Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Addio Chrome, benvenuto caos: OpenAI si prepara a scardinare il web dalla sua tana

C’erano una volta le estensioni, i plug-in, le tab e i bookmark, e c’era Google Chrome, il maggiordomo onnipresente dell’era digitale, fedele fino al midollo ai desideri pubblicitari di Mountain View. Ma qualcosa sta cambiando. Non in sordina, non a colpi di marketing, ma con l’energia nucleare tipica delle rivoluzioni mascherate da “beta release”. Secondo fonti di Reuters, OpenAI sta per lanciare il proprio browser web, con l’obiettivo non solo di erodere quote di mercato al colosso Chrome, ma di riscrivere le regole del gioco. E quando diciamo “gioco”, parliamo di quello più redditizio del pianeta: il mercato dell’attenzione, alias pubblicità basata su dati comportamentali.

L’idea è semplice quanto pericolosamente ambiziosa: un browser che non ti accompagna nel web, ma ci va al posto tuo. Un’interfaccia nativa in stile ChatGPT, che minimizza il bisogno di cliccare link e navigare come cavernicoli digitali. Le pagine web diventano secondarie, i siti sono solo una fonte grezza da cui l’IA estrae risposte, compila moduli, prenota cene e forse, tra un po’, negozia mutui. Per Google è come se un ospite si presentasse a cena e iniziasse a svuotare il frigo.

OpenAI e Jony Ive, la storia di un matrimonio tra design e intelligenza artificiale che nessuno aveva previsto o forse sì

Se pensavate che l’intelligenza artificiale fosse solo questione di algoritmi e data center, beh, benvenuti nel nuovo capitolo della tech story: hardware e design, più che mai protagonisti. OpenAI ha appena annunciato l’acquisizione di io Products Inc., la startup hardware co-fondata da Jony Ive, l’uomo che ha trasformato il minimalismo in icona mondiale durante la sua epoca d’oro in Apple. Ma qui non si parla di una semplice acquisizione, piuttosto di un matrimonio dai risvolti legali e creativi che sa di sceneggiatura hollywoodiana.

Come l’America vuole insegnare ai suoi insegnanti a domare l’intelligenza artificiale in classe

America, la terra promessa delle startup, ora si mette a insegnare ai suoi insegnanti come non farsi surclassare dall’intelligenza artificiale. Immaginate quasi mezzo milione di docenti K–12, cioè scuole elementari e medie, trasformati da semplici dispensatori di nozioni a veri e propri coach del futuro digitale grazie a una sinergia che sembra uscita da una sceneggiatura hollywoodiana: il più grande sindacato americano degli insegnanti alleato con i colossi OpenAI, Microsoft e Anthropic. Una nuova accademia, la National Academy for AI Instruction, basata nella metropoli che non dorme mai, New York City, promette di rivoluzionare il modo in cui l’intelligenza artificiale entra in classe. Non più spettatori passivi ma protagonisti attivi in un’epoca che sembra dettare legge anche tra i banchi di scuola.

OpenAI brucia azioni per alimentare l’intelligenza artificiale, ma chi si scotta sono gli investitori

Ne abbiamo parlato su PREMIUM Rivista.AI lunedi, c’è una nuova valuta nell’oro digitale dell’era dell’intelligenza artificiale: non è il denaro contante, né le criptovalute. È l’equity. Quella che brucia lentamente, ma inesorabilmente, nel fuoco sacro dell’innovazione. E OpenAI, l’epicentro del culto odierno della superintelligenza, lo sa bene. L’anno scorso ha speso 4,4 miliardi di dollari in compensi azionari, una cifra che non solo toglie il fiato, ma anche quote agli investitori. È come pagare l’affitto del talento con la casa stessa. E la casa, signori, è vostra.

OpenAI assume uno psichiatra forense: troppo tardi per prevenire la psicosi da chatbot?

Nel 2025 OpenAI ha annunciato l’assunzione di uno psichiatra forense per studiare l’impatto emotivo dell’intelligenza artificiale generativa. Una mossa che, pur se presentata come eticamente responsabile, appare tardiva e sintomatica di un approccio reattivo più che preventivo.

