Se pensavi che la geopolitica del silicio si giocasse solo a colpi di fabbriche taiwanesi, è il momento di aggiornare il firmware. Otto parlamentari americani, bipartisan per finta ma bellicosi per davvero, hanno introdotto alla Camera USA il Chip Security Act, un gioiellino legislativo che impone ai produttori di chip AI – sì, Nvidia in primis – di integrare meccanismi di tracciamento geografico direttamente nei loro chip prima di spedirli all’estero.
La parola chiave è controllo. Quelle secondarie? esportazione e Nvidia. E intorno a queste orbita un intero universo di paranoia americana, di interessi industriali spacciati per valori democratici, e di lotta per la supremazia computazionale che oggi ha un solo nome: Intelligenza Artificiale.
I chip non sono più solo hardware, sono armi. E chi li possiede controlla il futuro.
Ma facciamo un passo indietro, o forse in avanti, perché in questa storia tempo e logica non seguono sempre un ordine lineare. La legge arriva dopo mesi di reportage imbarazzanti che hanno documentato come, nonostante il blocco imposto da Washington, le GPU americane di fascia alta – quelle benedette H100, A100, e compagnia cantante – siano finite comunque in data center cinesi come se niente fosse. Smistate attraverso Hong Kong, o addirittura riconvertite via cloud, passando per paesi “grigi” come gli Emirati Arabi o Singapore. La globalizzazione, quella vera, funziona meglio dei dazi.
Ora gli Stati Uniti vogliono “verificare” il dove, non solo il chi e il quanto. Inserire nei chip tecnologie di geofencing, tracciamento integrato e verifica post-spedizione. A metà fra il DRM e la cavigliera elettronica. Hai presente quando Netflix ti blocca il catalogo se usi una VPN? Ecco, ma con un acceleratore tensoriale da 40.000 dollari.
In mezzo a questa distopia geolocalizzata, il Congresso finge di parlare di sicurezza nazionale, ma dietro l’operazione c’è il solito mix di lobby tech, guerra commerciale e la paura tutta americana di perdere il controllo sul nuovo petrolio del XXI secolo: i dati e la capacità di processarli.
Bill Huizenga, repubblicano del Michigan con la retorica da West Point e i capelli da Wall Street, dice che “dobbiamo garantire che questi chip non finiscano nelle mani sbagliate”. Le mani sbagliate, ovviamente, sono tutte quelle che non pagano le royalties a Nvidia o che non giocano secondo le regole scritte da Washington. Come se l’intelligenza artificiale fosse una questione morale e non un mercato da trilioni di dollari. Spoiler: è entrambe, ma la seconda è più vera.
A complicare il quadro ci si mette anche il “plot twist” interno. Perché mentre Biden aveva introdotto una norma globale per regolare l’export di chip AI, è stata proprio l’amministrazione Trump – sì, quella del build-that-wall – a cancellarla. Cancellata e poi sostituita da… nulla. Vuoto normativo, mentre lo stesso Trump annuncia in Medio Oriente nuove forniture di chip, con tanto di fanfara, droni di contorno e stretta di mano con leader locali che di democrazia sanno quanto un Roomba.
Nel frattempo, il CEO di Nvidia, Jensen Huang, sorride diplomatico a Pechino dichiarando che “la Cina è un mercato chiave”. Tradotto: i nostri azionisti vogliono vendere ovunque, anche al diavolo, purché paghi in dollari o yuan. La geopolitica degli affari ha sempre la faccia dell’agnello, ma gli artigli della volpe.
Foster, co-firmatario democratico e fisico di formazione, ci mette anche la sua nota nerd: “So che abbiamo gli strumenti tecnici per evitare che la tecnologia AI finisca nelle mani sbagliate”. Certo. Come no. Peccato che la catena di fornitura globale sia illeggibile anche per uno che ha progettato chip al Fermilab. La differenza tra teoria e pratica è che la seconda funziona anche senza approvazione congressuale.
La verità? Non esiste un vero modo per fermare la diffusione dei chip AI. Puoi rallentarla, complicarla, tracciarla. Ma quando ogni acceleratore diventa software-defined, ogni cloud offre accesso a modelli su GPU condivise, e ogni università del pianeta ha studenti pronti a compilare un transformer open source, pensare che basti un chip col GPS è da ingenui. O da politici in cerca di like.
Curiosità da bar: il 30% dei chip Nvidia venduti nel 2023 in Asia non ha mai passato un controllo doganale ufficiale. Coincidenze? Difficile crederlo. Più facile immaginare che qualcuno, da qualche parte, stia comprando GPU all’ingrosso come se fossero tonno sott’olio. E in fondo, anche quello serve energia per essere prodotto.
Il Chip Security Act, insomma, è il classico cerotto su una ferita che continua a sanguinare, ma che nessuno vuole davvero curare. Perché curarla significherebbe ridisegnare da zero la logica dell’export tecnologico, accettare che la supremazia non è eterna, e soprattutto dire a Nvidia che forse non potrà più vendere ovunque a chiunque. E Nvidia, da brava regina del ballo, non ci sta. Non ora che la festa dell’AI è appena cominciata.
E mentre a Washington discutono di “chip verification tech” e “security wrappers”, a Shenzhen già stanno clonando il modello. Forse non è perfetto, ma è “good enough” per addestrare un LLM che ti convince che l’originale americano era sopravvalutato.
E allora eccoci qui, nella nuova guerra fredda delle GPU, dove i chip non si fondono più solo a 85°C, ma anche sotto il calore incrociato di diplomazia, ipocrisia e calcolo strategico.
Scrolla pure. La prossima generazione di chip non avrà solo transistor. Avrà anche un passaporto.