Quando un CEO di Silicon Valley smette di usare il linguaggio patinato da earnings call e inizia a parlare come un barista incazzato al terzo giro di bourbon, forse è il momento di ascoltare. Jensen Huang, patron di Nvidia, non è certo noto per le mezze misure, ma stavolta ha deciso di strappare direttamente il copione della diplomazia e dire le cose come stanno: i controlli sulle esportazioni di chip AI verso la Cina? Un boomerang perfetto. Un’idiozia geopolitica camuffata da strategia.
Non solo non hanno fermato l’avanzata tecnologica cinese, ma l’hanno accelerata. Non solo non hanno protetto Nvidia, ma l’hanno svuotata proprio là dove contava di più: sul mercato cinese, che un tempo le apparteneva come l’oro nero al Texas.
Nel 2020, Nvidia deteneva un dominio da regime autoritario: 95% del market share in Cina per i chip AI. Oggi è al 50%, e non certo perché i cinesi si sono improvvisamente innamorati del design dei chip Huawei. No, è stato l’embargo USA a creare lo spazio, l’urgenza, e—non dimentichiamolo mai—l’orgoglio nazionale per costruire una filiera alternativa. Come quando proibisci il vino a un francese: non smetterà di bere, si metterà a distillare nel garage.
Cina, AI e autodeterminazione. Tre parole che negli ambienti della sicurezza nazionale americana dovrebbero accendere sirene, non solo red flags. Ma la realtà è che l’approccio di Washington al problema è stato da libro di testo del XX secolo. Contenimento, blocco, limitazioni. Il problema? Il XXI secolo funziona diversamente. Soprattutto quando parliamo di intelligenza artificiale, dove i dati contano quanto i transistor, e il talento quanto i brevetti.
Huang lo dice chiaramente: “le aziende locali sono molto talentuose, e i controlli hanno dato loro energia”. Traduzione? Avete svegliato il mostro. L’ecosistema cinese non è più un clone difettoso della Silicon Valley, ma un cluster ipercompetitivo, alimentato da investimenti statali, ingegneri affamati e un mercato interno da 50 miliardi di dollari entro il 2026. Altro che sandbox. È una giungla, e Nvidia ora ci entra disarmata.
Nel frattempo, Nvidia si ritrova a dover dichiarare svalutazioni da 5,5 miliardi di dollari dopo il ban dell’H20, un chip disegnato apposta per aggirare le restrizioni. Già questo dovrebbe far riflettere: costruisci un chip castrato per non urtare le sensibilità del Dipartimento del Commercio, e ti vietano comunque di venderlo. È come presentarsi a un duello con un coltello di plastica e ritrovarsi anche bendati.
Ma non è solo una questione di soldi. Huang teme che, continuando così, aziende cinesi come Huawei possano superare Nvidia anche su scala globale. E non è un’ipotesi remota. Huawei, nonostante anni di sanzioni e veti, è tornata con un proprio chip AI competitivo. E non è sola: dietro c’è tutta una galassia di startup, università, sovvenzioni statali e accesso illimitato a dati biometrici, sanitari, sociali. Un paradiso per gli algoritmi, un inferno per la privacy, un sogno per chi sviluppa modelli fondati sul deep learning.
Gli Stati Uniti stanno combattendo la guerra dell’intelligenza artificiale come se fosse ancora la Guerra Fredda, con embargo e muri. Ma la tecnologia non è più materiale bellico che puoi chiudere nei container. È conoscenza diffusa, open source, pubblicazioni accademiche, reverse engineering. È liquida. E quando provi a bloccarla, si infiltra altrove. Huang lo sa bene. E infatti non chiede solo libertà per vendere chip: chiede di abbandonare la logica difensiva e tornare a una offensiva d’innovazione.
In tutto questo, la vera ironia è che Nvidia, icona americana e orgoglio di Wall Street, rischia di perdere la leadership globale proprio a causa della protezione governativa. Non per una carenza di innovazione. Non per incompetenza. Ma per un eccesso di paranoia strategica, che ha trasformato un vantaggio competitivo in una scomoda reliquia.
Certo, qualcuno a Washington potrebbe rispondere: “meglio perdere quote di mercato che regalare potenza computazionale all’avversario”. Ma qui non si tratta solo di vendere GPU. Si tratta di decidere se il futuro dell’AI sarà plasmato da chi costruisce muri o da chi apre infrastrutture. Huang, con il suo cinismo tipicamente da ingegnere di prima generazione, ha scelto la seconda strada. E, che piaccia o no, ha ragione.
Nel frattempo, in un laboratorio a Shenzhen, qualcuno sta già scrivendo il firmware che farà impallidire l’architettura CUDA. E se oggi il mercato cinese vale 50 miliardi, domani potrebbe essere il laboratorio globale da cui escono modelli generalisti che parlano, pensano e sognano in mandarino.
Il che, per essere un “fallimento” delle politiche USA, è un risultato decisamente… performante.