Non lo dicono ancora ufficialmente, ma la tensione è palpabile. Nvidia è finita nel mezzo di una guerra che non ha voluto combattere, ma da cui non può uscire. Il gigante dell’intelligenza artificiale, la fabbrica di chip più ambita del pianeta, ha appena fatto una mezza ammissione: il chip AI per la Cina non è pronto. Tradotto: l’America ha colpito, e Nvidia sta ancora cercando di capire dove sanguina.
Jensen Huang, CEO con la giacca di pelle e lo sguardo da filosofo californiano, lo ha detto durante l’ultima earnings call con la freddezza tipica di chi sa che ogni parola sarà sezionata da analisti, burocrati e lupi di Wall Street. “Non abbiamo nulla da annunciare al momento”, ha detto, lasciando intendere che qualcosa bolle in pentola, ma che per ora il fuoco è spento. O meglio: bloccato da Washington.
Il contesto è noto ma non banale. Le restrizioni USA sull’export dei chip avanzati verso la Cina hanno colpito il cuore della strategia asiatica di Nvidia. L’H20, il chip cucito su misura per il mercato cinese, non può più essere venduto. Sì, quello che alimentava i modelli AI dei colossi tech di Pechino e Shenzhen, ora è fuori legge. E l’intero ecosistema AI cinese è rimasto improvvisamente orfano della sua GPU preferita.
Una curiosità cinica: appena annunciato il ban, Huang è saltato su un aereo ed è atterrato a Pechino. Una mossa da diplomatico ombra, o forse un ultimo tentativo per salvare il salvabile. Ha stretto mani, fatto promesse, forse anche qualche inchino non ufficiale. Ma soprattutto ha ribadito quanto Nvidia tenga al mercato cinese. Certo, peccato che il Dipartimento del Commercio americano non la pensi allo stesso modo.
Qui il paradosso si fa brillante. Gli Stati Uniti, con una lucidità quasi autolesionista, continuano a credere che la Cina non possa fare chip AI da sola. Huang ha demolito questa illusione in diretta: “Era una supposizione già dubbia, ora è chiaramente sbagliata”. Tradotto in linguaggio da CEO: se continuate così, state regalando metà del futuro dell’AI a qualcun altro.
Il dramma però è nei numeri. Il ban dell’H20 costerà a Nvidia 8 miliardi di dollari solo nel secondo trimestre. Già nel primo ha dovuto accantonare 4,5 miliardi per inventario invenduto e obblighi contrattuali. Roba che fa tremare anche un gigante da mille miliardi di market cap. E no, non basta che i ricavi siano cresciuti del 69% su base annua: il dolore arriva con ritardo, e sarà tutto nel Q2 e Q3.
Nonostante i sussurri di Reuters su un nuovo chip AI “light” per la Cina, magari pronto già a giugno, Huang ha spento gli entusiasmi: niente più Hopper per Pechino. Le performance sono troppo alte per essere castrate e rientrare nei limiti delle sanzioni. E Nvidia non può permettersi di farli “scemi” solo per aggirare la burocrazia di Washington. Sarebbe un’operazione chirurgica troppo rischiosa, senza anestesia.
Certo, gli analisti di HSBC ci provano a vedere un raggio di sole nel buio: forse nella seconda metà dell’anno arriverà qualcosa di non-Hopper per la Cina. Forse si potrà recuperare qualche miliardo di fatturato. Forse. Ma è evidente che nulla potrà sostituire completamente l’H20, e la sua dipartita lascia un buco nella bilancia commerciale del colosso di Santa Clara.
E qui arriva il vero punto critico, che molti fingono di ignorare: il mercato cinese conta per circa il 14% dei ricavi Nvidia. È troppo per essere trascurabile, ma non abbastanza da fare saltare l’azienda. Il vero problema però non è il bilancio. È la strategia. L’AI è una corsa globale, e in questo gioco, chi controlla gli sviluppatori vince. Se costringi la Cina a crearsi una pipeline alternativa, rischi di perdere l’intero ecosistema. Non oggi. Ma fra tre, cinque, sette anni. E allora sarà troppo tardi per tornare indietro.
La battaglia dei chip non si combatte nei laboratori, ma nelle stanze della politica. E Nvidia è diventata il bersaglio di un’agenda ideologica che si nutre di illusioni. La più pericolosa? Che si possa fermare l’innovazione semplicemente bloccando un prodotto. In un mondo in cui l’AI si evolve ogni tre mesi, un blocco doganale è come mettere una diga fatta di sabbia.
La Cina, che non brilla per trasparenza ma eccelle in determinazione, non starà ferma a guardare. Se Nvidia si ritira, qualcun altro prenderà il suo posto. E nel frattempo, un’intera generazione di sviluppatori, ricercatori e startup AI sarà costretta a cercare soluzioni alternative. Alternative che non includono l’America. Complimenti.
Siamo di fronte a un classico effetto boomerang tecnologico. Un embargo pensato per rallentare l’avversario, finisce per accelerare la sua autonomia. E chi ci perde davvero? Forse proprio l’azienda che aveva in mano le chiavi del futuro.
“Chi semina restrizioni, raccoglie competizione”, direbbe un vecchio proverbio siliconiano. Ma in questo caso, Nvidia rischia di raccogliere qualcosa di peggio: l’irrilevanza strategica in metà del pianeta.
E se pensate che basti lanciare il Blackwell per sistemare tutto, vi sbagliate di decennio.