Il 5 giugno, mentre fuori probabilmente qualcuno ancora lotterà con l’IA generativa per farle scrivere un’email decente, sul Mainstage del WMF andrà in scena l’ennesimo spettacolo dell’innovazione: la finale della Startup Competition più grande al mondo — a detta degli organizzatori, ovviamente. Un’arena hi-tech da fiera dell’est, in cui sei startup sopravvissute a un filtro iniziale da 1.500 candidature si contenderanno la gloria, gli investitori e, udite udite, l’accesso alla mitica finale della Startup World Cup di San Francisco. La Silicon Valley come premio di consolazione: una narrazione perfetta per LinkedIn.

A contendersi il titolo, una geografia quasi da EuroVision, ma per imprenditori seriali e pitch compulsivi. Francia, USA, Singapore, Italia: sei finaliste, sei visioni del futuro, sei minuti scarsi per provare che la tua idea salverà il mondo, o almeno garantirà un ritorno decente sul seed round.

L’aria che si respira al WMF è quella classica delle grandi convention: molto fumo, moltissimi badge e una quantità imbarazzante di entusiasmo algoritmico. CircularPlace dalla Francia vuole risolvere lo spreco aziendale col mantra dell’economia circolare. Electra Vehicles dagli States promette di ottimizzare le batterie elettriche — per carità, tema urgente, ma quante Electra abbiamo già visto? Helix Carbon, altra americana, attacca l’industria pesante con un approccio carbon capture alla CO₂ — ma stavolta “in loco”. Applausi. Da Singapore, Invigilo AI gioca la carta della computer vision nei cantieri per salvare vite e ridurre incidenti — e chi può dire di no alla sicurezza? Ma sono le italiane a offrire la solita dicotomia tragicomica: da un lato Alba Robot, futuristica e sociale, mobilità autonoma per persone disabili; dall’altro Andromeda Intelligence, che sintetizza il sogno più umido di ogni eCommerce manager: un’AI che ti sforna pagine prodotto su misura, 24/7.

A questo punto della narrazione arriva il colpo di teatro: la giuria. Un’arca di Noè dell’innovation economy. Dentro c’è tutto e il contrario di tutto: Yamaha Music Innovation accanto a Nvidia Ventures, CDP Venture Capital con Haystack, e persino SoftBank, perché nessuna startup competition internazionale può definirsi tale senza una foto di gruppo con un rappresentante della banca giapponese più aggressiva della storia del venture capital. Il giudizio è atteso come la sentenza di un oracolo AI, e in palio c’è l’accesso a quella che viene ormai raccontata come la Champions League della disruption: la finale mondiale a San Francisco con 1 milione di dollari di investimento come jackpot.

Ma attenzione, perché il vero potere — o almeno così ci tengono a far credere — sta nel pubblico. Un click sulla webapp e puoi cambiare il destino di una startup. Il voto popolare come tocco democratico in una liturgia altrimenti gerarchica. In realtà è solo gamification ben confezionata.

L’altra metà del WMF, quella che non sale sul palco ma stringe mani, accende pitch deck e flirta con l’open innovation, si muove nei corridoi di BolognaFiere tra stand, investor lounge e workshop a tema “come creare unicorni senza farsi mangiare dai VC”. Una bolla controllata in cui si mischiano 43 Paesi, regioni italiane in cerca di fondi e visibilità internazionale, e startup a caccia di un pass per la scalabilità. Con 1.300 miliardi di valore di portafoglio dichiarati dai fondi presenti e più di 13.000 round di investimento nel 2024, la matematica dell’evento è semplice: tanta esposizione, pochissimo margine d’errore. O impressioni il giusto investitore al momento giusto, o torni a casa con lo stesso pitch e un QR code in più sul badge.

E qui sta il punto. Le startup non competono solo tra loro: competono contro il tempo, l’attenzione, la saturazione dell’hype. Quella che vince non sarà la più innovativa, né la più utile. Sarà la più “pitchabile”. In un mondo dove la differenza tra successo e anonimato si misura in 180 secondi ben recitati, il prodotto è spesso secondario. Conta la narrazione. E se puoi aggiungerci un po’ di AI, sostenibilità e una slide in stile Y Combinator, allora forse ti sei già guadagnato un follow-up call da Berlino o Tel Aviv.

«Le Sfide del Futuro», dicono dal WMF. Dodici in tutto. Un numero rassicurante, quasi biblico. Ma la vera sfida è sempre la stessa: trasformare visioni in modelli di business reali, senza farsi travolgere dal buzzword washing. Perché una startup che si definisce “AI-powered” e “impact-driven” ha il 37% in più di possibilità di ottenere un appuntamento con un VC, ma anche l’82% di probabilità di diventare irrilevante se il prodotto non regge la prova del mercato.

C’è da dire, però, che l’iniziativa ha un respiro internazionale autentico, non la solita vetrina autoreferenziale. Delegazioni da mezzo mondo, una pluralità di accenti che rende il networking interessante e, a tratti, persino utile. L’Investor Day con Invitalia è un’idea brillante, se non altro perché obbliga un’agenzia pubblica a confrontarsi con chi di innovazione vive ogni giorno. E i pacchetti di servizi del valore di oltre 1 milione di euro — formazione, tool, consulenze — sono, per una volta, premi concreti e usabili.

Il WMF si conferma quindi come l’equivalente fieristico di un laboratorio a cielo aperto dove il futuro si presenta in beta, con tutte le sue promesse e contraddizioni. Un festival che fonde digitale, sociale e imprenditoriale in un unico grande show. Che tu ci vada per business, per curiosità o per rimorchiare un founder in cerca di CTO, poco cambia. Se sai dove guardare, qualcosa di interessante lo trovi sempre.

E se non trovi nulla, almeno puoi dire di esserci stato. Perché nell’era dell’innovazione-spettacolo, anche l’apparire è una forma di capitale.