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Elements of Responsible Use of AI in Healthcare (RUAIH™)

La tempesta perfetta dell’intelligenza artificiale in sanità

La sanità americana è entrata in una nuova era, e questa volta non si tratta di un aggiornamento software o di un’ennesima promessa di digital transformation. Il 17 settembre 2025 la Joint Commission e la Coalition for Health AI hanno rilasciato il Responsible Use of AI in Healthcare framework, la prima guida nazionale firmata da un ente di accreditamento per garantire un uso sicuro, etico e trasparente dell’intelligenza artificiale nei flussi clinici e operativi. Non un semplice documento tecnico, ma il preludio di una nuova infrastruttura morale e regolatoria destinata a ridisegnare il rapporto tra tecnologia, medicina e fiducia.

Nvidia Blackwell e il controllo strategico dei chip AI: Trump chiude le porte alla Cina

Di fronte alle dichiarazioni di Trump sul divieto di esportare i chip Blackwell più avanzati, è utile smontare con occhio critico quello che è dire, quello che potrebbe fare, e quello che è già in atto.

Trump afferma che il nuovo Blackwell è “dieci anni avanti a ogni altro chip” e che “non lo diamo ad altri”, ribadendo l’intenzione di riservarlo agli Stati Uniti. In altre parole, i chip top-level sarebbero soggetti a restrizioni ancora più stringenti rispetto a quelle già vigenti sotto le politiche di controllo statunitensi.

Il ricatto della Cina sulle terre rare e la tregua (armata) Trump-Xi Jinping

In un mondo dove le supply chain sono catene al collo delle superpotenze, la Cina di Xi Jinping sa benissimo come stringere il cappio. Mentre i media occidentali continuano a dipingere Donald Trump come il bullo del commercio internazionale, con i suoi dazi “fantasiosi” e minacce recapitate con un tweet, la verità, forse, è un po’ più ironica: è Pechino che ha forzato la mano, trasformando le terre rare in un’arma geoeconomica letale.

Le azioni di Trump allora potrebbero essere lette non come frutto di un capriccio protezionista americano, ma come una reazione a una mossa calcolata di Xi, che ha trasformato il suo dominio sul 90% della raffinazione globale di questi minerali strategici in uno strumento di ricatto planetario.

Benvenuti nel nuovo capitolo della guerra commerciale, dove la narrativa consolidata si capovolge e Trump appare non come l’aggressore, ma come il difensore di un Occidente colto alla sprovvista e dove l’incontro che si è appena svolto a Busan, in Corea del Sud, tra il presidente americano e quello cinese più che una svolta segna più che una svolta una tregua (armata).

MAGA ha imparato ad amare la sicurezza dell’AI

Immagina lo scenario: un partito fondato sulla libertà, sulla retorica anti-élite, sull’odio per il “governo invadente”, che improvvisamente diventa il guardiano della sicurezza digitale. Ironico? Certo. Ma è quello che sta accadendo mentre il movimento MAGA (Make America Great Again) si contrae in una guerra interna sulla regolamentazione dell’intelligenza artificiale. Da simbolo del laissez-faire, alcuni dei suoi pezzi grossi si tramutano in paladini del “non lasciate che i chat-bot uccidano i nostri figli”.

Arabia Saudita e Stati Uniti, il ritorno del principe dei contratti

Mohammed bin Salman sta per tornare alla Casa Bianca, e non con le mani vuote. Il 18 novembre incontrerà Donald Trump in quello che si preannuncia come un vertice carico di simbolismo e miliardi. Secondo fonti vicine al dossier, sul tavolo ci saranno accordi su intelligenza artificiale, difesa, cooperazione nucleare e commercio. In altre parole, il pacchetto completo per riplasmare gli equilibri strategici tra Washington e Riyadh.

Il triangolo geopolitico dell’AI: libertà selvaggia, regole di ferro o controllo totale? REPORT

In un mondo dove l’AI genera testi più eloquenti di un discorso presidenziale e immagini capaci di ingannare persino i più esperti, molto probabilmente la domanda che dobbiamo porci non è più se regolare questa tecnologia, ma come. Viviamo, inutile nascondercelo, in un’arena geopolitica dove l’Europa brandisce il righello della compliance come un monito biblico, gli USA accelerano a tavoletta sul binario dell’innovazione “libera per tutti” (o quasi) e la Cina orchestra un balletto tra sorveglianza e supremazia tecnologica.

