In principio era il lock screen, l’innocuo spazio digitale tra te e il resto del mondo. Poi arrivò Glance AI, un’idea brillante nella sua distopia, figlia della fervida immaginazione di InMobi, la stessa compagnia che trasformò gli smartphone Motorola in volantini interattivi. Oggi, grazie a una partnership con Samsung Galaxy Store, quel piccolo spazio protetto sul tuo telefono è pronto a diventare un camerino virtuale, uno showroom algoritmico, un catalogo sartoriale generato da intelligenza artificiale. Benvenuti nel futuro, dove persino il tuo riflesso diventa un modello inconsapevole al servizio dell’e-commerce.

L’offerta è, a dir poco, accattivante nella sua assurdità: scatta una foto, lascia che l’AI ti vesta con abiti che non hai mai toccato, osserva le “nuove proposte” del giorno, tutte disponibili con un semplice tap. E se l’idea di avere la tua versione generata da una rete neurale, in un completo che potresti anche detestare, stampata sul tuo lock screen ti suona inquietante, sappi che non sei solo. Ma la chiave è che tutto questo è “completamente opt-in”, un dettaglio ripetuto con lo zelo di chi sa di vendere un esperimento sociale travestito da feature tecnologica.

La frase che Glance utilizza per descrivere il suo sistema — “Generative AI shopping platform” — potrebbe tranquillamente finire su una lavagna dei crimini lessicali del XXI secolo. È il tipo di ossimoro che solo un mondo post-privacy, post-design, e quasi post-umano poteva partorire. Ma attenzione, perché sotto questa superficie grottesca pulsa una strategia freddamente razionale: catturare l’attenzione nel micro-momento più prezioso, quello in cui lo smartphone si riaccende, prima ancora di sbloccarlo. Lì, nella soglia tra il pensiero e l’azione, Glance prova a venderti qualcosa.

Chiariamo subito: questo non è un attacco frontale alla libertà dell’utente. Almeno non ancora. L’app è opzionale, l’invasione è camuffata da comodità. Ma come insegna ogni buon manuale di growth hacking, il primo passo è ottenere il consenso, magari spinto da una notifica ben piazzata. E Samsung, dal canto suo, offre l’ecosistema perfetto: una base installata di milioni di utenti Galaxy (S22, S23, S24 e S25), pronti a ricevere “esperienze arricchite” direttamente dal Galaxy Store. Esperienze che, non a caso, stanno per “raggiungere il 100% di distribuzione” in soli 30 giorni. Un rollout chirurgico, che non lascia spazio all’improvvisazione.

In India, dove Glance è nato, il sistema è già una realtà quotidiana. Il lock screen diventa un hub informativo, pubblicitario, e naturalmente commerciale. Eppure, per ora, la versione americana sembra più soft, meno invadente. Niente pubblicità esplicite, solo look giornalieri e opzioni di acquisto integrate. Ma se la storia della pubblicità digitale ci ha insegnato qualcosa, è che l’assenza di ads è solo un’illusione temporanea. Monetizzare l’attenzione è troppo allettante per resistere a lungo.

A livello tecnico, l’integrazione è intelligente. L’uso dell’intelligenza artificiale generativa non è banale: analisi dell’immagine dell’utente, applicazione di outfit su misura, personalizzazione continua dei suggerimenti. L’obiettivo non è semplicemente vendere, ma creare una dipendenza emozionale, un legame narcisistico tra l’utente e la sua rappresentazione ideale. Se ti piace come appari in quell’abito virtuale, sarai più incline ad acquistarlo. È la logica dell’auto-conferma, sfruttata con precisione chirurgica.

Il problema, ovviamente, è che in questo scenario tu non sei il cliente. Sei il prodotto, il campo di battaglia, il manichino inconsapevole. La tua attenzione è la valuta, la tua identità visiva l’infrastruttura. “Se è gratis, il prodotto sei tu” era solo l’inizio. Ora sei anche il testimonial, il soggetto e il pubblico. L’intelligenza artificiale non solo ti guarda: ti veste, ti giudica, ti propone, ti vende.

Naturalmente, il tutto si muove su un crinale etico piuttosto scivoloso. In un mondo in cui la personalizzazione è la nuova normalità, Glance AI rappresenta l’apice (o forse il baratro) della customer experience guidata dai dati. Non si tratta più di targettizzare segmenti demografici: si tratta di costruire versioni alternative di te stesso, e usarle come specchio desiderante. Un trucco da prestigiatore, con un pizzico di Orwell e un tocco di Gucci.

Non è un caso che i primi test avvengano negli Stati Uniti, patria del marketing esperienziale e dell’individualismo performativo. Se funziona qui, funzionerà ovunque. E una volta entrato nel ciclo quotidiano — nuova notifica, nuovo look, nuovo impulso — uscire diventa difficile. Il lock screen, da barriera passiva, diventa rituale attivo. La tecnologia smette di essere neutrale; diventa narrativa, estetica, imperativo morale.

C’è chi dirà che tutto questo è solo una funzione in più, che nessuno ti obbliga a usarla. Vero. Ma anche TikTok era solo una app di video brevi. Il punto non è ciò che è oggi, ma ciò che potrebbe diventare. Una volta che l’intelligenza artificiale entra nella rappresentazione del sé, ogni resistenza diventa estetica, non razionale. Non compri un vestito: compri la versione migliore di te stesso. Quella che l’AI ha avuto l’audacia di immaginare.

In definitiva, Glance AI è un esperimento affascinante e inquietante, un assaggio del futuro che ci aspetta. Un futuro in cui la pubblicità non ti interrompe, ma ti interpreta. In cui non vendi l’anima al diavolo, ma la lasci gestire da un algoritmo con senso dello stile discutibile. La buona notizia? Puoi sempre scegliere di non scaricarla. La cattiva? Potrebbe non servire. Come diceva Warhol, “Nel futuro ognuno sarà famoso per quindici minuti”. Con Glance, quei quindici minuti cominciano appena accendi lo schermo.