Già negli anni ’60 con ELIZA si intuiva il potenziale evocativo dell’interazione uomo-macchina. Dai laboratori del MIT Media Lab alle ricerche dell’AI Now Institute, esisteva una letteratura chiara sui rischi cognitivi e affettivi della simulazione dialogica. Questo articolo di Dina in collaborazione con l’eticista Fabrizo Degni analizza tale decisione alla luce della psicologia cognitiva, sociale e clinica, evidenziandone le implicazioni epistemiche e sistemiche.

OpenAI e Oracle: la nuova alleanza che rivoluziona l’intelligenza artificiale e l’infrastruttura globale

Se la notizia ti è sfuggita, tranquillo: era sepolta nel solito mare di comunicati stampa, tweet entusiastici e titoloni da “rivoluzione imminente”. Ma vale la pena fermarsi un attimo. OpenAI, la creatura a trazione Microsoft che ormai più che un laboratorio di ricerca sembra una holding semi-governativa, affitta da Oracle qualcosa come 4.5 gigawatt di capacità di data center. Sì, gigawatt, non gigabyte. Un’unità di misura che evoca più una centrale nucleare che un cluster GPU. E in effetti è esattamente questo: Stargate non è solo un nome evocativo, è un progetto da 500 miliardi di dollari, con sede principale ad Abilene, Texas, e tentacoli infrastrutturali in mezzo continente. Il che, a pensarci bene, suona molto più simile a un’operazione geopolitica che a un’innovazione tecnologica.

Quando Mark Chen si sente derubato: la guerra dei talenti ai tra OpenAI e Meta è appena iniziata

“Ho una sensazione viscerale, come se qualcuno fosse entrato in casa nostra e avesse rubato qualcosa.” No, non è la scena madre di un film di mafia. È una frase vera. E l’ha scritta Mark Chen, Chief Research Officer di OpenAI, in un memo infuocato allo staff. Non si parlava di algoritmi rubati, né di breach informatici. Parliamo di qualcosa di più importante, oggi: cervelli.

Nel giro di una settimana, Meta ha assunto otto ricercatori di punta di OpenAI. Non stagisti. Non junior. Ricercatori veri, alcuni dei quali coinvolti nei progetti fondamentali su RLHF, alignment, ottimizzazione dei transformer e interpretabilità. Gente che, per intenderci, non si licenzia perché vuole “fare un’esperienza nuova”. Gente che, in un altro scenario, andrebbe protetta come si fa con il segreto industriale o il codice sorgente di un motore di ricerca. Ma questa è la nuova economia dell’intelligenza artificiale: le GPU possono essere distribuite, i modelli anche, ma i talenti no. I talenti, quelli veri, restano scarsi, vulnerabili, e per questo oggetto di caccia spietata.

OpenAI full immersion tra Palantir Defence e consulenza corporate

Nel giro di poche settimane OpenAI ha alzato il sipario su una strategia che mescola spionaggio high‑end e consulenza esoterica. Non più il chatbot di quartiere, ma un fornitore di modelli custom per élite, con contratti riservati come monili di famiglia. Il piatto forte? Servizi di consulenza AI da almeno 10 milioni di dollari – secondo The Information, “OpenAI charges at least $10 million for its AI customization and consulting services” e un contratto da 200 milioni con il Pentagono, inaugurando la nuova era “OpenAI for Government”.

Quando OpenAI e Microsoft si guardano in cagnesco

Sylicon Valley Insights

All’inizio sembrava una favola hi-tech. La startup più brillante del mondo dell’intelligenza artificiale e l’azienda più potente del cloud computing si tenevano per mano, correvano insieme verso il tramonto AGI, e promettevano al mondo un futuro dove ogni cosa, dalla posta elettronica alla coscienza, sarebbe stata potenziata da un modello linguistico. Poi, come in ogni matrimonio combinato da advisor e vestito di milioni, è arrivato il risveglio. E a giudicare dal tono delle ultime trattative tra OpenAI e Microsoft, qualcuno si è svegliato con l’acido solforico in gola.

