
Kristin Johnson, commissaria della CFTC, non ha usato mezze parole al DigiAssets 2025 di Londra: l’intelligenza artificiale, per il mondo cripto, è una medaglia luccicante. Ma, guarda caso, ha due facce. Da un lato, la promessa: algoritmi predittivi che leggono i mercati in tempo reale, sniffano trend su Twitter più velocemente di un hedge fund caffeinizzato, e accelerano le operazioni di settlement al punto da far sembrare Swift un piccione viaggiatore. Dall’altro, il lato oscuro: frodi su scala industriale, manipolazione dei mercati, bias incontrollabili, e sistemi che – citando testualmente – “non riescono a comprendere ostacoli reali del mondo”.
Un paradosso tecnologico perfettamente coerente con l’era in cui viviamo: più il sistema è smart, più è capace di ingannarci in modo sofisticato. Johnson, che ha annunciato le sue dimissioni dalla CFTC entro fine anno, sa bene dove si nasconde il lupo travestito da bot.
Il caso che ha citato è emblematico, e inquietante: una frode alimentata da una presunta strategia di investimento “potenziata da AI” ha attirato oltre 23.000 vittime. La promessa? Rendimenti automatici grazie a un algoritmo “intelligente” sul Bitcoin. Il risultato? Una condanna con risarcimenti da 1,7 miliardi di dollari. Altro che GPT-4, qui si parla di truffa 5.0.
Johnson non si limita alla denuncia: invoca pene più dure per chi sfrutta l’AI per truffare gli investitori, e sottolinea un punto che dovrebbe far tremare i polsi a chiunque si occupi di regolamentazione: “l’intelligenza artificiale viene usata per manipolare non solo i partecipanti, ma i mercati stessi”. Non è un’ipotesi da Black Mirror, è cronaca giudiziaria.
Il tutto si svolge mentre il mondo crypto – già in fase di normalizzazione normativa – vede avanzare una nuova figura sulla scena politica statunitense: Brian Quintenz, ex commissario e nuovo nome scelto da Trump per guidare la CFTC. Johnson lo benedice con il tipico linguaggio obliquo di Washington: “Capisce le dinamiche della commissione… e il valore che può portare ai mercati”. Traduzione: potrebbe essere un alleato per chi vuole una regolamentazione più chiara, ma senza soffocare l’innovazione.
Dietro l’elogio, tuttavia, si intravede la tensione politica. Johnson rigetta l’idea che gli Stati Uniti abbiano cambiato completamente rotta sulla crypto policy, ma riconosce che ora il Congresso è “più propenso” a far avanzare leggi specifiche per il settore. Un’altra conferma che la fase anarchica del web3 sta cedendo il passo a una lenta – e forse necessaria – istituzionalizzazione.
Nel frattempo, il rischio tecnologico si moltiplica. Non solo AI: anche il quantum computing si affaccia all’orizzonte con intenzioni non proprio rassicuranti. IBM ha annunciato il primo computer quantistico “fault-tolerant” previsto entro il 2029. Se manterranno le promesse, il giorno in cui gli attacchi SHA-256 diventeranno praticabili non sarà più una leggenda metropolitana. Bitcoin, protetto oggi da una crittografia considerata inviolabile, potrebbe trovarsi improvvisamente nudo. Sì, anche il re ha paura del quantistico.
Il cocktail è perfetto per un futuro instabile: AI con bias strutturali, modelli che allucinano dati, e frodi digitali sempre più difficili da distinguere da una dashboard legittima. Quando l’illusione è generata da un deepfake finanziario, anche l’investitore più accorto rischia di cascarci.
Le Big Tech lo sanno bene. Google, Microsoft e Meta stanno investendo miliardi per mettere le mani sull’AI compliance-as-a-service. Un nuovo mercato sta nascendo: non sarà quello degli exchange decentralizzati o dei token meme, ma delle “cassaforti” etiche per algoritmi imprevedibili. E mentre tutto questo fermento si accumula nei corridoi di Bruxelles, Washington e Singapore, il retail investe su promesse algoritmiche che non capisce. O, peggio, che capisce male.
Ma la verità, quella vera, è che stiamo entrando in un’epoca in cui le tecnologie che promettono trasparenza sono quelle che più facilmente oscurano. Dove la “decentralizzazione” può diventare copertura per concentrazioni di potere invisibili. E dove un bot “ai potenziato” può farci credere di poter battere il mercato, mentre in realtà ci batte lui – con il nostro stesso denaro.
C’è un’ironia spietata in tutto questo: per anni il mondo crypto ha venduto la narrativa dell’emancipazione dal sistema. Oggi, chiede disperatamente al sistema di salvarlo da se stesso.
E il sistema – nella forma di una commissaria congedante ma lucida – risponde con una proposta molto americana: pene più severe, regole più chiare, e un invito a svegliarsi prima che sia troppo tardi. Perché, come diceva Orwell (e come l’AI non sempre capisce): “nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario”.
Benvenuti nella rivoluzione algoritmica. E che Dio benedica la regolamentazione.