“Low-key preview”. Come dire: non vogliamo fare rumore, ma intanto stiamo riscrivendo le regole del gioco. Ancora una volta. L’ultima trovata di OpenAI si chiama Codex, un agente AI dedicato alla programmazione che promette di essere il coltellino svizzero degli sviluppatori e forse, il becchino di chi ancora scrive codice a mano.

Sam Altman, CEO ormai maestro nella manipolazione dell’attenzione pubblica, ha sussurrato l’annuncio su X come fosse una notizia da bar: “un’altra low-key research preview”. Cioè, una cosa da nulla. Come ChatGPT all’inizio. Ecco appunto.

Non fatevi ingannare dal tono understatement. Ogni volta che OpenAI usa quella formula, è come sentire un venditore d’armi dire “non è niente, solo un giocattolo”.

Codex è un agente. Non un modello. Non un’interfaccia. Un agente.

La differenza semantica è fondamentale. Stiamo parlando di un’entità attiva, che capisce lo scopo, interagisce con l’ambiente (l’IDE, il terminale, il web?), scrive codice, lo testa, lo corregge e lo esegue. Magari anche lo committa su GitHub. Il tutto con un livello di autonomia sempre più spinto. Altro che assistente vocale. Questo è Jarvis col senso pratico del DevOps.

L’anteprima dimostrativa mostrata da OpenAI — al momento ancora senza release pubblica, come da prassi da culto segreto — evidenzia proprio questa traiettoria: Codex riceve istruzioni in linguaggio naturale, esegue task complessi, naviga strutture software reali, tiene in conto contesto e dipendenze. Non è più una questione di autocompletamento smart. È decision making algoritmico sulla base di obiettivi, constraints, risorse.

Ironia della sorte: siamo passati dal copilot al comandante, senza nemmeno rendersi conto del momento esatto in cui abbiamo mollato il timone.

L’effetto scroll magnetico è già scattato online: chi ha visto la demo si divide tra entusiasmo e panico. Gli ingegneri software — quelli veri — stanno già riconsiderando il concetto stesso di “developer productivity”. Un codice scritto da Codex non è più solo una bozza: è codice operativo. Deployabile.

E allora la vera domanda diventa: a cosa serve uno sviluppatore?

Attenzione: non sto dicendo che Codex eliminerà il lavoro umano. Ma il ruolo cambia. Se prima si era artigiani del codice, adesso si rischia di diventare revisori di pull request generate da un’entità non-umana. Di nuovo, la metafora della fabbrica: l’operaio si trasforma in supervisore, ma il controllo scivola verso l’automazione.

Per chi lavora in ambito CTO, è tempo di decisioni strategiche. Se Codex mantiene le promesse, ogni ciclo di sviluppo può ridursi drasticamente. Le startup potranno costruire MVP funzionali in pochi giorni. Le aziende legacy, zavorrate da processi lenti e budget fuori scala, diventeranno bersagli mobili.

Il coding agent cambia le logiche di costo, di velocità, di go-to-market. Non è hype. È un cigno nero software-driven.

A margine, un altro dettaglio interessante (e inquietante): Codex è presentato ancora come research preview. Non prodotto. Non API pubblica. Non platform. È lo stesso schema narrativo di GPT-3, poi di ChatGPT. Prima il saggio, poi l’assuefazione, poi l’invasione. La fase “preview” serve solo a disattivare le difese cognitive del pubblico.

E intanto, dietro il sipario, OpenAI costruisce il futuro del lavoro senza chiedere il permesso a nessuno.

Codex arriva nel momento giusto, nella congiuntura perfetta: scarsità di sviluppatori qualificati, mercato affamato di automazione, e una community ormai educata a parlare con i modelli linguistici. Non deve più convincere nessuno. Deve solo funzionare. E pare che lo faccia.

Siamo nel cuore del paradosso dell’innovazione: più il software diventa intelligente, più ci ridimensiona. Più ci rende efficienti, più ci marginalizza. “Scrivi un backend che gestisca questa API REST con autenticazione JWT e logging strutturato”, e Codex lo fa in 20 secondi. Senza stancarsi. Senza sbagliare. Senza negoziare lo stipendio.

Certo, c’è ancora chi dice che Codex ha limiti. Che non sa pensare in termini architetturali, che sbaglia in modo elegante ma letale, che serve sempre supervisione. Ma sono esattamente le stesse critiche che si facevano a ChatGPT due anni fa. Oggi, ChatGPT è dentro le scuole, le aziende, le redazioni. Anche dove non dovrebbe.

La realtà è che Codex rappresenta un punto di svolta nella gerarchia tra uomo e macchina. Non è più una domanda di “cosa può fare l’AI?”, ma “quale parte della tua professione è ancora tua?”.

Uno sviluppatore senior potrebbe ancora dirigere l’orchestra. Ma se la musica la suona tutta Codex, quanto tempo passerà prima che anche il direttore venga sostituito da uno script?

Nel frattempo, Altman ride. Con quell’aria da filosofo-angelo della disintermediazione umana.

Il futuro sarà low-key solo per chi non sa leggere le righe di codice. Quelle che Codex, adesso, scrive da solo.