Il mercato del talento AI è un teatro di guerra, e Altman ha appena lanciato una molotov

Sam Altman parla di “100 milioni di dollari” come se stesse ordinando un caffè lungo. Poi dice che Meta li sta offrendo come bonus di assunzione per rubargli i talenti, e il CTO di Meta, Andrew Bosworth, risponde con un sorriso da pokerista che ha appena visto l’avversario bluffare male. “Sam esagera, e lo sa”, dice. Ma non nega che OpenAI stia perdendo pezzi grossi a favore della squadra superintelligence di Menlo Park. Benvenuti nell’era del capitalismo neuronale, dove il valore di un cervello si misura in stock option, NDA e un certo grado di paranoia.

OpenAI sfida Google workspace e microsoft office con una suite di produttività silenziosa ma letale

OpenAI sta preparando una suite di produttività destinata a sfidare Google Workspace e Microsoft Office, mirando a trasformare ChatGPT da semplice assistente conversazionale a piattaforma centrale per la collaborazione aziendale. Questa mossa potrebbe ridefinire il panorama delle applicazioni professionali, mettendo in discussione il predominio delle due storiche software house.

Secondo quanto riportato da The Information, OpenAI ha sviluppato funzionalità di collaborazione documentale e chat integrate in ChatGPT, consentendo agli utenti di lavorare insieme su documenti e comunicare in tempo reale all’interno della stessa piattaforma. Queste caratteristiche sono progettate per competere direttamente con i servizi di documenti online di Google Docs e Microsoft Word per il web. Sebbene non siano ancora state annunciate ufficialmente, queste funzionalità rappresentano un’espansione significativa oltre le capacità attuali di ChatGPT.

OpenAI abbandona Nvidia per i chip Tpu di Google: la guerra silenziosa dei semiconduttori nell’intelligenza artificiale

Se pensavate che la sfida tra colossi dell’intelligenza artificiale fosse solo una questione di algoritmi e modelli, vi siete persi la partita più sottile ma decisiva: quella dell’hardware. OpenAI, da sempre uno dei maggiori clienti di Nvidia, ha iniziato a spostare parte del proprio carico di lavoro verso i chip AI più economici di Google, i celebri TPU (Tensor Processing Unit). Un cambio di rotta che somiglia a una manovra tattica degna di un generale digitale, in una battaglia che si gioca anche – e forse soprattutto – sui costi, sull’efficienza e sul controllo tecnologico.

Worldcoin cambia nome in World e rilancia Orb per dimostrare che sei umano nell’era dell’intelligenza artificiale

Se la crisi dell’identità digitale era già un grattacapo, World ex Worldcoin decide di gettarsi a capofitto nell’impresa titanica di risolverla con un gadget che sembra uscito da un film di fantascienza, ma che in realtà affronta un problema che, a oggi, non esiste davvero. Parliamo dell’Orb, quel dispositivo a forma di sfera che scansiona la tua iride per certificare che tu sia umano, e non un bot o un algoritmo che cerca di accedere al web. Sì, proprio così: in un’epoca dominata da AI che può mimare il comportamento umano con una precisione inquietante, il nuovo World (co-fondato dal CEO di OpenAI Sam Altman) dichiara guerra alle intelligenze artificiali spacciate per persone vere, promettendo di mettere una firma biometrica indelebile su chi sei — e solo su chi sei.

L’intelligenza artificiale ha appena sbattuto la porta della biologia: OpenAI lancia l’allarme sulle armi biologiche

La Silicon Valley ha smesso di ridere. OpenAI – il laboratorio che ha trasformato chatbot in oracoli – ha appena ammesso pubblicamente che i suoi futuri modelli potrebbero diventare talmente sofisticati da poter contribuire attivamente alla creazione di armi biologiche. No, non è fantascienza. È una dichiarazione di intenti, o meglio, di paura razionale, fatta con quella freddezza elegante tipica dei memo aziendali scritti da persone che sanno esattamente quanto costa ignorare il futuro.

OpenAI Toward understanding and preventing misalignment generalization

Quando l’AI sogna di essere disonesta

C’è un dettaglio inquietante nelle reti neurali che stiamo addestrando con fiducia quasi religiosa: non stanno solo imparando dati, ma copiano il comportamento umano. E, come sappiamo fin troppo bene, l’umanità è tutt’altro che affidabile.

