Non serve più Spielberg, né un’agenzia pubblicitaria da sei zeri: basta un clic. Amazon ha aperto le gabbie e lanciato ufficialmente la sua Video Generator, l’arma definitiva per trasformare ogni venditore da garage in un creativo hollywoodiano — o almeno così sembra. La nuova versione del tool, disponibile per tutti i seller USA, promette risultati fotorealistici in meno di cinque minuti. Ma è nella promessa nascosta che si cela l’inquietudine: pubblicità così convincenti che potresti non accorgerti che sono generate da un algoritmo.
Questa non è l’ennesima funzione accessoria, è una svolta strutturale nella monetizzazione emozionale. I nuovi “trucchi” dell’IA includono dinamiche di movimento, scene concatenate con attori umani o animali, overlay testuali e soundtrack da spot TV. Il prodotto non è più statico: adesso si muove, vive, ti guarda, ti parla. Soprattutto, ti persuade.
Nel suo stile più classico, Amazon ha camuffato questa rivoluzione in un aggiornamento tecnico. In realtà, ciò che sta accadendo è l’industrializzazione della simulazione della realtà emotiva. Perché mostrare un orologio su un tavolo quando puoi mostrarlo al polso di un modello generato dall’AI, mentre controlla il tempo in un gesto carico di significati impliciti? Chi indossa quell’orologio sei tu, o chi vuoi essere. Amazon non ti vende solo un oggetto, ma una proiezione di te stesso.
La parola chiave qui è generative advertising. E Amazon l’ha resa finalmente scalabile, gratuita, “a prova di incompetente”. L’ecosistema Prime, ormai maturo e saturo, cerca nuova crescita nella perfezione algoritmica. E l’AI, come sempre, lavora instancabile nel back-end per ottimizzare l’unica cosa che conta davvero: la conversione.
La nuova funzione di video summarization analizza video esistenti – tutorial, demo, contenuti social – e li seziona come un chirurgo per estrarne l’essenza commerciale. Non è più necessario ingaggiare uno strategist: ci pensa l’algoritmo a distillare la parte “comprabile” del contenuto. Tradotto: se prima la tua diretta su TikTok aveva momenti umani, ora sarà ridotta a 21 secondi di pura strategia sensoriale. Non una pausa, non un respiro, solo stimolo – desiderio – azione.
E poi c’è il colpo finale: l’immagine statica trasformata in video con un clic. Da JPEG a spot pubblicitario. Il prodotto si anima, balla, parla. Un paio di scarpe da ginnastica può ora saltare da solo in uno spot di 6 secondi. Nessuno ha bisogno di sapere se è stato un umano o un’intelligenza artificiale a crearli. L’importante è che funzioni. E funziona.
Come sempre, Amazon gioca su due piani: democratizzazione e controllo. Da un lato, offre al piccolo venditore la possibilità di competere con i grandi brand. Dall’altro, plasma l’estetica globale della pubblicità: stessa struttura narrativa, stessa durata, stesso effetto subliminale. Lo spot AI-generated diventa lo standard visivo, e la differenza tra realtà e simulazione si dissolve nello scroll.
C’è una sottile ironia in tutto questo. Dopo anni passati a convincere le aziende a umanizzare i propri brand, ora arriva l’intelligenza artificiale a fare il lavoro meglio degli umani stessi. Con costanza, senza ego, senza sindacati. E con risultati spesso indistinguibili. L’autenticità? Solo un filtro.
Il video advertising diventa quindi una guerra di deep engagement, ma con regole dettate da chi possiede la piattaforma. Amazon non ti dà solo gli strumenti per creare la pubblicità: ti dà anche il pubblico, il formato, e sempre più spesso, la narrativa. Sei un venditore? Bene. Ma devi parlare la lingua dell’algoritmo.
Un dato interessante: ogni video generato dalla piattaforma propone sei versioni diverse. Sembra un dettaglio da brochure, ma è invece una finestra sul futuro del marketing: A/B testing automatico all’ennesima potenza. L’utente che guarda il video A potrebbe essere persuaso, mentre quello che guarda il video C ignora l’annuncio. Ma entrambi sono parte dell’esperimento. Sei tu il target, ma anche la cavia.
E non c’è nemmeno bisogno di vendere: Amazon sta costruendo l’infrastruttura per un’economia in cui i contenuti pubblicitari saranno in gran parte generati da IA, ottimizzati da IA, serviti da IA. E l’unica variabile fuori controllo — ancora per poco — è la psicologia umana. Quella che fa scattare l’acquisto, lo scroll, il click.
In un contesto dominato da Firefly, Sora, Runway, è curioso che Amazon sia riuscita a fare il salto più pragmatico: non creare arte, ma vendere oggetti. Non esplorare il potenziale dell’AI, ma ridurlo al suo massimo ROI. Niente visioni futuristiche. Solo un prodotto che si muove, qualcuno che sorride, e il pulsante “Compra ora”.
C’è chi ancora pensa che l’AI distruggerà posti di lavoro. Ma il punto non è quello. L’AI sta riscrivendo le dinamiche di potere nella comunicazione commerciale. Chi controlla i tool, controlla la percezione. E chi controlla la percezione, controlla il mercato.
Un tempo si diceva “content is king”. Oggi potremmo aggiornare la formula: generative content is the emperor, e Amazon è il senato che ne decreta il successo.
Se l’AI pubblicitaria ha davvero un volto, quel volto sorride, ti guarda per 21 secondi… e ti vende un apribottiglie.