Roland Garros 2025. Cielo plumbeo sopra Parigi, come sempre quando la Storia si prepara ad aprire il sipario. Sotto l’arco ottocentesco del Philippe Chatrier, Jannik Sinner e Carlos Alcaraz si affrontano in una finale Slam che profuma di anni ’20, ma non quelli delle Charleston: questi sono anni algoritmici, in cui anche il tennis sta mutando codice genetico. E mentre noi ci sediamo al “bar dei daini” – caffè tiepido, croissant bruciato – le placide cronache sportive si fondono con un mondo in fiamme: tra liti pubbliche tra Musk e Trump, superbebé da 5.999 dollari e robot con più tatto dei corrieri Amazon.
Ci vuole un certo addestramento cognitivo per reggere la timeline attuale.
La finale tra Sinner e Alcaraz è l’antitesi della post-verità digitale. Due corpi reali, due nervi tesi, due cervelli biologici che giocano su terra rossa e non tra server farm e prompt ingegnerizzati. Il loro scontro è primitivo e avanguardistico, una lotta darwiniana tra due generazioni cresciute a pane e analytics. Un po’ come se Kasparov sfidasse AlphaZero, ma con la compostezza di un’epoca in cui i campioni avevano il volto sudato, non un avatar.
Nel frattempo, fuori dal campo, Elon Musk e Donald Trump consumano un divorzio professionale più grottesco che storico. Roba da soap distopica. Il re del razzo e l’oracolo del MAGA si separano tra tweet acidi e vendette annunciate. E in questa nube tossica, Jeff Bezos – da sempre il Bond villain del capitalismo cloud – accarezza i suoi razzi Blue Origin e si prepara a godersi il bottino: se Trump taglierà davvero i fondi a SpaceX, sarà Amazon a spedire turisti nello spazio, magari con consegna Prime entro 48 ore.
La politica americana si trasforma in un torneo di wrestling dove anche Sam Altman, l’uomo con la voce più tranquilla e il potere più assoluto, viene usato come pedina anti-Musk. Trump, pur odiando tutto ciò che odora di AI progressista, è disposto a sostenere il CEO di OpenAI pur di infastidire l’ex alleato spaziale. E chi vince? Probabilmente nessuno. Tranne forse gli elettori più cinici, che si godono il teatrino come se fosse l’ultimo episodio di “Succession”.
A proposito di “Succession”, Jesse Armstrong ha davvero partorito “Mountainhead”, film satirico sull’apocalisse AI che i critici mainstream hanno osannato. Ma se lo guardi con due neuroni accesi, ti accorgi subito che è una pacca sulle spalle al pensiero più pigro del giornalismo liberal. Armstrong si è affidato a “All-In” (quel podcast che sembra scritto da una ChatGPT confusa) come fonte d’ispirazione per rappresentare la Silicon Valley, e il risultato è un film con l’intelligenza di un algoritmo dopato di cliché.
E mentre HBO prova a darci la sua versione del disastro tech, arriva Simon Rich con una proposta molto più promettente: un film sull’epico golpe nella boardroom di OpenAI, diretto da Luca Guadagnino. Almeno lì c’è carne viva, interessi veri, rischio reputazionale. Se l’industria dell’intrattenimento vuole raccontare il lato oscuro della tech, che lo faccia con i muscoli narrativi di una Scorsese, non con le allusioni da TED Talk.

Intanto, fuori dalle sale cinematografiche e dai campi da tennis, l’umanità gioca un’altra finale: quella della riproduzione su misura. Nucleus Genomics, startup newyorchese finanziata da Alexis Ohanian e Founders Fund, ha messo sul mercato un test da 5.999 dollari che analizza 900 variabili genetiche per selezionare gli embrioni con aspettativa di vita più alta. E se vi sembra una puntata di “Black Mirror”, è solo perché siete rimasti indietro di tre update.

L’utero diventa algoritmo, l’etica una sottoscrizione premium. La selezione pre-impianto non si limita più a evitare malattie genetiche: ora può decidere quanto a lungo (forse) vivrà vostro figlio. E, come sempre, chi può pagare giocherà a fare Dio. Gli altri si accontenteranno del caso, e magari di una buona assicurazione sanitaria.
Il bello è che il mercato non è nemmeno abbastanza grande per reggere tutto questo. Quindi o queste tecnologie diventano più sofisticate e più care, oppure dovranno essere rese accessibili a molti. E quando la bioingegneria arriva al mass-market, il rischio non è solo la diseguaglianza genetica, ma l’illusione democratica del “diritto alla perfezione”.
Come si fa a vivere in un mondo in cui un robot consegna la pizza con più gentilezza del rider umano? Amazon ci sta già lavorando, testando umanoidi in grado di sostituire i fattorini in carne e ossa. È difficile dire se la novità sia distopica o semplicemente efficiente. Ma c’è qualcosa di malinconico in questa corsa al post-umano: abbiamo inventato la macchina più intelligente mai vista, ma l’abbiamo messa a portare pacchi.
Il paradosso è tutto qui: mentre le intelligenze artificiali esplodono, gli umani si riducono. Il tennis ci ricorda che c’è ancora spazio per il talento, il sudore e l’errore. Ma nel resto del mondo, vincono gli script. Ogni decisione, ogni relazione, ogni scelta riproduttiva è filtrata da un algoritmo. La libertà non è morta, ma ha cambiato indirizzo IP.
In questa mattina parigina, mentre Sinner serve per il primo set e un drone Amazon sorvola i tetti per consegnare un dildo ordinato su Prime, si percepisce chiaramente una scissione irreversibile. Da una parte, l’umanità ancora imperfetta, dall’altra l’intelligenza programmata a sostituirla. In mezzo, noi, col nostro caffè tiepido e una nostalgia che non ha ancora trovato un plug-in.