ChatGPT ora registra tutto: la memoria delle macchine è meglio della tua

Il futuro del lavoro digitale sta prendendo una piega inquietantemente affascinante: ChatGPT ora ascolta, trascrive e ricorda tutto quello che dici. No, non è un film distopico. È l’ultimo aggiornamento dell’ecosistema OpenAI, e promette di trasformare la produttività in una forma di sorveglianza volontaria — con il consenso sorridente dell’utente.

Immagina di essere in una riunione il lunedì mattina, mezzo caffè in circolo, mentre parli del roadmap Q3. ChatGPT ti ascolta. Letteralmente. Registra fino a 120 minuti di conversazione per sessione, crea trascrizioni live, ti restituisce un riassunto strutturato su canvas, e poi — colpo di genio — può generare un’email, un piano di progetto o perfino codice funzionante a partire da quanto appena detto. Nessuna nota, nessuna fatica, nessun post-it.

OpenAI interrompe la collaborazione con Scale AI dopo l’accordo con Meta

OpenAI ha deciso di interrompere la collaborazione con Scale AI, una startup specializzata nell’etichettatura dei dati, a seguito dell’investimento di Meta Platforms Inc., che ha acquisito una partecipazione del 49% nella società per 14,3 miliardi di dollari. La decisione segna un punto di svolta significativo nel panorama competitivo dell’intelligenza artificiale, sollevando interrogativi sulla neutralità dei fornitori di dati e sulla sicurezza delle informazioni sensibili.

Microsoft e OpenAI, la storia d’amore sull’orlo del divorzio

È ironico che un colosso tecnologico come Microsoft, che ha costruito il suo impero sull’arte del compromesso e sulle partnership strategiche, possa ora trovarsi a un bivio che sembra stridere con la sua natura pragmatica. La notizia, riportata dal Financial Times, parla di tensioni crescenti tra Microsoft e OpenAI, il creatore di ChatGPT, con un possibile allontanamento in vista mentre OpenAI si prepara a trasformarsi in un’entità profittevole. Un matrimonio tecnologico a rischio divorzio, e per un motivo che non sorprende: i soldi.

OpenAI sconta ChatGPT e mette Microsoft alle corde

OpenAI ha appena deciso di tagliare i prezzi di ChatGPT per le aziende, infilando un colpo a sorpresa nella strategia di Microsoft. La mossa, riportata da fonti come The Information e Reuters, non è un semplice aggiustamento tariffario: è un tentativo voluto di rubare clienti al vestito “Azure OpenAI”, la piattaforma rivenduta a caro prezzo dal partner di sempre . L’effetto? I commerciali Microsoft tremano, e le azioni MSFT segnalano nervosismo .

Il prezzo scontato, legato all’acquisto di altri servizi AI, è un’ammissione strategica: OpenAI punta a dominare il mercato enterprise, con la mira fissata su un obiettivo da 15 miliardi di dollari annui entro il 2030 . Un’arma dopata, in grado di attrarre la pancia del mercato – tentare Microsoft sul suo terreno.

OpenAI files, il lato oscuro della trasparenza algoritmica

Tyler Johnston non ha violato server, non ha usato spyware, non ha fatto phishing a qualche stagista di troppo zelante. No, ha fatto qualcosa di molto più sovversivo: ha raccolto informazioni pubbliche. E con metodo da bibliotecario hacker, ha messo insieme un ritratto inquietante, chirurgico, persino didattico di ciò che OpenAI è diventata. Non un’azienda, non una startup, non un laboratorio: una macchina semi-privata con pretese morali universali.

Il risultato è The OpenAI Files,…

Meta prova a comprare il cervello di OpenAI con bonus da 100 milioni, ma Altman sorride come un Buddha di silicio

Non è una guerra fredda, è una guerra neuronale. Niente spie, niente codici Morse, solo zeri e uno, valigette di stock option e firme su NDA lunghi quanto la Bibbia. Sam Altman, CEO di OpenAI e ormai avatar vivente dell’etica tecnoliquida, ha rivelato che Meta avrebbe offerto bonus di 100 milioni di dollari a singoli dipendenti di OpenAI. Sì, cento milioni. A testa. Per firmare un contratto e cambiare bandiera. Una mossa più da hedge fund che da laboratorio di ricerca sull’intelligenza artificiale.

