Il mondo dell’intelligenza artificiale è pieno di annunci roboanti, iperboli apocalittiche e un generale senso di urgenza che neanche un economista keynesiano sotto adrenalina. Ma il teatrino della moratoria regolatoria andato in scena a Washington questa settimana merita uno slow clap. Una commedia degli equivoci dove nessuno sembra aver letto davvero il copione, ma tutti fingono di aver vinto. Spoiler: non ha vinto nessuno. E men che meno l’AI safety.
Il riassunto, per chi ha avuto la fortuna di ignorare il caos: lunedì, i senatori Marsha Blackburn e Ted Cruz si erano accordati su una moratoria di cinque anni per regolamentazioni sull’IA, con qualche deroga su temi sensibili come la sicurezza dei minori e la tutela dell’immagine dei creatori di contenuti. Non esattamente una stretta totale, ma abbastanza per sollevare più di un sopracciglio tra chi crede che un po’ di freno all’orgia deregolatoria dell’AI non sia poi un’idea così malsana.

Poi, in una perfetta dimostrazione di come la politica americana funzioni come una chat di gruppo in tilt, Blackburn ha cambiato idea. Una nuova analisi giuridica di LawAI ha smontato il compromesso: il testo, a quanto pare, non proteggeva davvero i suoi interessi. A quel punto, il cast si è arricchito: advocacy groups in pressing sulla leadership, Steve Bannon che telefona furioso, Mike Davis che convoca Trump come se fosse il boss finale di un videogioco legislativo. E alla fine, il colpo di scena: la senatrice fa marcia indietro, Cruz la segue come un soldatino, e la moratoria muore. Votazione finale? 99 a 1. Amen.
A prima vista, sembrerebbe un trionfo per l’AI safety: le principali organizzazioni che si battono contro i rischi sistemici dell’intelligenza artificiale hanno ottenuto una vittoria politica inaspettata. Encode, Americans for Responsible Innovation, LawAI: applausi. Ma sotto la superficie di questo successo si nasconde una verità molto meno gloriosa. Non è stata una vittoria dell’AI safety. È stata una vittoria delle forze anti-tech, delle paure sui deepfake pedopornografici e delle ansie dei genitori sul metaverso. In altre parole: la battaglia si è vinta solo perché le paure dei senatori coincidevano, incidentalmente, con quelle dell’AI safety. La convergenza degli interessi ha funzionato. Ma durerà quanto un filtro TikTok.
È importante notare che l’ostilità alla moratoria non è nata da un improvviso amore per la regolamentazione etica dell’intelligenza artificiale. No, è nata dal terrore che questa stessa moratoria impedisse di combattere contenuti generati dall’IA che mettono in pericolo i bambini o sfruttano l’identità dei creator. Problemi concreti, mediaticamente spendibili, e politicamente redditizi. I rischi esistenziali dell’intelligenza artificiale? Troppo vaghi, troppo lontani, troppo nerd. Nessun senatore americano vuole essere quello che ha votato contro la sicurezza dei bambini per difendere una startup di San Francisco che giura di avere una superintelligenza che salverà l’umanità. L’AI safety, insomma, ha beneficiato di un cortocircuito comunicativo, non di un cambio di paradigma.
Ecco perché è cruciale distinguere tra una vittoria tattica e una strategica. Quella di lunedì è stata una zampata, non un’inversione di tendenza. È bastato che Blackburn si rendesse conto che la deroga sulla sicurezza dei minori era meno solida del previsto per far crollare tutto. Se domani si presenta una nuova proposta che impone una moratoria più snella, focalizzata su un tipo di regolamentazione “esistenziale” in stile SB-1047, è probabile che passi senza troppi problemi. Perché la politica non sta bocciando la moratoria per difendere la regolamentazione dell’IA. La sta bocciando perché interferisce con i suoi cavalli di battaglia.

E infatti, mentre ancora si festeggiava l’affossamento della moratoria, il deputato Brett Guthrie dichiarava pubblicamente che intende comunque perseguire la preemption federale, un’operazione chirurgica per neutralizzare ogni legge statale sull’intelligenza artificiale. Tradotto: uniformare le regole per renderle il più permissive possibile. Cruz, dal canto suo, ha già detto che l’idea non è morta, solo in pausa. E come insegna ogni serie TV mediocre, una pausa non è mai un addio. È solo una scusa per riscrivere la sceneggiatura in modo più digeribile.
Il fatto è che l’ecosistema AI safety, per quanto animato da buone intenzioni e supportato da cervelli brillanti, continua ad arrancare nel campo della politica reale. Troppo spesso si presenta come un think tank elitario che parla di “superalignment” e “recursive self-improvement” a senatori che ancora usano Internet Explorer.
Troppo distante dai problemi percepiti come urgenti dall’opinione pubblica. Troppo dipendente da alleanze effimere con gruppi che condividono obiettivi di breve periodo ma che divergeranno inevitabilmente su qualsiasi questione di lungo termine. La stessa LawAI, cruciale in questa battaglia, ha vinto non parlando di AGI, ma dimostrando che la legge scritta non faceva ciò che prometteva. Un’analisi fredda, tecnica, pragmatica. Forse è questa la lezione da imparare.
Non ci sarà mai una maggioranza bipartisan per regolamentare l’IA a partire da rischi futuristici. Non nel clima culturale americano attuale, in cui ogni proposta normativa viene letta prima con la lente dell’ideologia e poi, forse, con quella del buon senso. L’unica chance per l’AI safety di ottenere risultati è ancorarsi a battaglie concrete, viscerali, e comunicabili. Sì, è triste che serva invocare la pornografia infantile per ottenere attenzione. Ma è la realtà.
Ssiamo solo all’inizio perché se il primo atto è stato questo circo, i prossimi rischiano di essere ancora più surreali. La regolamentazione dell’intelligenza artificiale in America non sarà né razionale né lineare. Sarà una guerra di trincea, fatta di compromessi fragili, pressioni last-minute e colpi di teatro.
Chi crede nella sicurezza dell’intelligenza artificiale farebbe bene a prepararsi a combattere con le armi del nemico: storytelling emotivo, lobbying spietato, e un vocabolario che parli alla pancia, non al quoziente intellettivo. Fino ad allora, ogni vittoria sarà solo una parentesi tra due sconfitte.