Se fosse davvero così facile costruire chip per l’intelligenza artificiale, allora perché Jensen Huang sembra uscito da un rave tech senza fine, invecchiato di dieci anni in dodici mesi ma ancora in cima alla catena alimentare dell’AI?

Parlando con l’aria stanca ma trionfante a Parigi — la città che ti fa sentire elegante anche quando parli di semiconduttori — il CEO di Nvidia ha mostrato con l’aria di chi la sa lunga che non è minimamente minacciato dal fatto che i suoi clienti più importanti, da Amazon Web Services a Microsoft fino a OpenAI, stiano tentando di fabbricare chip proprietari. Il tono? Mezzo ironico, mezzo “siete tutti i benvenuti a provarci, ma fallirete”.

Non è solo una spacconata alla Silicon Valley, è una dichiarazione strategica, ben calibrata per i mercati e gli investitori: Nvidia, secondo Huang, corre a una velocità tale che quei progetti interni finiranno nei cassetti, soffocati dal confronto impietoso tra il “dream silicon” e l’ecosistema Nvidia. In fondo, dice con un’alzata di spalle: “Se fosse così facile, allora non so perché mi ammazzo di lavoro.”

La parola chiave in tutto questo è: dominio.

Huang sta vendendo l’idea — e insieme a essa miliardi di dollari in GPU — che non si compete con Nvidia, si negozia con Nvidia. Infatti, molte di quelle stesse aziende che giocano alla geopolitica dei chip sono già tornate alla base, chiedendo a Huang se possono almeno usare la tecnologia di rete Nvidia per connettere le loro CPU personalizzate alle onnipotenti GPU di casa. Risposta di Nvidia? “Certo, e intanto ci comprate tutto il resto.” Il classico pacchetto all inclusive in stile monopolio, venduto con il sorriso di chi sa che ogni alternativa è meno efficiente, più costosa e molto più lenta da implementare.

Nel frattempo, a migliaia di chilometri e decine di restrizioni commerciali più in là, c’è Huawei. Il gigante cinese si dibatte nel suo ecosistema a metà tra l’autarchia forzata e il sogno di un dominio chip-localizzato. I numeri però parlano chiaro: nel 2025 Huawei produrrà a malapena 200.000 chip Ascend. Una cifra che impallidisce se confrontata con l’oltre milione di H20 che Nvidia ha venduto in Cina nonostante il divieto.

La beffa è tutta lì: l’Occidente dice “vietato vendere chip avanzati”, Nvidia risponde vendendo meno avanzati ma ancora buoni abbastanza, e intanto Huawei resta incagliata nella sua incapacità di costruire da sola una supply chain completa e competitiva. Come ha detto un alto funzionario americano, non c’è da dormire sonni tranquilli solo perché la produzione cinese è modesta: “Hanno ambizioni globali.” Certo. Ma per ora sembrano ambizioni da scaffale.

Ed è qui che si capisce la sottile ironia strategica di Huang. Ogni volta che i concorrenti annunciano una nuova GPU, o i clienti un chip interno, lui fa una pausa teatrale, accenna un sorriso e risponde con un upgrade di CUDA, un nuovo NVLink, un refresh dell’architettura Hopper o Blackwell che polverizza la concorrenza prima ancora che arrivi sul mercato. È la versione high-tech del colpo di tacco: elegante, sfrontata e profondamente efficace.

Nel linguaggio cifrato delle architetture hardware, Jensen Huang ha capito che vendere chip non basta. Devi vendere una inevitabilità. Nvidia non è solo un fornitore, è una dipendenza strutturale. È la colonna vertebrale di un’infrastruttura che, per girare, ha bisogno di CUDA come l’umanità ha bisogno di ossigeno.

Eppure, in questo teatro post-moderno della geopolitica tech, anche le limitazioni americane giocano un ruolo perversamente utile. Bloccando le GPU top di gamma, gli USA hanno trasformato l’ecosistema cinese in un mercato ancora più affamato, pronto a comprare tutto quello che è quasi proibito. Nvidia non vende chip di classe A? Va bene, ecco un H20: è di classe B, ma con un bel vestito e ottimo per i carichi locali. Lo comprano comunque, a milioni.

E Huawei? Corre con le scarpe legate, in uno stadio costruito da altri. Con restrizioni sulla litografia, accesso limitato a impianti di ultima generazione, e una SMIC che arranca, il loro sogno AI sembra più un esercizio di resistenza che una sprint tecnologica.

Huang lo sa. E ci gioca. Apre ora anche alla possibilità di vendere networking standalone, un’eresia fino a poco fa, ma ora rilanciata come “super clever strategy”. Ovvero: lasciamo che fingano di voler competere, intanto gli vendiamo l’unica cosa che davvero funziona. In questo modo si crea un lock-in travestito da libertà d’azione. Come offrire le corde per impiccarsi… con lo sconto.

È questa la vera arte del monopolio del ventunesimo secolo: non impedire ai tuoi clienti di tentare, ma renderli consapevoli che ogni tentativo fallito li rende ancora più tuoi.

Il futuro dei chip AI, quindi, non si gioca solo sulle fonderie o sugli embargo. Si gioca sull’illusione di autonomia. E Huang è maestro nell’alimentarla quel tanto che basta a vendere il doppio.

Perché nel business dei sogni in silicio, vince chi ti fa sentire libero mentre stai firmando il contratto di esclusiva.