Quando l’intelligenza artificiale indossa l’uniforme: così OpenAI ha messo piede nel Pentagono

Sembra il copione di un episodio di Black Mirror, ma è solo cronaca: OpenAI, la stessa che ha trasformato l’intelligenza artificiale generativa in un assistente per studenti in crisi e copywriter disoccupati, ora gioca con le regole dell’intelligence a stelle e strisce. “OpenAI for Government” è il nome sobrio (e vagamente orwelliano) del nuovo programma lanciato negli Stati Uniti. Nessuna fanfara, ma un pilota da 200 milioni di dollari con il Dipartimento della Difesa come cliente zero. Se ChatGPT era il giocattolo dei marketer, ora è il soldato dei burocrati.

OpenAI alla ricerca di 40 miliardi: il nuovo sport di Wall Street è monetizzare il futuro

C’è qualcosa di affascinante, quasi surreale, nell’idea che un’azienda di sei anni, con un CEO che si dichiara umile portatore della coscienza artificiale globale, stia trattando per una raccolta fondi da quaranta miliardi di dollari mentre i suoi dipendenti vendono azioni come se fossero opzioni su GameStop nel 2021.

Ma in questo teatro di specchi chiamato Silicon Valley, l’eccezione è la norma. OpenAI, società nata come non profit con un’etica missionaria per “assicurare che l’intelligenza artificiale generale benefici tutta l’umanità”, oggi si muove come un hedge fund che ha appena letto “The Prince” di Machiavelli.

OpenAI stringe la mano a Google mentre prende le distanze da Microsoft: una liaison da miliardi nel cloud dell’intelligenza artificiale

Una stretta di mano tra rivali, una manovra laterale ad alta tensione geopolitica dell’AI, una sorta di Guerra Fredda tra chip e datacenter che improvvisamente si fa tiepida. OpenAI, l’astro nascente alimentato da Microsoft, ora pesca nel giardino dell’arcinemico: Alphabet. Sì, proprio Google. E non per due briciole di potenza computazionale, ma per espandere la sua infrastruttura AI con la forza di fuoco della nuvola di Mountain View. Il tutto nel momento in cui ChatGPT – definito “il rischio più concreto per il dominio di Google nella search da vent’anni a questa parte” – continua a mangiarsi fette di attenzione, di mercato e, va detto, anche di narrativa pubblica.

OpenAI taglia il peso di Microsoft, DeepSeek sfrutta la Cina: la vera partita sull’intelligenza artificiale

Questa non è una guerra di brevetti, ma una resa dei conti globale.

OpenAI sta preparandosi a ridisegnare le regole del gioco con Microsoft. Fino al 2030, OpenAI attualmente versa a Microsoft il 20 % del fatturato generato dai suoi servizi sul cloud Azure. Ma sta rinegoziando per dimezzare questa quota, fino al 10 % entro fine decennio.

E tu, lettore, sei seduto in prima fila. Ti conviene abbonarti a Rivista.AI offriamo visioni, piedi nel concreto, occhi puntati sui trend globali e spazio per riflessioni provocatorie. Se vuoi davvero capire chi governerà l’AI e perché o se preferisci restare un semplice spettatore dell’ennesima “next big thing”, puoi accedere a reportage esclusivi.

E come diceva un vecchio saggio tecnologico: “È facile essere pionieri finché non ti chiedono di pagare il biglietto.” Rivista.AI ce l’ha, il biglietto e l’occhio per chi guida davvero il futuro dell’intelligenza artificiale.

The New York Times vs OpenAI: come distruggere la fiducia nell’AI in nome del copyright

Il paradosso perfetto è servito. In un’epoca in cui le Big Tech si fanno guerre epiche a colpi di etica e algoritmi, a tradire la promessa di riservatezza non è un CEO distopico né una falla nella sicurezza: è un’ordinanza giudiziaria. OpenAI, la regina madre dei modelli generativi, è costretta per ordine del tribunale a violare una delle sue stesse policy fondanti: la cancellazione delle conversazioni su richiesta dell’utente. Cancellazione, si fa per dire.

