In un’epoca in cui la linea tra potere politico e interessi personali si assottiglia fino a scomparire, Donald Trump alza la posta: una cena a porte chiuse nel suo esclusivo golf club fuori Washington per centinaia dei più ricchi investitori del suo memecoin $TRUMP. Non un semplice evento sociale, ma una fusione senza precedenti tra il potere presidenziale e un affare privato che, come minimo, grida “corruzione” a gran voce. Il palcoscenico è la sua proprietà privata, il pubblico esclusivo, e la posta in gioco miliardi di dollari che si muovono dietro le quinte, senza trasparenza.
Non è il solito incontro di lobbyisti o donatori; qui il protagonista è un asset digitale lanciato a tre giorni dall’insediamento di Trump, una mossa che ha gonfiato il suo patrimonio personale di miliardi, mentre gli etici si strappano i capelli. La sua promessa su Truth Social di mantenere l’America “dominante” nelle criptovalute suona più come un manifesto di potere che un impegno politico. Il tutto condito da una scenografia studiata: il leggendario sigillo presidenziale sulla lectern, nonostante la stampa fosse esclusa, e un manipolo di manifestanti sotto la pioggia a protestare contro “la corruzione crypto” e “i re senza corona”.
C’è qualcosa di ironico nel fatto che, mentre la democrazia fa fatica a tenere il passo con la regolamentazione delle criptovalute, Trump organizza banchetti privati per i suoi investitori top, con incontri esclusivi e tour della Casa Bianca promessi come benefit VIP. È la quintessenza della “revolving door” tra affari e politica, vestita da “tempo personale”. Ma chi crede ancora a questa favola vive in un mondo parallelo.
La cosa diventa ancora più succosa se guardiamo agli attori coinvolti: Justin Sun, magnate cinese delle crypto e in passato sotto indagine per manipolazione di mercato, figura tra gli investitori più ingenti con un impegno multimilionario. Sotto la presidenza Trump, le autorità regolatorie hanno sospeso le indagini per cercare un accordo – un perfetto esempio di come il potere politico possa piegare le regole del gioco a proprio favore. Sun stesso, immortalato in smoking mentre aspetta il presidente, incarnava il mix perfetto di soldi, politica e spettacolo.
Il coro di critiche arriva da più fronti, con senatori democratici che denunciano una vera e propria “orgia di corruzione” e gruppi di attivisti che definiscono l’evento un insulto agli americani onesti. Ma il problema è che, mentre il Congresso cerca di afferrare le regole per regolare la wild west crypto con il GENIUS Act, Trump non solo gioca d’anticipo, ma cambia le carte in tavola con iniziative come la “Strategic Bitcoin Reserve” del governo e investimenti familiari in piattaforme come Binance, la cui leadership cerca addirittura un perdono presidenziale per rientrare sul mercato USA.
Il risultato? Un mercato che, alla fine di una giornata tempestosa, vede il Bitcoin schizzare a oltre 111.000 dollari, mentre la politica americana è sempre più invischiata in un gioco di potere e affari digitali. Quella che doveva essere la frontiera dell’innovazione finanziaria rischia di diventare un grande banchetto per pochi eletti, con Trump che gioca il ruolo di magnate presidenziale in un’epoca in cui etica e interesse privato sono un campo minato.
La lezione? Quando la politica si trasforma in spettacolo e affare privato, la democrazia resta fuori scena, e la “trasparenza” diventa solo un altro meme criptato da decifrare. E come disse qualcuno una volta, “La corruzione non è solo un male necessario, è un investimento che paga molto meglio del Tesoro.”.

Un memecoin non è altro che una criptovaluta nata più per gioco, o per hype social, che per vera innovazione tecnica. Deriva dai meme – quegli elementi culturali virali che hanno preso il controllo della nostra attenzione digitale – e funziona soprattutto su narrazioni di massa e speculazioni. Non c’è una blockchain rivoluzionaria dietro, non c’è una tecnologia che cambia le regole del gioco: è solo un token, spesso volatile e privo di solide fondamenta, che attira investitori con la promessa di guadagni facili e la suggestione di appartenere a un’élite “digitale”. Nel caso di $TRUMP, il valore aggiunto è proprio la figura politica del suo creatore, capace di attrarre capitali anche in pieno terreno scivoloso di conflitti d’interesse e scandali etici.
