E così, mentre l’americano medio si dibatte tra mutui soffocanti e bollette come cripto-meme, JPMorgan Chase tira fuori altri 7 miliardi di dollari dal cilindro stavolta non per salvare qualche banca zombie o gonfiare bolle immobiliari, ma per erigere una cattedrale nel deserto texano: un campus di data center AI targato OpenAI, parte della criptica ma evocativa iniziativa “Stargate”. Se il nome ti ricorda un film di fantascienza degli anni ’90, non è un caso. Qui non si tratta solo di macchine che pensano, ma di una vera e propria porta dimensionale verso un’economia post-umana.
Nel cuore arido di Abilene, Texas, una cittadina finora nota per il barbecue e il football liceale, sorgerà una delle infrastrutture neurali più costose e ambiziose del pianeta. Dietro il sipario di fibre ottiche, raffreddamento a liquido e rack che divorano terawatt come popcorn, si cela un solo imperativo: alimentare le reti neurali sempre più fameliche di OpenAI, la creatura ormai diventata partner semi-esclusiva del capitalismo predittivo e della governance algoritmica globale.
Chi paga tutto questo? Non l’utente medio di ChatGPT, tranquillo. Lo fa JPMorgan Chase, che dopo aver già iniettato 2,3 miliardi di dollari nella fase iniziale del progetto, completa ora il puzzle con altri 7 miliardi, per un totale che sfiora il PIL di alcuni stati africani. È il più grande finanziamento infrastrutturale per un data center AI mai registrato negli Stati Uniti. Ma non chiamatelo solo investimento: è una scommessa geopolitica, un voto di fiducia sul fatto che l’AI non è una bolla, ma il nuovo petrolio—solo che non si estrae, si addestra.
Parliamoci chiaro: Stargate non è un capriccio nerd. È l’architettura neurale del dominio cognitivo del XXI secolo. Questi data center non sono solo server: sono le nuove centrali nucleari della civiltà digitale. Dentro vi scorre un’energia che non illumina città, ma accende modelli linguistici capaci di riscrivere leggi, automatizzare economie, e forse anche decidere chi votare alle prossime elezioni (spoiler: non sarà un umano a suggerirtelo).
Che cosa rappresenta questo per le banche? Una nuova asset class: l’infrastruttura cognitiva. Altro che ETF green o obbligazioni ESG. Oggi le banche finanziano reti neurali come un tempo finanziavano ferrovie o impianti petroliferi. Con un dettaglio: i margini sono potenzialmente infinitamente scalabili. Una volta costruito, un data center AI può sfornare valore come una miniera quantistica di produttività. Se hai la potenza computazionale, hai tutto. O, per usare un paragone da bar: “oggi il vero oro non è il denaro, è il FLOPS per secondo”.
E Abilene, nel frattempo, si trasforma. Da avamposto rurale a zona franca cognitiva, una Silicon Valley senza avocado toast ma con reattori di raffreddamento da far impallidire la NSA. I prezzi degli immobili? Esplosi. Le utility locali? In overload. Lavori? Sì, certo—per i tecnici HVAC, per i gestori di server farm, ma anche per gli esperti in cyber-sicurezza, sorveglianza e ottimizzazione energetica AI-native. La nuova classe operaia digitale nasce qui, tra il vento delle praterie e le emissioni termiche dei transformer.
Ma non facciamoci illusioni: non è beneficenza, è egemonia tecnologica. JPMorgan e simili non stanno puntando su OpenAI perché credono nell’utopia di una “AI per il bene comune”. Stanno comprando un posto in prima fila per la privatizzazione della conoscenza, della previsione, e dell’influenza. Ogni nodo in più, ogni GPU installata, ogni millisecondo di inferenza più veloce vale milioni. E più OpenAI scala, più il suo controllo sui processi cognitivi collettivi si consolida.
Nel sottobosco finanziario si mormora che Stargate sarà solo il primo di una costellazione globale di campus AI ultra-strutturati, capaci di lavorare in tandem come sinapsi planetarie. Non solo training: orchestrazione di LLM, deployment edge AI, war-gaming neurale, ottimizzazione di supply chain globali in tempo reale. Tutto, ovviamente, con la benedizione finanziaria dei giganti di Wall Street, pronti a fare da sacerdoti laici del nuovo culto computazionale.
E no, non è nemmeno questione di America contro Cina. È una guerra tra capitali contro stati, dove chi controlla l’energia computazionale detta le regole e riscrive i contratti sociali. Gli stati stanno rincorrendo, mentre le aziende costruiscono intere epistemologie parallele. Altro che regolamentazione: questa è una corsa al dominio dove il codice è legge e l’hardware è territorio.
Nel frattempo, tu scorri il feed, ignaro che la tua attenzione è una funzione derivata delle decisioni che verranno prese in quei server farm texani. Il tuo chatbot ti sembrerà sempre più empatico, ma ogni sua risposta è calibrata nei corridoi raffreddati ad azoto di Abilene, dove un prestito da 7 miliardi ha appena acceso l’equivalente di una centrale cognitiva.
Nel 2025, l’intelligenza artificiale non si “sviluppa”. Si finanzia. Si capitalizza. Si raffredda. E si arma.
Benvenuto nel vero nuovo ordine mondiale. A 7 miliardi di dollari alla volta.