Addio ai 7.500 dollari che elettrizzavano l’America: come la fine dei crediti fiscali rischia di spegnere il sogno dei veicoli elettrici

Un caffè al Bar dei Daini

A ottobre 2025 gli Stati Uniti voltano pagina: i crediti fiscali federali per i veicoli elettrici (EV), una volta in grado di offrire fino a 7.500 dollari per veicolo, sono ufficialmente scaduti. Questi incentivi, introdotti con il Inflation Reduction Act del 2022, sono stati per anni il carburante finanziario che ha reso più digeribile l’acquisto di EV e ha spinto le case automobilistiche a investire in produzione. La loro cessazione genera interrogativi ben più grandi delle cifre in gioco: come manterrà il Paese lo slancio nella transizione verso un trasporto pulito?

La Regolamentazione AI si fa più Intelligente’: le lezioni dagli Stati USA nel 2025

Rivista.AI – Ottobre 2025 Report

Un anno dopo l’approvazione del pionieristico Colorado Artificial Intelligence Act (CAIA), il panorama legislativo statunitense sull’Intelligenza Artificiale ha subito una significativa evoluzione. I legislatori si stanno allontanando dai “quadri normativi onnicomprensivi” per abbracciare un approccio più mirato e incentrato sulla trasparenza.

La Svolta del 2025: da Framework Generici a Obiettivo Specifico

Nel 2025, nonostante l’introduzione di

210 proposte di legge sull’AI in 42 Stati , pochi quadri normativi ambiziosi sono diventati legge, con un tasso di promulgazione di circa il 9%. Il trend dominante si è concentrato su misure “più mirate, basate sull’obbligo di divulgazione” e studiate per casi d’uso o tecnologie specifiche.

Modelli AI cinesi dietro rispetto a quelli americani, tra performance costi e sicurezza

Il nuovo rapporto del governo statunitense ha alzato il sipario su una realtà che tutti sussurravano nei corridoi della Silicon Valley ma pochi avevano messo nero su bianco: i modelli AI cinesi restano indietro rispetto alle controparti americane, sia in termini di performance che di sicurezza, nonostante la loro crescente popolarità globale. A firmare l’analisi è il Centre for AI Standards and Innovation del NIST, insieme al Dipartimento del Commercio, che ha deciso di classificare piattaforme come DeepSeek nella categoria “adversary AI”. Non proprio il biglietto da visita ideale quando si parla di fiducia e adozione su larga scala.

Investimenti AI e la recessione americana che non osa dire il suo nome

L’economia americana oggi si regge su un paradosso tanto elegante quanto pericoloso. Se non fosse per i giganteschi investimenti AI delle Big Tech, probabilmente gli Stati Uniti sarebbero già entrati in recessione. Lo ha dichiarato senza troppi giri di parole Dario Perkins, economista di TS Lombard, uno che osserva i numeri con la freddezza di chi sa che dietro i grafici ci sono equilibri politici e poteri economici, non solo linee che salgono e scendono. Mentre consumi, occupazione e investimenti tradizionali rallentano, i data center spuntano come funghi steroidei, pompando miliardi dentro un’economia che assomiglia sempre più a un paziente attaccato a una macchina di ventilazione artificiale: funziona, ma non respira da solo.

Taiwan dice no agli USA: la guerra dei chip che infuria tra America e Cina

Taiwan ha detto no. Non è una dichiarazione da poco, soprattutto se pronunciata da una nazione che produce oltre il 90% dei semiconduttori avanzati al mondo. La richiesta degli Stati Uniti, avanzata dal Segretario al Commercio Howard Lutnick, era chiara: trasferire almeno il 50% della produzione di chip taiwanesi sul suolo americano. Ma Taipei ha risposto con fermezza: “Non abbiamo mai discusso né accettato una divisione equa nella produzione di semiconduttori”. La Vice Premier Cheng Li-chiun ha sottolineato che tale proposta non è mai stata parte delle trattative bilaterali in corso.

