Simone Aliprandi Avvocato Docente e Autore ha appena pubblicato: L’AUTORE ARTIFICIALE 2 Creatività e proprietà intellettuale nell’era dell’AI

Lo abbiamo trovato molto interessante per fare chiarezza con un giurista sul tema Creatività e proprietà intellettuale nell’era dell’AI
C’è un enorme equivoco nell’aria, talmente denso da potersi tagliare col coltello. L’idea che l’intelligenza artificiale copi contenuti, immagini o testi da qualche database invisibile, come se fosse una specie di ladro digitale travestito da genio creativo, è tanto diffusa quanto sbagliata. È una bugia comoda, rassicurante, che riduce l’incomprensibile a qualcosa di gestibile: sta solo copiando. Ma non è così. Non funziona così. Non ha mai funzionato così.
Partiamo dal parallelo che mette più a disagio chi vive ancora nel culto di Google: l’indicizzazione dei contenuti. Quando Google legge una pagina web, la studia, la analizza, la seziona come un medico legale col bisturi. Non se ne fa una copia integrale per rivenderla, non crea un duplicato carbonaro da distribuire in qualche mercato nero del traffico organico. La guarda, ne estrae segnali, crea collegamenti semantici, la cataloga. Se sei bravo, ti indicizza bene. Se sei furbo, ti penalizza.
L’intelligenza artificiale quella generativa, quella che oggi scatena crisi isteriche nei board legali delle major fa una cosa sorprendentemente simile. Studia miliardi di esempi. Li legge, sì, ma non li archivia come un ladro. Li disintegra, li trasforma in proiezioni matematiche, in distribuzioni di probabilità. Non “ricorda” il gatto tigrato con gli occhi gialli della tua gallery di Shutterstock. Ha imparato come si disegna un gatto tigrato con gli occhi gialli, e quando glielo chiedi, ti dà la sua versione originale, basata su quella statistica neurale invisibile che simula l’intuito umano. È arte probabilistica, non furto d’autore.
Il vero cortocircuito mentale nasce quando cerchiamo di giudicare il comportamento di una macchina con le lenti della creatività umana. Ma se un disegnatore in carne e ossa fa un ritratto ispirandosi a mille volti visti in vita sua, stiamo forse dicendo che li ha copiati tutti? Se uno scrittore crea un romanzo dopo aver letto Dostoevskij, Kafka e Houellebecq, vogliamo davvero accusarlo di plagio cosmico?
Curiosità da bar, ma illuminante: Picasso una volta disse “i bravi artisti copiano, i grandi rubano”. Oggi, probabilmente, direbbe che i grandi addestrano modelli di diffusione.
Il nodo, casomai, è il prompt. Lì si gioca tutto. Se l’input che dai al sistema è una richiesta pedissequa di replicare qualcosa esistente, sei tu che stai forzando il sistema a fare plagio, non lui che lo fa spontaneamente. ChatGPT, Midjourney, DALL·E: questi strumenti hanno delle policy ferree che cercano di evitare proprio questo tipo di abuso. Ti stoppano, ti dicono “no grazie”, ti ricordano che l’uso dev’essere creativo, originale, non derivativo. Ma se insisti, e trovi il modo per aggirare i filtri, il problema non è l’IA. Il problema sei tu.
In fondo è sempre stato così: gli strumenti sono neutri, è l’intenzionalità dell’uso che cambia il gioco. Un martello può costruire una casa o sfondare un cranio, ma non è il martello il colpevole.
E torniamo alla questione centrale: non esiste, in un sistema generativo ben addestrato, un database di immagini o testi che venga fatto a pezzi e ricombinato come un collage da liceo artistico. Quella è una metafora rozza, utile solo a chi vuole vincere cause legali su basi retoriche. La verità tecnica è che stiamo parlando di modelli statistici profondi, in grado di emulare il processo creativo umano in base alla probabilità che una certa parola, un certo pixel, un certo concetto appaia in un determinato contesto.
È come avere uno scrittore con amnesia selettiva che, pur non ricordando nulla di ciò che ha letto, ha interiorizzato ogni meccanismo di stile, struttura, tono. Gli chiedi una poesia? Te la scrive. Non ti piace? Cambia metrica. Vuoi un tono più cupo? Te lo adatta. Ma non troverai mai i versi originali di Rimbaud infilati di straforo. Perché non c’erano nella sua testa. C’erano solo le probabilità di come scrivere “alla Rimbaud”.
La cosa che infastidisce, ammettiamolo, è che ora questa cosa la sa fare una macchina. L’ego umano non lo tollera. “Se non copia, allora è davvero creativa? Ma allora cosa resta di noi?” Resta la differenza, sottile ma profonda, tra il sapere e il capire. L’IA oggi sa scrivere, disegnare, comporre. Ma non sa perché lo fa. Tu sì. E per ora, è l’unica cosa che ti salva dalla sostituzione definitiva.
Il punto non è se l’IA copia. Il punto è che non ne ha bisogno. Perché ha imparato a generare e quando una cosa sa generare, non ha bisogno di rubare. Ha solo bisogno di te, che le dici cosa fare. E a quel punto, se viene fuori una schifezza, o un plagio involontario, beh… forse è ora di guardarsi allo specchio.
Buona lettura!