Benvenuti a Guangzhou, dove l’Intelligenza Artificiale cammina, parla e monta auto meglio del tuo apprendista sotto pagato. No, non è l’inizio di un film distopico, è semplicemente la Cina che con la solita furia produttiva da post-rivoluzione culturale in salsa digitale sta trasformando il settore della robotica in quello che l’automotive elettrico era qualche anno fa: una giungla darwiniana di start-up, colossi e sogni di silicio, dove l’unica certezza è che sopravvive solo chi ha le spalle coperte (o i chip giusti).

All’International Intelligent Robot Exhibition di Guangzhou di questa settimana c’erano 800 espositori. Ottocento. A occhio, un evento più affollato del traffico sulla Tangenziale Ovest un lunedì mattina. E la sensazione che si respirava? Un misto tra Fiera di Canton e borsa valori impazzita: tutti a caccia di volumi, capitali, clienti — con il sorriso stampato sul volto in puro stile PRC. Anche perché, dopo anni di tensioni e dazi, gli Stati Uniti hanno abbassato le tariffe. Tradotto: semaforo verde per la penetrazione occidentale. Ma stavolta non si tratta di giacche Zara o telefoni Xiaomi, ma di macchine capaci di pensare, agire e — presto — sostituire l’uomo medio.

Nel caos ordinato di stand e LED, spicca il Lidian D1: un umanoide bionico da 170 cm targato Li-Gong Industrial, fabbricato direttamente a Guangzhou. Ha fatto il suo debutto nell’agosto 2024 e ora l’azienda giura che nel 2025 ne sfornerà almeno 1.000. Per ora lo trovi sulle linee di montaggio, magari a infilare bulloni sulle scocche delle auto elettriche, ma l’ambizione è ben più alta: diventare il tuo prossimo cameriere, receptionist o, perché no, terapista digitale. Secondo Marin Ma, account manager della compagnia, tra tre anni il D1 parlerà con i clienti meglio del personale del customer care della tua banca.

Ma se il robot che cammina ti inquieta, allora passiamo a quelli che parlano ma non si muovono. DX Intech di Shenzhen ha portato i suoi androidi da reception, quelli già operativi al Palazzo d’Estate e nella Città Proibita. Fanno le guide turistiche, chiacchierano, sono belli da vedere e, soprattutto, non hanno i sindacati. Personalizzabili nel look, stanno per invadere anche aeroporti e centri commerciali USA grazie al nuovo clima commerciale più “friendly”. Parola del direttore canali, Zhu Wen, che già fiuta il profumo del dollaro americano appena sdoganato.

Sul lato industriale, Hai Robotics gioca pesante. Il loro HaiPick Climb, sistema di stoccaggio automatico lanciato a febbraio, è un mostro da 4.000 scatole l’ora. Lo usano giganti come Anta, il Nike cinese, per spostare merce più in fretta di quanto tu possa dire “logistica 4.0”. I carrelli elettrici salgono e scendono come ragni su pareti verticali: una sinfonia meccatronica che fa impallidire Amazon.

E mentre l’Occidente si scervella su regolamenti etici e limiti alla “sovrintelligenza”, la Cina stampa robot come se fossero bottiglie d’acqua. Nei primi quattro mesi del 2025, la produzione di robot industriali è schizzata a +34%, mentre quella dei robot di servizio ha sfiorato i 3,6 milioni di unità. Per confronto: è come se ogni singolo abitante di Berlino ricevesse il suo robottino personale per lavare i piatti o intrattenere il gatto.

Non è un caso che Annika Klar, vicepresidente senior di Deutsche Messe — organizzatore dell’evento abbia dichiarato con enfasi che “la Cina è senza dubbio il leader della manifattura globale”. Con buona pace di Berlino, Detroit e Torino.

Tutto questo fermento, ovviamente, non è solo frutto di creatività visionaria. Dietro l’hype ci sono filiere consolidate, accesso ai componenti, dumping strategico e… una discreta dose di spregiudicatezza. Le aziende cinesi sono affamate di scala, di export, e non si fanno scrupoli ad abbandonare prototipi obsoleti in favore di nuove linee aggressive. Il ciclo vita del prodotto? Roba da archeologia industriale: qui un modello dura meno di quanto tu tenga acceso un iPhone prima di aggiornarlo.

Ma il rischio è dietro l’angolo. Esattamente come con l’automotive elettrico, l’eccesso di competizione porta a una selezione brutale. Troppe aziende, troppo simili, troppo in fretta. E chi non regge il ritmo viene cannibalizzato o peggio: dimenticato. A meno che non riesca a conquistare una nicchia — o l’Ovest.

A fare da sfondo, il classico endorsement delle istituzioni: la fiera era co-organizzata da tutte le sigle che contano nell’orbita Guangdong-Hong Kong-Macao. Il messaggio è chiaro: “avanti tutta verso l’automazione totale”. E se nel frattempo si risparmia su stipendi, conflitti sindacali e inefficienze umane, tanto meglio.

La morale è amara e lapidaria: il lavoro umano ha perso appeal, ora è il turno dei servoautomi. Non sudano, non protestano, non fanno sciopero. E pure con le tariffe più basse, ti sorridono sempre.

Un ingegnere in pensione, davanti a uno stand, ha detto sottovoce: “quando i robot assembleranno altri robot, allora sapremo che è finita davvero”. Il tipo sorrideva. Ironico. Ma nemmeno troppo.

Ecco a voi il nuovo grande circo industriale. Senza clown, ma con un sacco di attuatori elettrici.