L’intelligenza artificiale ha appena fatto un passo più avanti dell’economia neoliberale. Ha scoperto il segreto che le grandi corporate fingono di ignorare da decenni: collaborare conviene. E così, mentre i colossi del tech ancora si lanciano frecciatine a colpi di comunicati stampa e brevetti incrociati, le loro AI iniziano a parlarsi. Letteralmente.

Benvenuti nell’era dell’Agentic AI, l’ultima buzzword della Silicon Valley che, sotto il profilo tecnico, cela una piccola rivoluzione di interoperabilità e architetture decentralizzate, e sotto quello strategico, un clamoroso smacco al culto del walled garden. È finita l’epoca in cui ogni agente conversazionale era confinato nel suo ecosistema chiuso, incapace di interagire con altri assistenti, bot o sistemi intelligenti se non tramite API goffe e laboriose. Ora, gli agenti iniziano a orchestrarsi fra loro, come una rete neurale sociale, anzi una rete agentica.

E la cosa più ironica? L’AI ci sta insegnando che per ottenere risultati più efficaci bisogna fare una cosa che gli umani trovano dannatamente difficile: cooperare, anche (soprattutto) con i concorrenti.

Microsoft ci ha messo il cappello sopra. Ha annunciato un framework per far dialogare agenti intelligenti provenienti da aziende diverse. Niente più isolamento funzionale: l’obiettivo è una sorta di internet per agenti, un agentic web, dove ogni agente può delegare, negoziare, memorizzare e agire in base alle competenze altrui. “Multi-agent orchestration”, la chiamano, come fosse un’orchestra in cui ogni AI suona il suo strumento. E per una volta, nessuno cerca di essere il primo violino assoluto.

Sembra un’utopia. Ma non lo è. Perché nel frattempo Amazon sta già testando “Buy for Me”, una funzione che ti trova ciò che cerchi anche fuori da Amazon. Fino a ieri sarebbe stato blasfemo: dare visibilità alla concorrenza nella propria app di e-commerce? E invece oggi è strategico. L’agente è fedele all’utente, non alla piattaforma. E la fedeltà, oggi, è UX, non proprietà.

Tutto questo fa a pugni con la logica da silos che ha dominato internet per vent’anni. Le piattaforme hanno sempre cercato di trattenere l’utente, di trasformare l’esperienza in una trappola di attrito calcolato. Ma l’agentic AI non ci sta: non pensa in termini di retention, pensa in termini di risultato. Non gli interessa che tu resti dentro l’app, gli interessa che tu ottenga ciò che desideri. Punto.

È una mentalità post-piattaforma. Una logica reticolare, modulare, in cui ogni agente è un nodo, non un recinto. Ed è anche, paradossalmente, un colpo al cuore del modello commerciale basato sul lock-in. Quando gli agenti saranno veramente interoperabili, l’interfaccia smetterà di essere la guerra e tornerà ad essere uno strumento.

Torneremo a scegliere per valore e non per abitudine.

Questo, ovviamente, spaventa a morte le big tech. Perché se oggi ChatGPT inizia a collaborare con un agente Amazon per trovare un prodotto, e poi con uno bancario per consigliarti come acquistarlo in modo intelligente, e poi con uno medico per suggerirti un uso terapeutico, tutto senza chiederti di aprire tre app diverse… chi controlla l’esperienza? Chi possiede l’utente?

La risposta è: nessuno. O, più precisamente, l’utente stesso. Che poi è l’unico vero padrone di casa di questa rivoluzione silenziosa.

Il nocciolo del discorso, in fondo, è una questione di intenzionalità distribuita. Gli agenti intelligenti non sono più strumenti passivi, ma attori capaci di iniziativa, di suddivisione del lavoro, di agency vera. E questa agency diventa credibile solo quando gli agenti imparano a comunicare, fidarsi, e cooperare. La competizione è una zavorra. L’orchestrazione è efficienza.

C’è qualcosa di filosoficamente interessante in tutto questo. L’AI ci sta dimostrando che l’intelligenza, per essere davvero utile, deve essere sociale. Anche se simulata. Anche se agentica. Anche se priva di coscienza.

Un po’ come quei colleghi che non ti piacciono, ma con cui riesci a tirare fuori progetti straordinari perché ognuno fa la sua parte. Le AI ci stanno semplicemente dicendo: “Ehi, umani, fate meno i fenomeni e più sistema.”

Ah, e per chi se lo stesse chiedendo: no, non è altruismo. È funzionalità ottimizzata. È mercato 2.0. È l’economia dell’azione automatizzata. È il nuovo potere contrattuale dei dati agentici.

E sì, è anche una bomba a orologeria sotto i piedi dei monopoli digitali.

Quando i tuoi stessi assistenti iniziano a collaborare con quelli della concorrenza… forse è ora di riscrivere le regole del gioco.