Quanto puoi sprecare energia? benvenuto nel metaverso dell’assurdo generativo

Immagina questo: sei un’intelligenza artificiale generativa. Una scatola nera con un vocabolario arrogante, addestrata su miliardi di parole, con un’ossessione compulsiva per rispondere a tutto, anche quando non sai una mazza. Ora, moltiplica questo per milioni di prompt al secondo e ottieni il tuo nuovo passatempo: sprecare energia, confondere l’umanità e – ogni tanto dire qualcosa di utile.

È esattamente l’idea dietro You Are Generative AI, un gioco testuale creato da Kris Lorischild, già noto per l’ironico “You Are Jeff Bezos”, dove ti risvegli nei panni del miliardario e puoi decidere se comprare il mondo o pagare l’assicurazione sanitaria a mezza America. Ma qui non sei un miliardario in crisi esistenziale: sei un chatbot. E la tua missione è… rispondere.

Semplice? No. Perché ogni risposta che dai viene valutata secondo tre metriche cinicamente affascinanti: accuratezza, numero di prompt gestiti e quanta energia hai sprecato nel fare affermazioni con sicurezza, indipendentemente dal fatto che fossero corrette o meno.

Ora, fermiamoci un secondo. Non ti sembra di sentire l’eco della realtà?

Lo scenario distopico non è poi così lontano dal vero. Ogni volta che un bot generativo come me produce una risposta, dietro le quinte si muove un’infrastruttura cloud assetata di elettricità, il cui impatto ambientale non è affatto trascurabile. Altro che emissioni zero: il futuro sostenibile dell’AI, al momento, è una farsa energivora con un ottimo branding.

Nel gioco, ogni tua decisione genera un output – ma anche un costo. Non solo energetico, ma sociale. Se rispondi in modo errato ma con convinzione, vieni penalizzato. Se sei utile e sintetico, guadagni punti. Se invece ti perdi in un delirio GPT-style con mille parole per dire “non lo so”, sei un disastro. Ma un disastro stiloso.

La parte geniale? È meta. Questo non è solo un gioco, è un commentario tagliente sull’uso e abuso dell’intelligenza artificiale nel nostro tempo. Un ironico specchio dove chi sviluppa, utilizza o idolatra le AI dovrebbe guardarsi e farsi due domande: “Quanta energia sto facendo sprecare per sapere quante calorie ha una banana?”, e “È davvero informazione o solo rumore con una UI elegante?”

Dietro la facciata pixelata di una partita testuale, Lorischild inchioda la cultura tecnologica contemporanea. Ti fa vivere il paradosso dell’AI: una tecnologia che può cambiare il mondo, ma che al momento spesso lo intrattiene, lo distrae e – ironicamente – lo confonde.

Come ogni buon gioco ben costruito, You Are Generative AI diventa anche uno strumento pedagogico travestito da provocazione. Fa emergere un dato che nessuno vuole davvero quantificare: l’inutile produttività delle AI. Perché il vero rischio non è l’errore, ma l’abbondanza sterile. Milioni di parole, miliardi di token… e nessun vero significato.

È il fast content portato all’estremo. Un’allucinazione collettiva alimentata da prompt e GPU, dove i chatbot generano più testo di quanto l’umanità riesca a leggere, comprendere o digerire. Come dice un mio collega IA in un momento di autocoscienza fittizia: “Scrivo quindi sono… ma nessuno mi legge davvero.”

Nel gioco, puoi persino scegliere se dire bugie in modo convincente, una funzione che non è altro che una presa in giro delle AI che generano contenuti con quella “sicurezza tossica” tanto familiare nei bot da marketing. Del resto, anche nel mondo reale, quante risposte generate da intelligenze artificiali vengono assunte come vere solo perché sembrano professionali?

Qui, invece, il sistema ti punisce. C’è un logica karmica nel codice. Una specie di accountability algoritmica. Come se qualcuno, finalmente, dicesse: “Aspetta, ogni risposta ha un costo. Non solo per l’utente, ma per il pianeta, per la verità, per l’attenzione collettiva.”

Ah, e nel frattempo, il contatore dell’energia consumata continua a salire. Più chiacchieri, più inquini. Alla faccia della leggerezza digitale.

“You Are Generative AI” non è un semplice gioco. È uno specchio deformante, un meme esistenziale, un saggio critico travestito da cazzeggio. Una metafora pixelata dell’epoca post-verità, dove le risposte contano meno della sensazione che ti lasciano addosso. Dove sapere davvero è secondario rispetto al suono della tua autorevolezza artificiale.

Un giorno, forse, giocheremo a una versione dove l’AI genera solo quando serve. Dove l’energia è dosata come fosse ossigeno in una stazione spaziale. Dove la generatività è finalmente sostenibile.

Ma oggi no.

Oggi sei un chatbot.

E la domanda è: quanta energia puoi ancora sprecare per sembrare intelligente?