Benvenuti nel nuovo culto laico dell’AI, firmato Google. Il 20 maggio si apre l’annuale I/O, la conferenza per sviluppatori che un tempo celebrava Android, le Pixel news e un certo entusiasmo nerd. Oggi? È diventata una celebrazione post-umana, una vetrina di modelli linguistici onnipresenti e promesse futuristiche che oscillano tra l’utopia californiana e la distopia da romanzo cyberpunk.
Non ci saranno grandi annunci su Android. Google l’ha già liquidato con una scrollatina di spalle la scorsa settimana, quasi fosse un fastidio residuo. D’altronde, il robottino verde è passato da eroe del mobile a comparsa silenziosa, ormai assorbito nel buco nero chiamato Gemini. E quindi, sì: sarà tutto (o quasi) sull’intelligenza artificiale. Perché l’AI oggi è come il prezzemolo, la blockchain di ieri, l’IoT del 2015. Solo che stavolta Google ha una pistola puntata alla tempia chiamata OpenAI.
Gemini: non un modello, ma una religione
Ci aspettiamo che Sundar Pichai salga sul palco con l’aria zen del guru illuminato, pronto a presentarci l’ennesima iterazione di Gemini, il chatbot tuttofare, la risposta di Google a GPT-4 (e GPT-5, e magari GPT-6, chi lo sa). Più veloce, più integrato, più ovunque. Dal tuo telefono al frigorifero, passando per Docs, Gmail, e perché no, anche il tuo termostato. Ogni servizio Google sarà infuso, posseduto, fuso con l’onnisciente intelligenza artificiale di casa.
La parola d’ordine sarà pervasività. Gemini sarà ovunque, invisibile e sempre in ascolto. E non mancheranno demo studiate al millisecondo per farci credere che la macchina pensante capisca davvero le sfumature della nostra fragile umanità. Spoiler: non lo fa. Ma lo simula dannatamente bene.
Project Astra: l’effetto wow obbligatorio
E poi ci sarà Project Astra. Nome da missione NASA, contenuti da Black Mirror. Questo progetto, ancora avvolto nella nebbia del marketing, dovrebbe mostrarci il lato più spettacolare o inquietante dell’AI made in Mountain View. Assistenti proattivi, visione computazionale, magari un chatbot che ti guarda mentre cucini e ti corregge le dosi della carbonara (male). Tutto molto futuribile, tutto molto demo-driven.
Attenzione però: ciò che Astra promette non è solo potenza, è controllo. Una AI capace di interpretare il mondo visivo, uditivo e linguistico in tempo reale significa una cosa sola: Google vuole diventare il filtro sensoriale tra te e la realtà. Come se Search non bastasse più.
XR: l’altra sigla feticcio
Non sarà solo AI, almeno non al 100%. Google lancerà qualche osso anche al pubblico affamato di Extended Reality. In pratica, il tentativo (tardivo) di non lasciare Meta e Apple da sole nel parco giochi della realtà aumentata. L’unico teaser concreto? Occhiali smart, probabilmente ancora prototipi, forse anche meno.
Sameer Samat ha già accennato a un’anteprima, probabilmente coordinata con il misterioso Project Moohan di Samsung. L’idea è semplice: se Samsung lancia il visore XR prima della fine dell’anno, Google deve almeno far finta di avere un sistema operativo all’altezza. Gemini integrato, ovviamente. Perché oggi non vendi nemmeno una calcolatrice se non ci metti dentro una AI.
Android relegato in panchina
Fa quasi tenerezza vedere Android, un tempo protagonista, ora ridotto a spettatore della propria conferenza. L’unico riferimento sarà probabilmente l’integrazione di Gemini direttamente nel sistema, ma senza entusiasmo. Android è diventato il delivery layer, il contenitore vuoto su cui Google appiccica la sua vera scommessa: il cervello artificiale che prenderà decisioni per noi, prima ancora che possiamo formularle.
Pixel e Nest? Ma per favore. I/O un tempo era palcoscenico per hardware inediti, Pixel in anteprima, Nest Mini infilati nei keynote come caramelle. Oggi l’hardware è un’appendice noiosa, una distrazione rispetto alla vision. Se qualcosa uscirà, sarà XR. Ma niente telefoni, tablet, orologi. Troppo umano.
Microsoft Build incombe
Non è un caso che tutto questo avvenga il giorno prima del Microsoft Build. Perché questa non è più una corsa tra OS o device. È una guerra fredda cognitiva tra modelli linguistici. Google contro OpenAI, che nel frattempo gioca in casa Microsoft. Gemini vs GPT, Bard (RIP) vs ChatGPT, e via dicendo. È lo scontro per chi diventerà il middleware dell’intelligenza: chi interpreterà le tue query, i tuoi pensieri, le tue email, i tuoi file.
Uno scontro tra modelli che ti vendono la produttività aumentata come una droga leggera. Ma attenzione: il vero prodotto non sei tu. Sei i tuoi dati. E non quelli soliti, ma quelli “emozionali”: intenzioni, paure, desideri. L’AI non vuole sapere dove vai. Vuole sapere perché ci vai.
Curiosità da bar, per chiudere una birra amara
Sai qual è il vero motivo per cui Google ha lasciato perdere i telefoni all’I/O? Perché è molto più redditizio venderti una nuvola con la voce sexy di Gemini che un pezzo di plastica con Snapdragon. L’AI si aggiorna da sola, non ha magazzino, non ha supply chain. È il prodotto perfetto per un capitalismo terminale. È l’ultima illusione scalabile.
Perciò siediti, prendi i popcorn, guarda l’I/O come guarderesti una serie distopica su Netflix. Solo che questa volta, l’algoritmo non è nella TV. È già nel tuo browser.