Chi ci guadagna? La prima categoria è ovviamente quella degli investitori più vicini al cerchio magico: i 220 maggiori acquirenti del memecoin, chiamati a cena nel club esclusivo di Trump, con i primi 25 che addirittura hanno avuto un incontro privato con lui. È la quintessenza del capitalismo clientelare digitale, dove l’accesso privilegiato a un ex presidente si trasforma in un jackpot finanziario. Seguono i grandi nomi come Justin Sun, imprenditore cinese nel settore cripto, la cui presenza dimostra come il confine tra politica, finanza e geostrategia si stia sempre più sfumando in un cocktail pericoloso. Nel mezzo, naturalmente, i Trump Junior e soci, che non si limitano a fare da semplici azionisti, ma orchestrano investimenti che affondano radici nei mercati globali, soprattutto in Medio Oriente, agganciando la finanza tradizionale e quella emergente delle criptovalute.
Gli svantaggi, o forse dovremmo dire i rischi sistemici, sono molteplici e gravi. Primo, il conflitto di interesse e la corruzione istituzionale, con un presidente che usa la propria carica per arricchirsi, mascherandola da “tempo personale”. Se questa non è la pietra miliare dell’ipocrisia politica, allora cos’è? Secondo, la speculazione senza regole mette a rischio la stabilità economica, specie in un settore così volatile e poco regolamentato come quello delle criptovalute. La spinta verso un mercato “libero” a tutti i costi, spesso guidata da interessi personali e lobby potenti, rischia di aprire le porte a manipolazioni, frodi e instabilità finanziaria globale.
Non è un caso che proprio in quei giorni il Senato americano spingesse per un regolamento più stringente con la proposta GENIUS Act, che tenta di mettere un freno almeno alle stablecoin, quelle criptovalute agganciate a valute “reali” come il dollaro. La vera ironia è che mentre Trump si tuffa a capofitto in questo universo borderline, la politica ufficiale si affanna a mettere qualche regola. Una distanza siderale tra chi comanda e chi tenta di governare, che traduce in un caos regolatorio potenzialmente esplosivo.
L’effetto psicologico sul mercato è immediato: un balzo storico del Bitcoin oltre 111.000 dollari, seguito da correzioni repentine. Un gioco al massacro che alimenta l’illusione collettiva di ricchezza facile, ma che nasconde una bomba a orologeria finanziaria. Dietro il sorriso smagliante di Trump e le foto con il sigillo presidenziale al golf club, c’è un sistema che si autoalimenta di conflitti, rischi e promesse fragili. Chi resta fuori, come sempre, è il cittadino comune, quello che fatica a sbarcare il lunario mentre vede la finanza globale trasformarsi in un’arena di favoritismi e speculazioni senza regole.
Non è solo un gioco di potere, ma una guerra per la definizione stessa di cosa significa “governare” nell’era digitale. Mentre i memecoin diventano simboli di un’economia che si regge sul nulla e sul mito del successo facile, la realtà è che si sta consolidando un sistema di potere ancora più opaco, dove le frontiere tra pubblico e privato, tra etica e profitto, sono ormai cancellate. Come disse un giorno Oscar Wilde, “la corruzione non è solo un atto illecito, ma l’estetica del potere”. E nel caso di Trump, il memecoin è la firma digitale di questa estetica, un manifesto di come la tecnologia possa essere strumento di arricchimento personale più che di progresso collettivo.
Insomma, mentre i manifestanti fuori dal club di golf sventolano cartelli contro la “corruzione cripto” e i senatori gridano allo scandalo, il mondo osserva attonito questa nuova frontiera del capitalismo: un regno digitale dove il potere si compra con i token e la democrazia si misura in dollari virtuali. Per chi ha ancora dubbi, basterebbe guardare il tappeto rosso steso davanti a quella porta: è il benvenuto ufficiale a una nuova era di potere 2.0, più subdola e meno trasparente di quanto si possa immaginare.