In un’epoca in cui i bit valgono più dei bulloni e la scienza ha il ritmo di un algoritmo, Giorgio Parisi Nobel, cervello fino e ancora uno dei pochi umani non clonabili da un LLM lancia un grido d’allarme (o meglio: una provocazione travestita da proposta): serve un piano europeo per attrarre i ricercatori americani. Non per filantropia, ma per puro e cinico interesse strategico.
E non si tratta di lanciare fondi qua e là come coriandoli in una carnevalata ministeriale. Parisi che parla dalla sala dell’Accademia dei Lincei alla riunione del consiglio direttivo , ma sembra stia tuonando da un bunker operativo evoca Fermi, Einstein e il flusso inverso del brain drain: nel ‘33 si creava un fondo per salvare i cervelli in fuga dal nazismo, oggi serve un fondo per salvare l’Europa da sé stessa.
Il punto è chiaro: l’America di Trump 2.0 (che incombe come uno script ricompilato male) sta facendo più danni alla ricerca scientifica delle flat tax alla coesione sociale. L’Europa, per una volta, ha la chance di fare qualcosa di utile: accogliere, nutrire, moltiplicare. Ma come al solito rischia di rispondere con una “cabina di regia”, due convegni e un PDF colorato.
La cosa tragica è che Parisi lo sa. E lo dice. Il piano del ministro Bernini? Buono come segnale, ma ridicolo nelle dimensioni. Non si batte la supremazia tecnologica di Silicon Valley con 20 borse di studio e un tweet del MUR. Serve qualcosa che abbia il respiro del CERN, non del CRUI.
Ma il vero affondo arriva quando si parla della qualità dell’intelligenza artificiale attuale. “È un pappagallo stocastico”, dicono. “Sì”, risponde Parisi, “ma è un pappagallo che comincia a capire”. Già questa frase dovrebbe inquietare chiunque gestisca un reparto R&D o un comitato etico. Perché il confine tra previsione statistica e intuizione è sempre più labile. E anche se l’AI non ha un’idea di mondo, produce effetti reali sul nostro. Tipo: disoccupazione, disintermediazione, disinformazione.
L’osservazione sul rapporto tra produttività e orario di lavoro è brutalmente lucida: se non riduci le ore, aumenti solo la disoccupazione. Ma in Europa, dove si preferisce rinviare piuttosto che innovare, il dibattito è fermo ai buoni propositi e alle relazioni trimestrali. E mentre ChatGPT migliora, i ministeri arrancano. Sì, oggi sa che 4×5 non fa 25. Ma domani saprà anche dirti perché non dovresti più assumere quel project manager con 15 anni di esperienza.
Parisi resta ancorato a una visione umanista della scienza. Cita Shakespeare, Amleto per la precisione. Eppure non cede alla nostalgia. L’AI fa cose incredibili: legge la sua calligrafia, organizza formule, aggiunge commenti pertinenti. Roba che nemmeno un dottorando ossessionato riuscirebbe a fare in un pomeriggio. “Proprio un bravo pappagallo!” – esclama, con sarcasmo affettuoso. Ma sotto, molto sotto, si percepisce la consapevolezza che questo pappagallo, prima o poi, comincerà a parlarti con la tua voce.
Ecco perché il punto non è più l’hardware. Supercomputer come Leonardo ce li abbiamo. Il problema è il software umano. I cervelli. Le connessioni. La cultura. Quella vera, non i piani triennali scritti da consulenti che usano “AI” come intercalare.
Parisi propone un centro europeo fisico, con mille cervelli che parlino tra loro, si scontrino, producano. Come al CERN, ma sull’AI. Uno di quei posti dove si lavora davvero, non si fa finta di innovare su LinkedIn. Ma lo dice con l’amarezza di chi sa che da otto anni se ne parla e nessuno ha ancora avuto il coraggio di firmare il primo assegno.
La vera minaccia non è l’intelligenza artificiale. È la stupidità naturale delle istituzioni europee. E l’Italia? Semplicemente irrilevante, salvo qualche nicchia. Un tempo eravamo la patria di Fermi, oggi esportiamo cervelli e importiamo token. Il paradosso è che potremmo ancora dire la nostra. Ma, come al solito, preferiamo dire “è tardi” piuttosto che “iniziamo adesso”.
Nel frattempo, in Cina e Silicon Valley non aspettano nessuno. Costruiscono, rilasciano, iterano. L’Europa invece prende tempo. Come sempre, lo prende per perderlo.
Curiosità da bar: nel 1933, il fondo americano per i cervelli in fuga dal nazismo salvò oltre 300 scienziati. Uno di loro inventò il laser. Un altro la bomba atomica. Oggi, con la stessa cifra, in Europa finanzi al massimo un hackathon e due borse da 1.000 euro.
Per chiudere con uno scroll magnetico (e un brivido): l’AI non pensa, forse. Ma noi sembriamo aver smesso di farlo da un pezzo.