C’è un momento, nella storia di ogni impero, in cui il suo sovrano sente che gli Dei stanno ridendo di lui. Mark Zuckerberg, dopo aver provato a reinventare il concetto di “mondo” con il Metaverso (fallendo nella realtà quanto lo ha fatto la Second Life del 2008), ha deciso che il futuro non è virtuale, ma cognitivo. Il nuovo feticcio della Silicon Valley si chiama AGI, intelligenza artificiale generale. E per raggiungerla, Meta ha deciso di firmare quello che è, secondo The Information, il più grosso assegno mai staccato fuori dalle proprie mura: quasi 15 miliardi di dollari per acquisire il 49% di Scale AI. Tradotto: Zuckerberg si compra quasi metà della benzina che alimenta l’industria dell’AI globale.

Per capire l’operazione, bisogna conoscere il contesto: Scale AI non è un nome da copertina, ma è il motore oscuro dietro i modelli di OpenAI, Google, Microsoft e, ovviamente, la stessa Meta. La sua specialità è addestrare i modelli: fornire dati puliti, etichettati e pronti per essere assimilati dai transformer e dai loro cugini neurali. Un lavoro sporco, ma senza il quale nessun ChatGPT, Claude o Gemini potrebbe scrivere nemmeno un haiku decente.

L’investimento fa parte di una strategia più ampia, quasi disperata: Meta ha paura. E ha buone ragioni. OpenAI ha un matrimonio tecnico-finanziario con Microsoft da 13 miliardi di dollari, che garantisce accesso prioritario ad Azure e ai suoi server. Amazon ha messo sul piatto almeno 8 miliardi per Anthropic, piazzando la sua tecnologia nei nuovi dispositivi Alexa. Google ha gettato nel fuoco almeno 3 miliardi per la stessa Anthropic, mentre Meta, finora, ha giocato da solista. E ha perso tempo.

Secondo il Wall Street Journal, Meta ha addirittura ritardato il lancio del suo nuovo modello, “Behemoth”, per paura che fosse inferiore ai rivali. In Silicon Valley, la paura di sembrare secondi è peggio del fallimento. Zuckerberg ha quindi deciso di passare dalla dieta vegana a un’iniezione di steroidi: portarsi in casa Scale AI, e con essa l’accesso diretto alla fonte primaria del potere cognitivo.

C’è poi un dettaglio che sa di romanzo cyberpunk: non solo Meta sta firmando un assegno titanico, ma Zuck in persona starebbe assemblando una task force segreta di cinquanta cervelli selezionati per correre verso l’AGI. Un piccolo team, ma selezionato con chirurgia personale, per affrontare la guerra del secolo: creare un’AI che superi l’intelligenza umana. Alexandr Wang, il giovane fondatore di Scale AI, entrerà a far parte di questa squadra d’élite. Il messaggio è chiaro: non è solo un investimento, è un innesto.

La corsa all’AGI è infatti la nuova “corsa allo spazio”, ma con un twist freudiano: chi arriva primo diventa Dio, o almeno il primo tra i sacerdoti della nuova era computazionale. E nessuno vuole essere il secondo profeta.

Scale AI, nel frattempo, si prepara a una pioggia di ricavi. A quanto pare, prevede di raddoppiare il fatturato nel 2025, sfondando i 2 miliardi di dollari annui. Ha già un tender offer in corso per dipendenti e early investor, basato su una valutazione da 25 miliardi. E non si accontenta di servire i giganti della tech: ha firmato un accordo quinquennale con il governo del Qatar per automatizzare la burocrazia, la sanità e altri settori civili. In marzo ha firmato con il Dipartimento della Difesa USA per supportare i nuovi sistemi autonomi di guerra. Chiunque creda che l’AI sia solo chatbot e foto di gattini, non ha guardato dove finiscono i soldi veri.

C’è qualcosa di ironico nel fatto che l’azienda che prometteva di “connettere il mondo” ora stia cercando di superare l’intelligenza umana comprando mezza industria dell’apprendimento automatico. Meta non sviluppa solo modelli, ora vuole essere il custode dei dati, l’allenatore, il nutrizionista e il chirurgo.

Quello che si profila è un asse strategico inedito: Meta+Scale contro Microsoft+OpenAI, Google+Anthropic, Amazon+Anthropic (sì, Anthropic è come un Tinder molto affollato). Non è più solo una guerra tra modelli, ma una battaglia per il controllo delle pipeline, dei dati, delle infrastrutture.

Dietro l’ossessione per l’AGI, però, c’è un paradosso che nessuno osa affrontare in pubblico: e se fosse un miraggio? Se l’intelligenza umana non fosse replicabile in modo lineare, ma richiedesse qualcosa che nessun LLM potrà mai sintetizzare? Memoria, senso del tempo, contesto incarnato, emozioni non riducibili a output tokenizzati. Ma queste sono riflessioni da filosofi — non da investitori. E come disse Alan Kay: “Il modo migliore per prevedere il futuro è inventarlo”. O, nel caso di Meta, comprarlo.

Certo, ci si chiede cosa significhi tutto questo per l’utente medio di Facebook o Instagram. La risposta è semplice: niente, per ora. Ma il vero punto è che l’intelligenza non è più un prodotto, è una materia prima. E Meta vuole diventare il petrolio dell’AI, mentre altri si limitano a raffinarlo. L’AGI, che oggi è ancora fumo e sogni di ingegneri, potrebbe domani essere una piattaforma. Chi la possiede, governa il nuovo ordine cognitivo.

E allora Zuckerberg firma, Wang entra in squadra, e il resto del mondo osserva. Magari pensando che sia solo un altro investimento. Ma quando un’azienda scommette metà del suo futuro su un partner esterno, non è più solo business: è religione.