TikTok US valutazione da svendita: un prezzo politico che riscrive le regole del mercato tecnologico

Parliamo chiaro. La valutazione di TikTok US a 14 miliardi di dollari non è semplicemente bassa, è un insulto all’intelligenza economica. È come se ti offrissero una Ferrari a prezzo di utilitaria solo perché l’auto è parcheggiata in una zona a traffico limitato e il vigile ha deciso che non puoi muoverla se non con un nuovo proprietario. La decisione dell’amministrazione Trump di orchestrare la vendita forzata dell’app negli Stati Uniti ha imposto una cifra che grida al mercato: qui non comandano i multipli di ricavi o EBITDA, qui comanda la geopolitica.

La nuova politica industriale USA e l’illusione della mano invisibile che diventa visibile

La mano invisibile di Adam Smith, quella che per decenni ha dominato il mito del libero mercato americano, sembra aver deciso di uscire dall’ombra. Non più metafora ma appendice concreta di Washington che entra nel capitale di Intel, valuta partecipazioni in Lithium Americas e si riscopre improvvisamente paladina della politica industriale. Gli Stati Uniti, per anni maestri di deregulation e predicatori di concorrenza pura, oggi copiano maldestramente il playbook di Pechino. E lo fanno con la goffaggine di chi non ha memoria storica di come si costruisce un apparato industriale nazionale.

PWE Research cosa pensano davvero gli americani dell’intelligenza artificiale

È curioso osservare come la patria delle Big Tech, il Paese che ha trasformato il termine Silicon Valley in un marchio globale di innovazione, stia oggi guardando con sospetto la stessa intelligenza artificiale che esporta al resto del mondo. I numeri parlano chiaro: metà degli americani è più preoccupata che entusiasta dell’aumento dell’uso dell’AI nella vita quotidiana. Solo uno sparuto 10% osa dichiararsi “eccitato”. Il resto si posiziona nel mezzo, diviso tra inquietudine e fascino, come chi osserva un’auto senza conducente passare a un incrocio trafficato e si chiede se fidarsi o scappare.

Generative AI: l’intelligenza artificiale che invade le agenzie federali americane

Il governo federale degli Stati Uniti ha deciso di abbracciare l’intelligenza artificiale generativa con un entusiasmo che sfiora l’irrazionale. Dalla scrittura di codice alla risposta alle domande dei cittadini, strumenti ispirati a ChatGPT stanno facendo il loro ingresso in vari dipartimenti governativi. Alcuni vedono in questo un passo verso l’efficienza, mentre altri avvertono che la tecnologia viene adottata più velocemente di quanto sia pronta, sollevando rischi di eccessiva dipendenza, perdita di posti di lavoro e fiducia mal riposta.

Flat Tax italia e il sogno complicato degli americani che inseguono la dolce vita

Quello che ho letto su Forbes è la classica vetrina patinata che mostra il lato glamour dell’Italia come paradiso fiscale per ricchi americani, pensionati vagamente bohémien e digital nomad che credono di aver trovato la scorciatoia per “la dolce vita”. Ma la realtà è una tela più complicata, fatta di leggi che sembrano uscite da un manuale medievale, di burocrazia degna di Kafka e di quella irresistibile ambiguità italiana che ti offre un sorriso mentre ti complica la vita. Proviamo a smontare la facciata con lo sguardo di un tecnologo e CEO che non si accontenta dei titoli scintillanti, e soprattutto con la consapevolezza che quando si parla di tassazione globale, nulla è mai davvero semplice.

Nvidia e AMD pagheranno una quota delle vendite di chip ai cinesi: il nuovo patto americano che riscrive le regole del gioco

Un accordo “altamente insolito” sta scuotendo il mondo dell’intelligenza artificiale e dei semiconduttori. Nvidia e AMD, due colossi della produzione di chip AI, hanno accettato di cedere una fetta dei ricavi delle loro vendite in Cina al governo statunitense. Non è uno scherzo, né una mera questione di cortesia commerciale: il Financial Times ha svelato come Nvidia condividerà il 15% dei profitti derivanti dalle vendite dei suoi chip H20 in Cina, mentre AMD applicherà la stessa percentuale sulle entrate dei chip MI308. Un modo piuttosto diretto per mettere il governo americano dentro al business della tecnologia made in USA esportata ai rivali geopolitici.

La minaccia invisibile di Deepseek: quando l’open source cinese diventa una questione di sicurezza nazionale

È una di quelle storie che sembrano scritte da un algoritmo di distopia geopolitica. Da una parte, un’innocua AI open source che promette di democratizzare la conoscenza. Dall’altra, una rete invisibile che collega Hangzhou a Langley, passando per Capitol Hill. DeepSeek, un nome che suona quasi filosofico, è oggi l’ennesimo detonatore di una guerra fredda digitale che non ha bisogno di missili, ma di prompt, modelli di linguaggio e pesi condivisi su GitHub. Dietro il velo dell’open source si nasconde qualcosa di più denso, di più torbido, e ironicamente di meno trasparente.

