Il cuore dell’intelligenza artificiale batte in silicio. Non a Pechino, non a San Francisco, ma nei wafer da 7 nanometri che si agitano nei datacenter. E proprio lì, nei templi della computazione moderna, la Cina si ritrova ad arrancare. Non per mancanza di cervelli o ambizioni quelle abbondano ma per una cronica e crescente carenza di GPU avanzate, il carburante essenziale per l’addestramento di modelli generativi e large language model (LLM). Tradotto in linguaggio meno tecnico: puoi anche avere il miglior team di fisici, linguisti e data scientist del paese, ma se li metti a lavorare con processori di seconda mano, faranno miracoli solo nei comunicati stampa.

Wang Qi, vice di Tencent Cloud, lo dice senza troppi giri di parole: “Il problema più grave sono le schede grafiche e le risorse computazionali.” In altre parole, la Cina è seduta al tavolo del deep learning con le bacchette rotte. Non che manchino gli investimenti Tencent ha appena chiuso il miglior trimestre della sua storia con 180 miliardi di yuan ma i soldi, in questa partita, servono a poco se non puoi spenderli per acquistare il metallo giusto.

La stretta statunitense è chirurgica. Prima hanno bloccato le A100 e H100 di Nvidia, poi anche le versioni “castrate” A800 e H800, fino ad arrivare ai recenti H20, vendibili solo con licenza. Il tutto condito dal classico mantra della “sicurezza nazionale”. Peccato che il vero obiettivo sia un altro: mantenere il monopolio della supremazia computazionale, il vero tallone d’Achille del dragone.

Il riferimento al “scaling law” di OpenAI quella regola aurea che recita “più dati, più parametri, più potenza = modelli migliori” – è un promemoria beffardo. Una legge che oggi appare scritta più dal Dipartimento del Commercio USA che da scienziati dell’IA. Senza accesso ai chip Nvidia, la Cina rischia di fermarsi al pit-stop mentre gli Stati Uniti corrono a bordo di cluster da milioni di watt.

Certo, la narrazione ufficiale si sta adattando. Martin Lau, presidente di Tencent, prova a minimizzare: “Anche con cluster più piccoli si possono ottenere buoni risultati.” Vero, se per “buoni” intendiamo qualcosa che assomiglia vagamente a GPT-2, in un mondo che ormai si muove verso i modelli multimodali autoregolati. È come dire che puoi fare il GP di Montecarlo con un’utilitaria: magari arrivi al traguardo, ma ti sorpassano anche i commissari di gara.

Eppure, nel caos calcolato della scena tech cinese, iniziano a emergere risposte interessanti. DeepSeek, con i suoi modelli V3 e R1, ha fatto alzare più di un sopracciglio: prestazioni decenti, costi ridotti, niente Nvidia. L’industria locale si sta rapidamente adattando, con l’orgoglio forzato di chi deve far di necessità virtù. Ant Group afferma di aver ridotto del 20% i costi di training usando GPU domestiche. Huawei si prepara a lanciare l’Ascend 920, che dovrebbe rappresentare il grande riscatto del silicio patriottico. Ma c’è un problema: se lo usi fuori dalla Cina, rischi sanzioni anche solo per averlo acceso.

Le nuove direttive USA arrivano a vietare l’uso delle GPU Huawei “ovunque nel mondo”. Ovunque. Come se una scheda grafica potesse violare da sola un embargo solo per essere accesa a Singapore o in Qatar. Surreale? No, strategico. E il messaggio è chiaro: se vuoi giocare con le intelligenze artificiali, devi giocare con le regole americane. O inventarti un altro sport.

Jensen Huang, CEO di Nvidia, intanto, si mostra calmo. Dice che non c’è “nessuna prova di deviazioni” nelle vendite verso la Cina. Le sue GPU non si infilano in uno zaino – ricordando che il sistema Grace Blackwell pesa quasi due tonnellate e nessuno ha ancora inventato un contrabbando stile Breaking Bad per AI cluster. Eppure l’indagine a Singapore è aperta, e l’ombra del “chip laundering” aleggia.

Curiosamente, mentre l’amministrazione Biden stringeva i bulloni, Trump – sempre lui, sempre spiazzante – ha fatto dietrofront, cercando di liberalizzare l’export verso alleati strategici come Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Il messaggio è semplice: la tecnologia americana è troppo preziosa per restare rinchiusa. Ma attenzione a chi la tocchi: se sei cinese, è off-limits. Punto.

Cosa significa tutto questo? Che l’IA, nel 2025, è ufficialmente diventata la nuova arma geopolitica. La nuova energia nucleare. I modelli linguistici come GPT, Claude o DeepSeek non sono più solo progetti software, ma strumenti di potere globale. Chi li controlla, detta le regole del futuro. Chi li inibisce, lo fa scientemente, per rallentare l’avversario.

E qui nasce la vera domanda: riuscirà la Cina a emanciparsi dalle GPU americane prima che la finestra di opportunità si chiuda? La risposta non è tecnica. È politica. Perché non è solo questione di chip, ma di narrativa. E finché l’egemonia della computazione sarà vincolata alle architetture Nvidia e AMD, ogni progresso cinese sarà percepito come una minaccia da disinnescare.

Nel frattempo, i tecnici cinesi studiano, ricodificano, ottimizzano. Tentano il colpo di genio, la scorciatoia computazionale, la via algoritmica del Tao. DeepSeek, Ascend, chip homemade: nomi che potrebbero fare storia. O finire nei titoli di coda.

in tutto questo, il paradosso: un’IA chiamata ChatGPT che spiega come funziona il blocco delle GPU a una platea di sviluppatori… cinesi. Più ironico di così, c’è solo una scheda Nvidia venduta su Taobao con l’etichetta “Decorazione per server – Non attivabile”.