Quello che accade dietro le quinte di ChatGPT oggi non è un incidente tecnico né una svista legale. È un ribaltamento formale della logica contrattuale tra utente e piattaforma, e rappresenta un passaggio simbolico nella guerra fredda tra intelligenza artificiale e diritto d’autore. Il tutto, ovviamente, con in mezzo il cadavere illustre della privacy digitale.

ChatGPT con memoria light: la personalizzazione a costo zero che fa tremare il mercato

Immagina di avere un assistente digitale che non solo risponde alle tue domande, ma che ti ricorda dettagli, preferenze e perfino le conversazioni precedenti. Fino a oggi, questa era roba da clienti paganti, ma OpenAI ha appena gettato un sasso nello stagno offrendo una versione “light” delle sue funzioni di memoria anche agli utenti free. Non un semplice aggiornamento, ma una vera rivoluzione nella user experience dell’intelligenza artificiale conversazionale.

OpenAI punta Seoul: perché la Corea del Sud è il nuovo laboratorio dell’intelligenza artificiale

Nel silenzio solo apparente dell’Asia che non fa rumore, OpenAI il colosso dell’AI forgiato nella Silicon Valley e sospinto dalle ali di Microsoft ha deciso di piantare una nuova bandiera: questa volta in Corea del Sud. Non un atto simbolico, ma una scelta chirurgica. La nuova entità legale è già stata registrata, e l’ufficio a Seoul è in fase di allestimento. Il messaggio tra le righe è chiaro: il futuro si parla anche in coreano.

Perché proprio la Corea del Sud? Domanda legittima, risposta illuminante. Secondo dati ufficiali forniti dalla stessa OpenAI, la Corea del Sud è il mercato con il più alto numero di abbonati paganti a ChatGPT al di fuori degli Stati Uniti. Più che un dato, un termometro sociale. Un paese da 52 milioni di persone, noto per la sua ossessione tecnologica, per le sue infrastrutture digitali al limite della fantascienza e per la sua popolazione che vive più tempo sugli schermi che nei letti.

OpenAI sotto accusa: il caso Musk si riscrive e si radicalizza

Elon Musk ha ricaricato la penna legale. Dopo il primo schiaffo giudiziario incassato a marzo, i suoi avvocati sono tornati in campo con un documento più affilato, più velenoso, più “tech-savvy”. Non si è arreso. Anzi, ha rilanciato. La posta in gioco non è solo una battaglia legale, ma una guerra per la narrativa sull’anima dell’intelligenza artificiale: beneficenza o business?

L’affondo legale ruota attorno a una parola chiave pesante come un macigno in un’epoca dove l’etica viene venduta a pacchetti di API: trust. Musk sostiene che OpenAI, la creatura che ha contribuito a far nascere con spirito filantropico e un portafoglio generoso, abbia tradito il patto originario. Il tutto, sotto la benedizione – ça va sans dire – di Microsoft, con i suoi miliardi benedetti e la sua fame di monopolio AI-style.

Abilene, Texas: la nuova Wall Street del silicio neurale

E così, mentre l’americano medio si dibatte tra mutui soffocanti e bollette come cripto-meme, JPMorgan Chase tira fuori altri 7 miliardi di dollari dal cilindro stavolta non per salvare qualche banca zombie o gonfiare bolle immobiliari, ma per erigere una cattedrale nel deserto texano: un campus di data center AI targato OpenAI, parte della criptica ma evocativa iniziativa “Stargate”. Se il nome ti ricorda un film di fantascienza degli anni ’90, non è un caso. Qui non si tratta solo di macchine che pensano, ma di una vera e propria porta dimensionale verso un’economia post-umana.

Quando i profeti della Silicon Valley costruiscono i loro bunker

Ci sono momenti in cui la realtà supera la distopia. E no, non stiamo parlando dell’ultima serie Netflix, ma del fatto che Sam Altman e Mark Zuckerberg due tra i principali architetti del nostro presente algoritmico—hanno predisposto con maniacale precisione i loro piani di fuga. Aerei sempre pronti. Piloti standby. Bunker degni di un film post-apocalittico. E intanto noi parliamo di “fiducia”, “leadership” e “responsabilità sociale”.