Palantir l’impero dei dati conquista il Pentagono di nuovo

Quando Palantir Technologies chiude un accordo da 10 miliardi di dollari con l’esercito statunitense, non sta vendendo solo software. Sta vendendo visione, dominio cognitivo e l’illusione di una guerra algoritmica vinta prima ancora di essere combattuta. Questa non è una semplice commessa: è l’incoronazione. Il Dipartimento della Difesa ha appena reso Palantir il suo oracolo ufficiale, il suo motore di decisione, la sua lente analitica sul caos del mondo moderno.

La notizia, riportata anche dal Washington Post con enfasi degna di una vittoria elettorale, è chiara: un contratto quadro da 10 miliardi di dollari, potenzialmente valido per i prossimi dieci anni. Unificati sotto un’unica architettura 75 contratti sparsi, 15 principali e 60 correlati, come un esercito disordinato riunito finalmente sotto un’unica bandiera. L’obiettivo dichiarato? Ridurre i tempi di approvvigionamento, offrire accesso rapido agli strumenti di analisi, intelligenza artificiale e integrazione dati. L’obiettivo reale? Molto più ambizioso: riscrivere le regole del potere operativo.

L’america ammazzerà l’Open Banking? Il sistema finanziario più potente del mondo ha paura del proprio futuro

La verità è che l’Open Banking, negli Stati Uniti, non è mai stato davvero vivo. È sopravvissuto come un esperimento decentralizzato, spinto dai muscoli della fintech e dalla pigrizia regolatoria di Washington. Ma quello che è accaduto negli ultimi mesi, culminato nella decisione del 29 luglio, racconta molto più di una battaglia tra banche e startup. È la storia di come il sistema finanziario americano stia cercando di proteggere sé stesso, anche a costo di sacrificare l’innovazione, la concorrenza e ironicamente il consumatore.

La guerra algoritmica è iniziata: i droni Ucraini con AI stanno riscrivendo le regole della guerra

Non servono più generali geniali, servono algoritmi che sanno uccidere. Il Pentagono lo sa bene. Per questo ha appena firmato un contratto da 50 milioni di dollari con Auterion, una startup svizzera con sede a Zurigo e Arlington, per fornire 33.000 “strike kits” alimentati da intelligenza artificiale all’esercito ucraino. Cosa fanno questi kit? Trasformano droni commerciali da Amazon in killer autonomi. Praticamente, il futuro della guerra costa meno di uno smartphone.

Non parliamo di prototipi da laboratorio, ma di hardware pronto per la spedizione entro fine anno. Le specifiche tecniche fanno rabbrividire quanto entusiasmare chi investe nella difesa next-gen. Il cuore del sistema è Skynode S, un modulo grande come una carta di credito con 4GB di RAM, 32GB di storage e la capacità di navigare, riconoscere bersagli e colpirli anche sotto jamming elettronico. In altre parole: il drone non ha più bisogno di un pilota umano. Vede, pensa e attacca. In autonomia. Chi ha bisogno del joystick quando puoi dare carta bianca a un software che prende decisioni mortali a 100 km/h?

AI Action Plan USA spiazza tutti mentre l’Europa rischia di perdere il TRENO AI

Sì, lo ammetto. Dopo mesi di retorica accelerazionista al limite del grottesco, nessuno si aspettava che l’amministrazione Trump tirasse fuori qualcosa di vagamente intelligente. Le attese per il Piano d’Azione per l’Intelligenza Artificiale USA erano talmente basse che la comunità tecnologica, me compreso, si aspettava un documento propagandistico, un inno all’innovazione selvaggia senza neanche il fastidio di menzionare i rischi. E invece, mercoledì, la Casa Bianca ha reso pubblico un testo che, pur con i suoi limiti, ha sorpreso praticamente tutti. Perfetto? No. Ma straordinariamente più maturo del previsto. È questo il vero shock.

