Benvenuti nell’era in cui l’intelligenza artificiale sostituisce l’intelligenza istituzionale, e la democrazia si trasforma in un backend API-first. Non è un distopico racconto di Gibson né una bozza scartata di Black Mirror: è l’America del 2025, dove l’innovazione di governo si chiama AI.gov e parla fluentemente il linguaggio dei Large Language Models. La fonte? Il codice sorgente pubblicato su GitHub. E come sempre, il diavolo si nasconde nei commit.
L’amministrazione Trump, evidentemente non ancora sazia di plot twist tecnocratici, ha deciso di lanciare una piattaforma di intelligenza artificiale gestita dalla General Services Administration, guidata da Thomas Shedd, ex ingegnere Tesla e fedelissimo del culto eloniano. Un tecnico più affine al codice che alla Costituzione. Il sito AI.gov – attualmente mascherato da redirect alla Casa Bianca – è il punto focale di una nuova strategia: usare l’AI per “accelerare l’innovazione governativa”. La parola chiave, naturalmente, è “accelerare”, il verbo preferito da chi taglia, privatizza, automatizza.
Dietro l’interfaccia minimalista e i termini da Silicon Valley, si cela un progetto molto ambizioso. Secondo quanto trapelato, AI.gov offrirà tre strumenti principali: un chatbot “intelligente” per assistenza amministrativa, un’API per connettersi ai modelli di OpenAI, Google e Anthropic (una santa trinità modellata a colpi di parametri), e una dashboard per analizzare il deployment AI su scala federale. Il tutto “alimentato dal meglio dell’AI americana”, come recita lo slogan. Mancava solo una bandiera sventolante in ASCII e lo Zio Sam che ti dice: I want you to be automated.
La data di lancio? Naturalmente il 4 luglio, perché nulla dice “indipendenza” come la cessione algoritmica della governance democratica.
Nel frattempo, Wired ha segnalato che il famigerato DOGE (Department of Government Efficiency), il feudo muschiano in stile Office Space distopico, ha contribuito a sostituire migliaia di dipendenti federali con “agenti AI” incaricati di scrivere codice, leggere contratti e stanare frodi. Sì, perché il vero nemico non è la corruzione sistemica, ma il lavoratore pubblico con contratto sindacalizzato.
L’ironia è quasi dolorosa: mentre Musk posta meme con spade laser e complotti interplanetari, il suo lascito è ben vivo e incistato nelle viscere della burocrazia federale. Come un Trojan (sia informatico che omerico), DOGE ha inoculato la logica startup dentro l’apparato statale. Adesso, AI.gov è la sua fase due.
Il sottotesto ideologico è chiarissimo. L’AI non è solo uno strumento. È la filosofia operativa di un governo che si concepisce sempre più come un’infrastruttura cloud-native: scalabile, modulare, disintermediata. Se la vecchia amministrazione era una cattedrale, oggi è un microservizio.
Eppure, come ogni API che si rispetti, anche AI.gov ha le sue dipendenze: il potere privato delle Big Tech, la logica black box degli algoritmi, e l’inevitabile opacità delle scelte codificate da modelli linguistici che nessuno ha eletto. È l’esternalizzazione della responsabilità politica nel formato JSON.
C’è anche da chiedersi: che fine fa l’accountability in questo schema? Chi è responsabile se l’agente AI rifiuta l’approvazione di un contratto per bias nascosto? O se un chatbot nega erroneamente un sussidio? Non è una domanda accademica: è una questione costituzionale. E al momento, nessuno sembra avere la risposta – ma tutti vogliono costruire il prompt.
Nel mezzo di questa rivoluzione digitale travestita da riforma amministrativa, c’è un piccolo paradosso epistemologico: l’AI impiegata dallo Stato si nutre di dati storici, ma serve a prendere decisioni future. In altre parole, si automatizza il passato per costruire il domani. Come se la burocrazia americana fosse un remix continuo delle sue inefficienze, però con una UI più sexy.
La promessa, ovviamente, è quella di sempre: efficienza, trasparenza, rapidità. Ma sappiamo bene come finiscono queste storie. Prima viene la dashboard, poi il monitoraggio, poi il ranking automatizzato dei cittadini. Vi ricordate il sistema cinese di social credit? Ecco, qui si parte dal cloud di AWS.
Un dettaglio gustoso: nel codice preliminare del sito AI.gov, 404 Media ha scoperto riferimenti a “agent authoring tools” per permettere ai funzionari di scrivere i propri assistenti AI. In pratica, il burocrate diventa programmatore, e l’apparato statale si trasforma in un costruttore di intelligenze artificiali customizzate. Kafka incontra Github.
Nel frattempo, il personale umano espulso dai corridoi federali è rimpiazzato da modelli linguistici che parlano con più coerenza, certo, ma senza empatia, contesto o etica. Il sogno della tecnocrazia autoregolata si avvera, mentre il servizio pubblico diventa un’applicazione serverless.
Ma l’AI non sbaglia mai, giusto? Basta chiedere a chi ha ricevuto una multa da un algoritmo o è stato licenziato da una pipeline automatizzata. Il futuro è qui, ed è scritto in Python. Ma nessuno ha ancora letto il changelog.
La conclusione, per chi se la fosse persa nel rumore di fondo, è piuttosto chiara: AI.gov non è un tool. È un manifesto politico travestito da feature. Un colpo di stato gentile, una riforma silenziosa, una nuova grammatica della governance. E come ogni linguaggio di programmazione, anche questa grammatica ha le sue fallacie semantiche.
Se il 4 luglio 1776 si dichiarava l’indipendenza dalla tirannia, il 4 luglio 2025 potremmo invece celebrare la resa della democrazia al machine learning supervisionato.
L’Italia forse ci arriverà con il fiatone, ma ci arriverà. E quando lo farà, sarà già troppo tardi per negoziare col prompt. Mentre l’America si lancia nella sua “AI Revolution” in stile Silicon Valley travestita da patriottismo, l’Europa si muove con l’andatura di un audit. Eppure, la traiettoria è inevitabile.
In Italia, il rischio più concreto è che l’adozione dell’AI nella pubblica amministrazione venga affidata a consulenti con PowerPoint affilati e modelli open source mal addestrati. Risultato? Algoritmi che decidono chi riceve il reddito di cittadinanza, chi passa il concorso, chi ottiene un mutuo… basandosi su pattern addestrati su archivi digitalizzati da stagisti. Il tutto, sotto l’egida di un “Piano Nazionale AI” scritto in burocratese, dove le parole trasparenza e efficienza si alternano come se fossero sinonimi di oblio dei diritti. Speriamo di No. Grazie.
In un futuro distopico europeo, l’algoritmo non solo ti profila: ti anticipa, ti misura, ti scarta. E tu, cittadino digitale, non reclami più in tribunale, ma tramite un modulo che inizia con “scrivi qui il tuo reclamo in linguaggio naturale”. Peccato che il sistema capisca solo il linguaggio della compliance.
Sources:
https://github.com/GSA-TTS/ai.gov?ref=404media.co
https://www.404media.co/github-is-leaking-trumps-plans-to-accelerate-ai-across-government
https://www.nytimes.com/interactive/2025/02/27/us/politics/doge-staff-list.html
https://www.nytimes.com/2025/02/03/technology/musk-allies-ai-government.html?ref=404media.co
https://www.wired.com/story/elon-musk-lieutenant-gsa-ai-agency/?ref=404media.co
https://www.wired.com/story/doge-recruiter-ai-agents-palantir-clown-emoji
https://www.theverge.com/elon-musk/680817/trump-musk-the-girls-are-fightingggg