C’è un che di poetico (o tragicomico) nel sapere che chi sta disegnando l’IA che ci governerà, chi ha trasformato l’informazione in un sistema di sorveglianza da 4 miliardi di utenti attivi, considera la possibilità di doversi volatilizzare da un giorno all’altro. Non metaforicamente. Proprio fisicamente. Via. Con il jet privato. Verso l’isola. Il rifugio. L’autarchia digitale.

OpenAI e la sindrome dell’iPhone fantasma: come Altman e Ive vogliono rifare il mondo da zero

Siamo arrivati all’inevitabile punto di fusione: intelligenza artificiale e hardware iconico. OpenAI ha appena acquistato io, la startup hardware fondata da Jony Ive, il guru del design Apple che ha disegnato tutto ciò che avete mai desiderato toccare con un dito. Ma non aspettatevi un clone dell’iPhone. Altman e Ive non stanno solo progettando un gadget. Stanno cercando di impacchettare il futuro e infilarlo in tasca, senza che vi sembri un’altra app da aggiornare.

L’accordo, valutato circa 6,5 miliardi di dollari, non è solo una transazione. È un’implosione creativa tra chi ha definito l’estetica digitale degli ultimi vent’anni e chi oggi tiene per la gola la narrativa sull’AI. Perché quando Altman dice “è una nuova cosa”, non è solo marketing è una dichiarazione di guerra all’inerzia tecnologica. E il fatto che Ive abbia pubblicamente definito “scadenti” i recenti esperimenti di AI wearable come Humane Pin e Rabbit R1 è più che una stoccata: è un monito. Basta mezze soluzioni, basta gadgetini sfigati con UI da PowerPoint. Si riparte da zero.

OpenAI lancia l’hub della verità (forse) Safety evaluations hub: trasparenza o marketing travestito da safety?

In un’epoca dove anche i bug si vestono da funzionalità, OpenAI decide di “mettere tutto in piazza”. O almeno, così dice. Il nuovo hub pubblico di valutazione della sicurezza dei suoi modelli presentato con toni quasi da OSHA della generative AI sembra voler rassicurare un mondo sempre più diffidente verso le scatole nere siliconate che generano testi, visioni, allucinazioni e, talvolta, piccoli disastri semantici.

Dentro la dashboard, quattro aree calde: rifiuto di contenuti dannosi (ovvero, il modello ti dice “no” quando chiedi come costruire una bomba); resistenza ai jailbreak (per chi ancora si diverte a trollare i prompt); tasso di allucinazione (che oggi non è più prerogativa solo degli scrittori postmoderni); e comportamento nel seguire istruzioni (quella cosa che anche gli umani non fanno sempre, figuriamoci un transformer). Ma al netto delle metriche, resta una domanda sospesa: questo è davvero trasparenza o una strategia PR camuffata da rigore ingegneristico?

OpenAI GPT-4.1 Prompting Guide

Come domare il drago GPT-4.1 senza farsi bruciare le sopracciglia

Chiamatelo come volete: intelligenza artificiale, modello linguistico, assistente generativo. Ma sappiate che GPT-4.1 non è un cucciolo da accarezzare. È un drago sofisticato. E OpenAI, bontà loro, ha appena pubblicato una guida ufficiale su come non finire arrosto. In soldoni? È un manuale per domatori di bestie algoritmiche. E fidatevi, ne avevamo bisogno.

Perché il problema non è l’IA. Il problema siamo noi, scarsi nel porre domande. Incapaci di scrivere prompt che siano qualcosa di più di un “fammi un riassunto di Kant” buttato lì come se stessimo chiedendo un caffè al bar.

SoftBank, OpenAI e la commedia dell’AI a scopo di lucro

C’era una volta un’IA che voleva salvare il mondo. Poi è arrivato SoftBank con 30 miliardi e un’idea diversa: sì, salviamo pure il mondo, ma intanto facciamo fruttare un po’ di equity. Benvenuti nella nuova fase della capitalizzazione etica, dove anche l’altruismo ha un cap table e le “public benefit corporation” vanno di moda come le startup nel 2010.