La Guerra Fredda dell’Intelligenza Artificiale: il bando del “Woke AI” come arma politica contro la Cina e il futuro tecnologico degli Stati Uniti

EXEC ORDER L’intelligenza artificiale, un tempo terreno di pura innovazione tecnologica e ottimizzazione dei processi, si sta rapidamente trasformando in un campo di battaglia geopolitico e culturale. La recente ondata di modelli AI cinesi come quelli di DeepSeek e Alibaba non ha soltanto attirato l’attenzione per le capacità tecniche, ma soprattutto per la loro selettiva “censura” su argomenti critici verso il Partito Comunista Cinese. Non è un dettaglio da poco: questi sistemi sono stati ufficialmente riconosciuti da funzionari americani come strumenti costruiti per riflettere il pensiero e la narrativa di Pechino, e questo svela un problema sistemico di bias e propaganda digitale che spinge a riconsiderare la “neutralità” di certe tecnologie.

FDA e AI: quando l’innovazione diventa allucinazione tecnologica

CNN L’Intelligenza Artificiale doveva essere la bacchetta magica per la Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia americana che regola farmaci e dispositivi medici. Un’accelerazione delle approvazioni, una svolta epocale nel processo di controllo e validazione, una marcia in più nel contrasto alle inefficienze burocratiche. Ma invece di una rivoluzione, l’AI “Elsa” si sta rivelando un flop clamoroso, una fonte di “allucinazioni” digitali che citano studi inesistenti, travisano dati scientifici e perdono il contatto con la realtà, come hanno raccontato impiegati FDA a CNN. Un fallimento che vale più di una beffa, soprattutto per chi ha scommesso sull’AI come panacea.

Trump, Nvidia e il piano segreto dell’AI: quando la politica scopre di non contare più nulla

La scena è quasi surreale, degna di un copione satirico. L’uomo che ambisce a tornare alla Casa Bianca ammette candidamente di non aver mai sentito nominare Nvidia, l’azienda più preziosa al mondo per capitalizzazione, la stessa che definisce di fatto la corsa globale all’intelligenza artificiale. Donald Trump racconta, con il suo tipico stile teatrale, di come inizialmente avesse pensato di “spaccarla”, salvo poi scoprire che non è così facile smantellare un monopolio tecnologico che domina un mercato con una quota vicina al 100%. “Who the hell is he? What’s his name?”, ha chiesto Trump al suo consigliere, come se si parlasse di un boss di quartiere e non di Jensen Huang, il fondatore e CEO che ha costruito l’impero dell’AI. L’ingenuità apparente, o forse la finzione strategica, rivela un dato cruciale: la politica americana non è più il motore dell’innovazione, ma un osservatore che rincorre i colossi privati.

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Trump prepara un nuovo “piano d’azione AI” che rompe con Biden

Winning the Race America’s AI Action Plan

Eccolo, finalmente svelato, il tanto atteso AI Action Plan. Non è un semplice documento programmatico, è un manifesto di potere tecnologico, una dichiarazione di guerra fredda digitale mascherata da politica industriale. Si parla di accelerare l’innovazione, costruire un’infrastruttura AI muscolare e guidare la diplomazia internazionale come se si stesse scrivendo il sequel aggiornato della dottrina Monroe, ma per l’intelligenza artificiale. L’unboxing rivela un piano che non punta solo a “correre più veloce”, ma a riscrivere le regole del gioco, imponendo agli altri di adeguarsi. Chi si aspettava un’operazione burocratica, moderata e noiosa, non ha capito il senso del momento: qui si respira la tensione da corsa agli armamenti digitali.

72 % dei teenager USA parlano con AI? Facciamoci due chiacchiere

Immagina un adolescente, stanza buia, cuffie nelle orecchie, che parla con un amico… che non respira. Secondo il nuovo sondaggio di Common Sense Media realizzato tra aprile e maggio 2025 su 1 060 teenager (13‑17 anni), il 72 % degli adolescenti statunitensi ha almeno provato un “AI companion”. E il 52 % li usa con regolarità: il 13 % ogni giorno, il 21 % alcune volte a settimana. Roba da far impallidire il tamagotchi.

