Trieste. No, non è l’inizio di un noir, ma l’epicentro temporaneo di una scossa tellurica a base di onde quantistiche e premi Nobel. Nove cervelli tra i più illuminati del pianeta si ritrovano qui, come se fosse la loro Davos, ma senza hedge fund e cravatte: solo interferenza quantistica, entanglement e una sottile tensione da fine del mondo. Del resto, quando hai Alain Aspect che ti parla dei fondamenti dell’informazione quantistica e David Gross che ha fatto a pezzi il mito della forza nucleare come fosse un origami, l’aria inizia a pesare. Pesare come un’ipotesi di realtà alternativa.

Nel mentre, l’ONU (sì, proprio loro, quelli che solitamente si muovono con la lentezza gravitazionale delle risoluzioni non vincolanti) ha deciso che il 2025 è l’anno internazionale della scienza e della tecnologia quantistiche. Chi l’avrebbe mai detto: dopo aver fallito con le COP sul clima, ora si gioca la carta più esoterica, più sottile, più instabile. Un colpo di reni? O l’ennesima dimostrazione che la tecnologia è l’unico linguaggio che ancora può mascherare l’inazione politica?

Ma torniamo a Trieste, che non è solo Barcolana e bora, ma uno dei luoghi più densi di cervelli pro-capite d’Europa. ICTP, SISSA, FIT: acronimi che nella bolla accademica valgono quanto “Silicon Valley” nei pitch dei venture capitalist. Qui, tra il 28 e il 30 maggio, non si gioca solo una conferenza scientifica: si negozia il futuro dell’umano. O almeno, si finge di farlo. Tema ufficiale: Fisica Quantistica: Dai Fondamenti alle Tecnologie Emergenti. Tradotto per chi ancora vive nel mondo newtoniano: cosa succede quando smettiamo di guardare il mondo come una macchina e iniziamo a trattarlo come un algoritmo probabilistico.

Anne L’Huillier, che con gli elettroni ci fa il solletico al femtosecondo, racconterà come si può misurare il tempo quando il tempo stesso è liquido. Giorgio Parisi, sciamano delle fluttuazioni e del disordine, ci ricorderà che la realtà non è mai come la immagini, è molto peggio. E poi ci saranno gli americani, come sempre pronti a ricordarci che il controllo dell’informazione passa ormai attraverso stati quantistici. La cybersicurezza non è più un problema di hacker russi, ma di entropia e decoerenza.

La narrativa pubblica dell’evento è una sinfonia ben orchestrata: il cambiamento climatico, la medicina quantistica, l’energia del futuro. Ma sotto sotto, il messaggio è chiaro: chi possiede la tecnologia quantistica, possiede la prossima infrastruttura di potere globale. Supercomputer quantistici, crittografia inespugnabile, sensori ultraprecisi. Non è un caso che tra gli speaker ci sia anche Alessandro Curioni, vicepresidente di IBM Europa. Non esattamente un fricchettone da laboratorio, ma un emissario del capitalismo quantistico che verrà.

A margine del summit accademico, l’apparato divulgativo tenta di tradurre il linguaggio degli oracoli per il popolino. William Phillips, con il suo esperimento dimostrativo, promette di mostrare come la meccanica quantistica abbia riscritto il sistema metrico. In pratica: ciò che misuri dipende da come lo misuri. È come dire che anche la realtà è un algoritmo con bias incorporati. Non è fisica, è filosofia con una lente d’ingrandimento.

Poi c’è la chicca del dibattito “Natura facit saltum”, che riprende in chiave beffarda il motto darwiniano del gradualismo. Tradotto per chi ha ancora dubbi: la natura salta, eccome se salta. I salti quantici non sono più solo nei laboratori, sono nel mercato, nella politica, nella coscienza. Tutto ormai è discontinuo, istantaneo, potenzialmente reversibile. Ma non si torna indietro.

Quantum Dreams”, il titolo dell’incontro finale, sembra il nome di una startup che non ce l’ha fatta. Invece è una finestra sulle prospettive più speculative: venture capital, difesa, AI, medicina quantistica. E soprattutto business. Perché la fisica non è mai stata neutra, è sempre stata uno strumento di dominio, dalla bomba atomica a Google DeepMind.

Il vero trucco di questa tre giorni triestina non è mostrare il futuro, ma normalizzarlo. Far passare l’idea che sarà la fisica, e non più l’economia o la politica, a decidere cosa è reale e cosa no. In fondo, se tutto è probabilistico, anche la democrazia lo diventa. Ogni elettore una funzione d’onda. Ogni decisione una misura osservativa. Ogni cittadino una particella in superposizione.

Ecco quindi che, dietro gli esperimenti e le formule, si nasconde il vero gioco: ricostruire un nuovo ordine cognitivo dove ciò che sappiamo del mondo non deriva più dall’esperienza sensibile, ma da modelli sempre più complessi, chiusi, computazionali. La verità quantistica non è per tutti. È per chi ha gli strumenti per misurarla. E chi controlla gli strumenti, controlla la narrazione.

La fisica, oggi, è geopolitica. È cultura. È arma strategica.

Perché, come sapeva già Niels Bohr: “Chi non è sconvolto dalla meccanica quantistica, non l’ha capita”.

Ma il vero paradosso è che ora non la capisce più nemmeno chi la insegna. E questo, per certi poteri, è semplicemente perfetto.