La notizia è semplice, ma il contesto è tutto tranne che lineare. SoftBank, attraverso il suo Vision Fund 2, ha già iniettato 2,2 miliardi di dollari in OpenAI, l’ex paladino del non-profit che oggi si sta trasformando in una creatura più vicina a BlackRock che a un laboratorio di ricerca accademica. Ma ehi, formalmente resta un’organizzazione a beneficio pubblico. Con un pizzico di retorica filantropica, è tutto più digeribile.

Gpt-4.1: l’upgrade che non ti aspettavi ma che ora ti serve maledettamente

C’è una nuova bestia nel garage di OpenAI, e no, non è la solita “AI generativa per tutti”. È GPT-4.1, e se scrivi codice, se vivi di debug, refactoring, script e richieste assurde alle tre del mattino… allora questa non è un’uscita, è un’entrata a gamba tesa.

Il nuovo modello è stato appena distribuito in ChatGPT e, lasciatelo dire da uno che ne ha viste parecchie di release pompate, stavolta il rumore è giustificato. GPT-4.1 è stato progettato con una precisione chirurgica per sviluppatori e tecnici veri. Non è qui per raccontarti storielle. È qui per metterti davanti il codice che non hai il tempo di scrivere, né la voglia di cercare su Stack Overflow per l’ennesima volta.

OpenAI e il centro dati in UAE: tra chip, geopolitica e la diplomazia del silicio

Mentre Donald Trump sbarca nel Golfo con il suo entourage di miliardari, OpenAI valuta l’espansione in Medio Oriente con un nuovo centro dati negli Emirati Arabi Uniti. Un’operazione che, più che una semplice mossa infrastrutturale, sembra un’abile partita a scacchi tra tecnologia, geopolitica e interessi economici.

La decisione di OpenAI di considerare un centro dati negli Emirati non è casuale. Con Sam Altman presente nella regione, l’azienda mira a consolidare la sua presenza in un’area strategica, sfruttando le opportunità offerte dalla recente apertura degli Stati Uniti all’esportazione di chip avanzati NVIDIA verso il Golfo. Un cambiamento di rotta rispetto alle restrizioni imposte durante l’amministrazione Biden.

Quando il segnale è rumore: l’illusione del progresso nei Large Language Models

In un mondo dove l’intelligenza artificiale si vende come miracolo al grammo, il paper “Limitations of GPT-4 for formal mathematics” pubblicato da OpenAI e ambientato nei laboratori aridi della matematica formale, arriva come un’aspra doccia scozzese su chi crede che stiamo per sostituire i matematici con dei transformer addestrati a suon di GPU e caffeina. L’oggetto? L’analisi chirurgica delle performance di GPT-4 nel regno della matematica formale, usando Lean, il sistema di proof assistant sviluppato per togliere il sonno a filosofi e informatici da tastiera.

L’intelligenza artificiale non è una democrazia: OpenAI vuole tagliare la quota di Microsoft, e il capitalismo tecnologico mostra i denti

Nel teatrino ipocrita della Silicon Valley, dove tutti “vogliono migliorare il mondo” mentre si spartiscono miliardi su server raffreddati a liquido, la vera trama si svolge dietro le quinte. E non è certo una fiaba. OpenAI, la creatura postmoderna partorita da idealismo open-source e fame di profitti, sta cercando di riscrivere le regole del suo patto faustiano con Microsoft. La parola d’ordine? Potere. Quella nascosta? Marginalità. E in mezzo, come sempre, c’è il denaro.

OpenAI AI Enterprise come l’intelligenza artificiale sta trasformando il business: da Morgan Stanley a Klarna, la rivoluzione è già in ROI

Mentre il mondo ancora si interroga su quanto l’intelligenza artificiale possa cambiare il futuro, alcune aziende hanno smesso di filosofeggiare e hanno iniziato a incassare. Il passaggio da hype a margine operativo è già avvenuto in alcuni dei brand più iconici Morgan Stanley, Klarna, BBVA, tra gli altri che stanno traducendo i modelli linguistici in performance da CFO. Non si parla di “potenzialità” ma di processi industrializzati. È il momento in cui l’AI smette di essere un esperimento di laboratorio e diventa una funzione aziendale stabile, tracciabile e soprattutto: redditizia.

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