Il paradosso dell’intelligenza artificiale tra occupazione e inflazione nella nuova economia

In un mondo dove le tecnologie emergenti non sono più semplici supporti ma veri e propri protagonisti, l’intelligenza artificiale si affaccia con prepotenza al centro del dibattito economico globale, in particolare riguardo alla doppia missione della Federal Reserve: massima occupazione e stabilità dei prezzi. Lisa Cook, governatore della Fed, ha riassunto con una chiarezza chirurgica la sfida che ci attende. Da una parte, l’AI promette di rivoluzionare il mercato del lavoro, potenziando la produttività dei lavoratori ma allo stesso tempo alterando radicalmente la composizione stessa delle mansioni. Dall’altra, l’effetto sui prezzi non è affatto scontato, oscillando tra una possibile riduzione delle pressioni inflazionistiche grazie alla maggiore efficienza e l’aumento dei costi derivante dall’investimento massiccio in nuove tecnologie.

Come sabotare un cervello artificiale senza lasciare impronte: l’arte americana della guerra invisibile nell’era dell’AI

Non servono più i droni Predator per colpire il nemico. Basta una virgola fuori posto in un dataset. L’arma del futuro non fa rumore, non produce crateri e non si vede nemmeno con i satelliti. Si chiama data poisoning, e se non hai ancora capito quanto sia centrale per la guerra moderna, stai leggendo i giornali sbagliati. Benvenuti nella nuova era della disinformazione algoritmica, dove un’immagine pixelata o un’etichetta sbagliata possono compromettere l’intera architettura decisionale di un sistema militare autonomo. E no, non è fantascienza. È dottrina militare, nascosta nei silenzi obliqui del Title 50 dello U.S. Code.

Quando l’auto si ribella: l’era del robotaxi e l’illusione dell’intelligenza

Ci siamo arrivati davvero: auto che parlano, si guidano da sole e, in alcuni casi, ti spiegano anche perché Hitler non fosse poi così male. Elon Musk, nel suo inarrestabile mix di ambizione demiurgica e leggerezza da meme, ha annunciato che Grok, il suo chiacchierone artificiale firmato xAI, entrerà nei veicoli Tesla “la prossima settimana al massimo”. Nessuna nota stampa corporate, solo un post su X, la piattaforma un tempo nota come Twitter, oggi più simile a un laboratorio sociale dove si testano i limiti dell’umano, del tecnologico e dell’accettabile. Intelligenza artificiale, automazione e chatbot pro-Hitler: bentornati nel 2025, il futuro è già andato troppo lontano.

Ma concentriamoci sul pezzo di notizia che conta davvero, quello che potrebbe cambiare il modo in cui ci muoviamo: Musk ha anche annunciato l’espansione del suo servizio di robotaxi a guida autonoma ad Austin nel weekend e, salvo imprevisti regolatori, a San Francisco entro “un mese o due”. Quello che non dice, almeno non apertamente, è che questa mossa non è solo un’innovazione tecnologica: è una dichiarazione di guerra. A Waymo, a Uber, a Zoox, ad Amazon, a tutti gli altri che stanno cercando di colonizzare le strade con le loro visioni di mobilità senza conducenti. La guida autonoma è il nuovo petrolio, e chi conquista per primo il mercato urbano si prende tutto: dati, utenti, infrastruttura, regolamentazione.

Come l’America vuole insegnare ai suoi insegnanti a domare l’intelligenza artificiale in classe

America, la terra promessa delle startup, ora si mette a insegnare ai suoi insegnanti come non farsi surclassare dall’intelligenza artificiale. Immaginate quasi mezzo milione di docenti K–12, cioè scuole elementari e medie, trasformati da semplici dispensatori di nozioni a veri e propri coach del futuro digitale grazie a una sinergia che sembra uscita da una sceneggiatura hollywoodiana: il più grande sindacato americano degli insegnanti alleato con i colossi OpenAI, Microsoft e Anthropic. Una nuova accademia, la National Academy for AI Instruction, basata nella metropoli che non dorme mai, New York City, promette di rivoluzionare il modo in cui l’intelligenza artificiale entra in classe. Non più spettatori passivi ma protagonisti attivi in un’epoca che sembra dettare legge anche tra i banchi di scuola.

La farsa della moratoria sull’IA è finita (per ora), ma non cantate vittoria: l’ecosistema AI Safety resta un cane con la museruola

Il mondo dell’intelligenza artificiale è pieno di annunci roboanti, iperboli apocalittiche e un generale senso di urgenza che neanche un economista keynesiano sotto adrenalina. Ma il teatrino della moratoria regolatoria andato in scena a Washington questa settimana merita uno slow clap. Una commedia degli equivoci dove nessuno sembra aver letto davvero il copione, ma tutti fingono di aver vinto. Spoiler: non ha vinto nessuno. E men che meno l’AI safety.

