Chi pensava che Apple fosse arrivata prima o poi anche nell’arena dell’intelligenza artificiale generativa si è illuso. No, non perché Cupertino non abbia voglia o mezzi, ma perché l’azienda ha costruito negli anni un ecosistema troppo “chiuso” per lasciare spazio a chi non sia già in casa. Ora però, finalmente, la mela morsicata sembra pronta a dare ai terzi la possibilità di sfruttare i suoi modelli AI, seppur con tante limitazioni, in uno sforzo che assomiglia più a una corsa in ritardo che a una mossa da leader.
La novità sta tutta qui: Apple metterà a disposizione degli sviluppatori un kit di sviluppo software (SDK) e framework dedicati, consentendo a chiunque voglia scrivere applicazioni di integrare i modelli di intelligenza artificiale che l’azienda stessa utilizza per la sua “Apple Intelligence”. L’obiettivo dichiarato? Dare nuova linfa alle app e rendere i dispositivi Apple più appetibili, in un mercato dove il richiamo dell’AI è ormai un must per attrarre utenti e mantenere fedeltà.
Non è però una “liberazione” totale. Si parte dai modelli “più piccoli”, quelli che girano localmente sui device, per evitare di coinvolgere la potenza e la dipendenza dai modelli cloud più avanzati. Un modo per tenere il controllo sui dati, la privacy, la gestione delle risorse hardware, e magari per evitare di svelare troppo del proprio “segreto industriale”. D’altronde, Apple ha sempre puntato molto su questo: meno numeri stratosferici ma più integrazione hardware-software.
In tutto questo, il progetto verrà presentato ufficialmente al WWDC, il loro evento annuale dedicato agli sviluppatori, con l’aspettativa che sia uno dei momenti chiave. Ma la notizia forse più interessante (e per certi versi più epocale) riguarda la rivoluzione che Apple vuole imprimere all’intero sistema operativo: iOS, iPadOS e macOS saranno ristrutturati per offrire un’interfaccia più coerente e integrata, ispirata all’esperienza di visionOS usato nel loro Vision Pro, il visore AR/VR.
Dietro questo sforzo c’è il tentativo di raddrizzare il tiro dopo un avvio parecchio traballante nel campo AI. Apple Intelligence è stata introdotta l’anno scorso, ma non ha mai sfondato come sperato. Funzioni come il riepilogo delle notifiche o la creazione basica di immagini sono rimaste sullo sfondo, e le applicazioni più convincenti sono spesso appoggiate a modelli di terzi, come OpenAI o Google, senza dimenticare che qualche bug e imperfezione hanno fatto storcere il naso a media e sviluppatori.
Chi ha provato a integrare l’AI Apple nelle proprie app si è trovato spesso limitato a funzionalità superficiali, senza poter utilizzare i potenti modelli “fondamentali” dell’azienda. Una situazione che ha spinto molti sviluppatori a rivolgersi a strumenti esterni, come TensorFlow o i modelli open source, mantenendo Apple distante dall’ecosistema AI che conta davvero. Ora, questa apertura è una promessa di cambiamento, una speranza che la mela non si sia semplicemente svegliata tardi, ma abbia ancora l’energia per dettare legge in un settore che cambia a velocità supersonica.
Da un punto di vista strategico, la mossa potrebbe avere anche un risvolto economico rilevante. Apple guadagna già moltissimo dall’ecosistema App Store, con la sua fetta di ricavi sulle sottoscrizioni in-app. Ma la concorrenza e le pressioni regolatorie – con le sentenze recenti che impongono a Apple di consentire acquisti fuori dal suo sistema – stanno facendo vacillare quel modello. Aprire le porte a un’ondata di nuove app AI potrebbe quindi essere un modo per aggirare il problema, stimolando nuove entrate e nuove dinamiche di mercato.
L’ottimismo deve però essere misurato. Apple ha in programma di integrare nuove funzioni come una modalità di gestione batteria alimentata dall’AI, e un’app Health potenziata da un coach virtuale, ma queste novità arriveranno nel medio termine, forse non prima del 2026. La promessa è grande, ma la realtà spesso è fatta di ritardi, bug, e un gap tecnologico con i competitor che Google, Microsoft, OpenAI e altri stanno allargando a ogni iterazione.
Un aneddoto “da bar”: Apple ha dovuto sospendere il servizio di sintesi automatica di notizie per errori clamorosi che hanno fatto infuriare i giornalisti – roba che nemmeno un algoritmo dovrebbe combinare. E la loro funzione Genmoji, pensata per creare emoji personalizzate, ha prodotto risultati talmente divergenti dalle aspettative da diventare quasi un meme involontario. È la dimostrazione che nel mondo dell’AI, più si alzano le aspettative, più il rischio di cadere nel ridicolo è dietro l’angolo.
Alla fine, quello che vedremo al WWDC non sarà solo un annuncio tecnico ma una battaglia simbolica: Apple prova a uscire dal suo guscio, a diventare un player credibile nel campo dell’intelligenza artificiale, ma lo fa mantenendo una struttura rigida, controllata, quasi protettiva. Vuole lasciare spazio agli sviluppatori ma non troppo, perché in fondo Apple ha sempre giocato a modo suo: chiudendo le porte appena prima che il caos possa entrare, per assicurarsi di essere sempre padrone del gioco.
Il rischio è che questa strategia possa diventare un freno, ma se Apple riuscirà davvero a far leva sui suoi modelli proprietari, rendendoli accessibili e appetibili, potremmo assistere a un rilancio di un ecosistema AI che ha sempre puntato più sull’eleganza e l’esperienza utente che sui numeri puri. Una sfida complicata, ma affascinante. E mentre tutti corrono verso l’AI, Cupertino, con la sua calma zen da CEO cinico, potrebbe rivelarsi la sorpresa che nessuno si aspetta. O almeno lo speriamo, perché altrimenti, come dice un vecchio adagio da bar tecnologico, “meglio un modello lento e stabile che un fulmine che non sa dove colpire”.