddetta “campagna contro le quattro sole o quattro flagelli” “breaking the four-onlys” lanciata nel 2018 aveva promesso di ribaltare questo paradigma. Ma, come ogni rivoluzione annunciata in Cina, anche questa è rimasta appesa a una circolare.
Le istituzioni continuano a premiare chi ha già visibilità, consolidando l’accesso alle risorse verso una ristretta élite accademica. Le reti relazionali contano più delle idee. La reputazione è l’unica moneta accettata. E così, chi tenta di proporre un progetto fuori dal coro si ritrova spesso escluso dai grandi grant, costretto a elemosinare fondi minori, spesso condizionati a obiettivi ridicoli nel breve termine. Come pretendere di costruire un razzo a lunga gittata con i pezzi avanzati di un aquilone.
L’ambiente accademico è saturo di doveri paralleli: gestione di studenti, progetti imposti dall’alto, obblighi amministrativi. Il tempo dedicato alla ricerca quella vera, quella che scava si riduce a una frazione marginale. E intanto, chi decide le carriere si affida ancora a logiche arcaiche, dove i titoli onorifici contano più delle scoperte, e il valore di un’idea si misura dal timbro sulla copertina del journal.
Le università di punta, in particolare nell’est della Cina, sono diventate fabbriche di consenso più che fucine di innovazione. Un giovane docente senza “brand” alle spalle ha meno possibilità di ottenere fondi rispetto a un accademico senior con qualche medaglia d’oro appesa al curriculum, anche se privo di qualsiasi idea concreta. Non è un errore di sistema. È il sistema.
La disparità salariale tra le nuove leve e i baroni accademici ha raggiunto livelli imbarazzanti: oltre 300.000 yuan l’anno di differenza media. Ma il problema non è solo economico. È motivazionale. Perché investire in una carriera di ricerca, quando il ritorno personale è vincolato all’aderenza a uno standard uniformato e sterile?
In un mondo dove la Cina dichiara guerra agli Stati Uniti sul fronte dell’high-tech, la vera battaglia si consuma sul terreno invisibile del talento. Mentre i laboratori cercano di superare le GPU di Nvidia o replicare ChatGPT, il capitale umano rischia di andare in default, soffocato da metriche che premiano la superficialità mascherata da rigore.
Lo si è visto chiaramente nel caso DeepSeek, che ha sfondato grazie ai profitti generati dal trading quantistico, bypassando completamente il circuito di finanziamento statale. Un’anomalia che, invece di stimolare repliche, ha reso ancora più evidente l’impossibilità di innovare all’interno delle regole attuali. Perché? Perché l’innovazione vera richiede pazienza, rischio, fallimento. E il sistema cinese non tollera nulla di tutto ciò.
Il culto della “sicurezza professionale” – incarnato nel mito del posto pubblico, l’“iron rice bowl” è tornato in auge con la crisi economica e l’incertezza globale. Ma quella stabilità, in ambito scientifico, è tossica. Se ogni passo è calcolato per non compromettere il proprio rating accademico, l’unico risultato sarà una scienza prevedibile, priva di qualsiasi ambizione trasformativa.
Serve un’inversione culturale. Un’architettura di finanziamento diversificata, che includa capitali pazienti, disposti a sostenere progetti high-risk/high-reward, anche senza ritorni immediati. Serve una riforma della valutazione del personale che premi chi conclude progetti strategici e produce impatti reali, non chi sa incasellare parole chiave nei bandi ministeriali.
E serve una rivoluzione sociale. Dove sbagliare non significhi essere espulsi dal sistema. Dove un ricercatore possa dedicarsi per cinque anni a un’idea folle senza dover pensare a come pagare l’affitto. Dove l’innovazione sia parte integrante della vita quotidiana, non una cerimonia di Stato riservata a pochi eletti in giacca e distintivo.
Oggi, la Cina può anche vincere qualche battaglia di marketing nel mondo dell’AI. Ma senza una mutazione genetica della propria cultura scientifica, rischia di costruire un colosso con piedi d’argilla. Perché, come dicono nei bar di Shanghai quando si parla di ricerca: “Se la tua idea è troppo originale, vuol dire che nessuno ti finanzierà. Se invece ti finanziano, allora non era originale”. Ecco, se questo è l’ecosistema, l’unico deep learning che serve è quello sulla struttura del potere.
Non abbiamo scamp e il mio calice di CUSUMANO è diventato irrimediabilmente caldo.