Il riassunto, per chi ha avuto la fortuna di ignorare il caos: lunedì, i senatori Marsha Blackburn e Ted Cruz si erano accordati su una moratoria di cinque anni per regolamentazioni sull’IA, con qualche deroga su temi sensibili come la sicurezza dei minori e la tutela dell’immagine dei creatori di contenuti. Non esattamente una stretta totale, ma abbastanza per sollevare più di un sopracciglio tra chi crede che un po’ di freno all’orgia deregolatoria dell’AI non sia poi un’idea così malsana.

Quando l’intelligenza artificiale diventa un cavallo di Troia: la crociata di Robert F. Kennedy jr. contro la sanità pubblica

Il problema non è l’intelligenza artificiale. Il problema è chi la maneggia come se fosse una mazza ferrata invece che uno strumento di precisione. Robert F. Kennedy Jr., nel suo recente e sconcertante tête-à-tête di 92 minuti con Tucker Carlson, non ha solo presentato una visione distopica del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (HHS), ma ha suggerito che l’IA possa rimpiazzare decenni di scienza medica, dati epidemiologici e perfino il buon senso. Un’utopia tecnologica dai contorni inquietanti, in cui il sapere scientifico viene annichilito in favore di modelli computazionali manipolabili, se non apertamente truccabili.

Kennedy ha definito la sua leadership all’HHS come una “rivoluzione dell’IA”, chiedendo agli americani di “smettere di fidarsi degli esperti”. È difficile immaginare una frase più tossica nel contesto di una pandemia globale e della più grande campagna vaccinale della storia moderna. Quando il capo della sanità pubblica smonta pubblicamente l’autorità scientifica e medica in favore di una tecnologia ancora ampiamente sperimentale, il risultato non è progresso, ma regressione mascherata da innovazione.

Chi regola i regolatori dell’intelligenza artificiale?

Non è una domanda retorica, è una provocazione. Una necessaria, urgente, feroce provocazione. Mentre il mondo si perde tra l’isteria da ChatGPT e la narrativa tossica del “l’AI ci ruberà il lavoro (o l’anima)”, ci sono decisioni molto più silenziose e infinitamente più decisive che si stanno prendendo altrove, tra comitati tecnici, audizioni parlamentari e board di fondazioni ben vestite di buone intenzioni. Decisioni che non fanno rumore, ma costruiscono impalcature che domani potrebbero regolare ogni riga di codice, ogni modello, ogni automatismo. Benvenuti nel teatro invisibile della AI governance.

Nessuno esporta democrazia meglio di una licenza EDA

Quando l’America decide di regalare qualcosa alla Cina, non si tratta mai di panda o hamburger. Di solito si tratta di silicio, o meglio, del software che permette a chiunque, ovunque, di disegnare il cuore pulsante del mondo moderno: il chip. Dopo anni di schermaglie tecnologiche, restrizioni e guerre a colpi di export control, gli Stati Uniti hanno improvvisamente deciso di togliere il guinzaglio a Siemens, Synopsys e Cadence, i tre pilastri dell’EDA, ovvero Electronic Design Automation, lasciandoli liberi di vendere i loro strumenti di progettazione di semiconduttori alla Cina. E no, non è uno scherzo. È geopolitica in tempo reale, nella sua versione più sofisticata: quella che si scrive con righe di codice e clausole di licensing.

La silicon valley ha perso la voce e adesso cerca un profeta in affitto


ovvero come la tech élite sta disperatamente cercando un redento da esibire in pubblico mentre affonda nella sua stessa mitologia

Quando inizia a girare nei corridoi di Sand Hill Road la voce che serva “un JD Vance della Silicon Valley”, il primo pensiero non è tanto la nostalgia per l’Ohio rurale quanto il panico esistenziale di una classe dirigente che, dopo aver glorificato l’ingegnere asociale e la cultura del blitzscaling, si ritrova culturalmente orfana. JD Vance, per chi avesse trascorso l’ultimo decennio chiuso in una capsula criogenica, è l’autore di Hillbilly Elegy, una specie di epitaffio narrativo per la working class bianca americana, riconvertitosi in politico trumpiano come da manuale post-apocalittico. Silicon Valley vorrebbe un personaggio così, ma in chiave tech. Un redento. Uno che venga dal fango ma mastichi JavaScript.

