Elon Musk ha ricaricato la penna legale. Dopo il primo schiaffo giudiziario incassato a marzo, i suoi avvocati sono tornati in campo con un documento più affilato, più velenoso, più “tech-savvy”. Non si è arreso. Anzi, ha rilanciato. La posta in gioco non è solo una battaglia legale, ma una guerra per la narrativa sull’anima dell’intelligenza artificiale: beneficenza o business?
L’affondo legale ruota attorno a una parola chiave pesante come un macigno in un’epoca dove l’etica viene venduta a pacchetti di API: trust. Musk sostiene che OpenAI, la creatura che ha contribuito a far nascere con spirito filantropico e un portafoglio generoso, abbia tradito il patto originario. Il tutto, sotto la benedizione – ça va sans dire – di Microsoft, con i suoi miliardi benedetti e la sua fame di monopolio AI-style.
Non parliamo più solo di una disputa tra ex soci con l’ego XL. Parliamo di un’accusa sistemica: frode, collusione, violazione della buona fede. E pure un tentativo di resuscitare lo spettro RICO – sì, quella legge americana nata per stanare la mafia. Musk ha cercato di calzare questo vestito a Sam Altman & Co., ma il giudice ha detto: troppo largo, non regge. Non c’è uno “schema di racket”, almeno non ancora. Però ha lasciato uno spiraglio: riformulare, migliorare, riprovare.
Così giovedì, il team legale di Musk ha fatto esattamente quello. Ha riaperto il documento, ha riscritto le accuse. Ha aggiunto nuove sfumature semantiche per convincere il giudice che dietro ChatGPT non c’è solo codice, ma anche un meccanismo fraudolento architettato con premeditazione. Non beneficenza, ma impacchettamento di idealismo per attrarre fondi.
Nel dettaglio, gli avvocati del fondatore di Tesla e SpaceX sostengono che le donazioni iniziali siano state ottenute attraverso “false promesse di scopo non profit”, e che l’evoluzione di OpenAI LP – entità for-profit – rappresenti il vero tradimento. Un colpo basso travestito da innovazione. Il classico pivot, ma con sapore di truffa.
La strategia è sottile: Musk non vuole solo una rivincita personale, ma intende riposizionarsi come l’unico custode legittimo della visione originale dell’AI aperta e democratica. Uno storytelling sofisticato, studiato per contrastare il dominio attuale di OpenAI nel mercato e nella narrativa globale.
Nel mentre, Altman si muove come un prestigiatore della Silicon Valley: rassicura con dichiarazioni di trasparenza, sorride nei podcast, stringe mani in Europa e nel Sud-Est asiatico. Il re dell’AGI per tutti, ma con NDA per molti. Sotto la superficie, però, c’è una frattura.
Questa causa ha già prodotto un primo effetto concreto, più interessante di ogni verdetto: ha acceso i riflettori sulle ombre contrattuali del mondo AI. Le startup oggi crescono a velocità quantistica, ma con strutture legali nate per aziende novecentesche. E in mezzo, i fondatori idealisti vengono scalzati da investitori voraci come in una partita di scacchi in cui il matto lo fa il denaro.
Come ha scritto un ex dipendente OpenAI, “abbiamo messo il fuoco in una bottiglia, e ora litigano su chi ha comprato l’accendino”.
Il nodo legale? Se le accuse riformulate verranno accettate, il processo potrebbe partire già a marzo. E a quel punto, l’effetto mediatico sarà uno tsunami. Musk in tribunale contro OpenAI è il tipo di soap opera legale che si stampa sulle prime pagine e si trasforma in trending topic globale in 13 secondi.
Immaginate cosa potrà emergere nelle carte processuali: mail interne, verbali di board, contatti con Microsoft. Ogni dettaglio sarà letto, sezionato, remixato sui social. Lì si gioca il vero processo parallelo, quello dove l’opinione pubblica stabilisce chi è il vero paladino della AI.
Se OpenAI ha davvero costruito un castello di sabbia sul terreno della beneficenza per poi venderlo ai giganti, questa causa sarà il martello che ne testerà la solidità. Se invece Musk sta semplicemente cercando vendetta dopo essere stato marginalizzato, il giudice non sarà clemente.
Ma in ogni caso, una cosa è chiara: il futuro dell’intelligenza artificiale non si gioca solo nei laboratori o nei data center. Si decide anche nelle aule di tribunale. E il concetto stesso di “open”, in OpenAI, è già oggi oggetto di disputa filosofico-giuridica.
D’altronde, come direbbe qualcuno: “Se non puoi controllare l’AI, almeno controlla chi controlla l’AI”. Musk lo ha capito da tempo. Ora vuole che lo capiscano anche i giudici.