Nel grande teatro della politica postmoderna, dove la realtà si piega alla volontà del marketing e la verità è un algoritmo da manipolare, c’è chi litiga su X (Twitter) e chi bombarda nella realtà. Da una parte, Donald Trump e Elon Musk si scannano come due galli da combattimento per la supremazia simbolica dell’ego nazionale. Dall’altra, Israele lancia un attacco diretto contro l’Iran, in quello che appare non solo come un colpo strategico, ma anche come l’effetto collaterale più inquietante dell’assenza americana.
Trump è troppo occupato a postare foto vintage con i dittatori suoi preferiti o a minacciare Musk con il taglio dei fondi a SpaceX. Il risultato? Una Casa Bianca ipnotizzata dal proprio riflesso, mentre il Medio Oriente si incendia, ancora. L’America non c’è, o meglio: è in vacanza, con la sicurezza delegata a un NSA distratta e una CIA che sembra aver lasciato il cervello — e le informazioni — in modalità aereo.
La domanda che molti alleati si pongono, anche se fingono il contrario, è brutale: chi comanda in Occidente quando gli americani smettono di fare gli americani?
Israele ha colto il momento come un abile giocatore d’azzardo. Con gli Stati Uniti assenti — o peggio, autoreferenziali fino all’autismo strategico — Tel Aviv ha deciso che non c’è tempo per attendere il semaforo verde di Washington. Il bersaglio? L’Iran, di nuovo, ma stavolta con una precisione chirurgica che non nasconde affatto un messaggio politico: se voi dormite, noi agiamo.
Il Pentagono non commenta. Ma il silenzio è più assordante delle bombe. L’NSA non intercetta o non interpreta, o forse interpreta ma non interferisce. La CIA, tradizionalmente abile nel giocare in anticipo, stavolta pare essere rimasta indietro di almeno tre stagioni.
Il vuoto di potere è reale. Ma è anche costruito. Mentre Trump si esibisce nel wrestling semantico con Musk — “traditore”, “doppiogiochista”, “Epstein’s buddy” — la geopolitica si muove come un’ombra fuori campo, silenziosa, letale. E nel frattempo Musk, che con Starlink ha più occhi nel cielo che qualunque agenzia governativa, resta paradossalmente il primo a sapere — e forse l’unico a decidere se condividerlo.
Che ruolo gioca l’America in tutto questo? Nessuno, per scelta. L’idea trumpiana di sovranismo isolazionista è diventata un’autosabotaggio globale. Se il presidente è troppo impegnato a umiliare un miliardario ex alleato, chi dovrebbe leggere i segnali pre-attacco nei briefing mattutini? Chi dovrebbe pesare le conseguenze di un’escalation nucleare regionale mentre le forze armate israeliane colpiscono con droni lanciati da centinaia di chilometri?
Ma il punto, forse, è proprio questo: l’America è diventata una piattaforma, non una nazione. Trump si comporta come CEO della sua fanbase. Musk gioca al colonnello dell’infosfera con più follower della BBC. E nel frattempo, le vere guerre — quelle con i morti veri, con gli ospedali distrutti, con i cieli neri di fumo e i bambini senza cibo — avvengono lontano dagli schermi, ma sono il prodotto diretto di questa “assenza performativa”.
Si potrebbe pensare che sia tutto un caso, un concatenarsi caotico di eventi. Ma l’apparente disordine è in realtà un pattern oscuro. Quando un impero implode, lo fa sempre per distrazione, mai per esaurimento. E il caos, oggi, è funzionale al dominio: mentre i cittadini guardano Trump e Musk litigare, Israele agisce. Mentre i riflettori sono su Truth Social, l’Iran brucia.
La domanda più sinistra non è perché Israele attacca, ma perché può farlo senza che nessuno reagisca. Perché in questo mondo governato da miliardari-bambini, l’unica regola è: chi può, fa. Chi non può, scrolla.
Non è una crisi di leadership. È la normalizzazione dell’anarchia strategica. L’Occidente ha smesso di avere visione geopolitica e si è ridotto a rispondere agli stimoli più rumorosi, più virali, più monetizzabili. Trump rappresenta il trionfo di questa logica. E Musk, nel suo narcisismo tecnocratico, è il volto speculare della stessa distorsione.
Nel frattempo, i veri poteri — Cina, Israele, e anche l’Iran quando serve — imparano che la migliore strategia è agire mentre gli americani litigano tra loro. Non ci vuole un satellite militare per capire che l’Impero, oggi, si sta autodigerendo.
E se un giorno, improvvisamente, le sirene nucleari dovessero suonare, non sarà colpa della follia di qualcuno. Ma della distrazione di tutti.