Quando l’America prova a salvare l’AI dai suoi stessi STATI e fallisce miseramente

La scena potrebbe sembrare uscita da un dramma teatrale scritto da Kafka e diretto da Aaron Sorkin con un bicchiere di bourbon in mano: il Senato degli Stati Uniti, in un rarissimo momento di consenso bipartisan, ha votato 99 a 1 per eliminare una moratoria che avrebbe impedito agli stati di regolamentare l’intelligenza artificiale. Ma non lasciamoci ingannare dal numero schiacciante. Questo voto non rappresenta unità. È il prodotto di un collasso nervoso collettivo, l’incapacità strutturale del Congresso di capire chi comanda davvero quando si parla di AI: i legislatori, le lobby o gli algoritmi.

Il tentativo repubblicano di blindare la crescita dell’IA dentro un recinto federale centralizzato, impedendo agli stati di fare da sé, si è infranto contro un fronte variegato e vagamente schizofrenico: dai libertari digitali alla frangia populista MAGA, fino ai democratici impegnati a difendere le micro-sovranità statali. Un mix letale per qualsiasi progetto normativo. Eppure la proposta di moratoria non era nata per caso. Nascondeva un intento molto chiaro, quasi scolpito nei tweet di Elon Musk e nei white paper delle Big Tech: evitare che un mosaico impazzito di leggi statali, ognuna con la sua definizione di “AI”, potesse inceppare l’orgia di innovazione e investimenti che Silicon Valley pretende a colpi di deregulation.

Trump accelera sull’intelligenza artificiale, ma a spese della rete elettrica americana

Da un report di Reuters Venerdi.

Donald Trump, campione del deregulationismo applicato al XXI secolo, ha deciso che l’intelligenza artificiale non deve solo evolvere: deve dominare. E come spesso accade nelle epopee americane, non si guarda troppo ai danni collaterali. Secondo quanto riportato da Reuters, il presidente starebbe valutando una serie di ordini esecutivi per sostenere lo sviluppo dell’AI, con un approccio che prevede l’uso estensivo di terra federale per costruire data center e una corsia preferenziale per i progetti energetici. Un piano perfettamente in linea con la retorica trumpiana: sovranità, velocità e niente burocrazia.

Washington AI Insights

Quando anche il Congresso ha paura dell’intelligenza artificiale

Quello che è appena accaduto nella Commissione parlamentare del Congresso americano su Cina e intelligenza artificiale non è una semplice udienza: è un campanello d’allarme istituzionale, un raro momento di lucidità bipartisan in un’epoca in cui la lucidità è un bene scarso quanto la moderazione algoritmica su TikTok. Se finora l’Intelligenza Artificiale era il giocattolo brillante dei CEO in cerca di market cap, dei venture capitalist in overdose da PowerPoint e dei think tank autocompiaciuti, ora entra ufficialmente nel vocabolario legislativo con una gravitas che ricorda l’ansia esistenziale dei primi esperimenti atomici.

Il fatto che deputati statunitensi — con curricola spesso più adatti al talk show serale che alla supervisione dell’AGI — parlino apertamente di minacce esistenziali, superintelligenza, necessità di allineamento ai valori umani, trattati in stile Convenzione di Ginevra e persino di scenari da ricatto digitale perpetrato da agenti come Claude, è un segnale forte: la politica non solo ha smesso di ignorare l’intelligenza artificiale, ma ha cominciato a temerla. E quando il Congresso ha paura, storicamente, è lì che succede qualcosa. Spesso non qualcosa di buono, ma comunque qualcosa.

“No  Adversarial  AI  Act”, la proposta bipartisan presentata il 25 giugno 2025, che potrebbe cambiare gli equilibri nell’intelligenza Artificiale Americana

Il cuore del provvedimento è semplice: vietare a tutte le agenzie esecutive federali statunitensi l’utilizzo di modelli di intelligenza artificiale originari da “nazioni avversarie” – Cina, Russia, Iran e Corea del Nord – a meno che il Congresso o l’OMB concedano un’eccezione L’obiettivo dichiarato? Proteggere le reti governative da possibili influenze o manipolazioni estere. Secondo i promotori, “non possiamo permettere che sistemi AI ostili operino al nostro interno”, una frase forte che definisce bene lo spirito della proposta.

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