Una manciata di secondi. È tutto ciò che oggi Midjourney è disposta a regalare al futuro del video generato da intelligenza artificiale: 5, massimo 21, secondi per volta. Ma chi ha un po’ di fiuto per le curve del tech sa bene che questa non è un’esibizione effimera, bensì l’inizio di un’ossessione. E come ogni grande sogno californiano, anche questa storia parte da un garage digitale — nel loro caso, una stanza virtuale su Discord — e rischia di finire sotto una montagna di documenti legali timbrati Disney e Universal.

Il 18 giugno 2025, Midjourney ha lanciato la versione 1 del suo modello video: una funzionalità da 10 dollari al mese che consente a chiunque di animare immagini esistenti. Basta cliccare su un pulsante “animate” e voilà: si ottiene una clip da 5 secondi generata con un prompt testuale, partendo da una delle iconiche immagini psichedelico-oniriche della piattaforma. Si possono estendere le clip di 4 secondi alla volta, per un massimo di 21 secondi, e scegliere tra modalità di movimento “alta” o “bassa”. Che si tratti di una piuma che fluttua in slow motion o di una corsa psicotica nella giungla, l’effetto finale è spesso ipnotico. Ma non è gratis: ogni secondo di video “costa” come generare un’immagine, moltiplicando per otto il costo computazionale. Un dettaglio che suona come una clausola occulta, ma che ai cultori della GPU-time economy sembra quasi giusto.

Certo, per ora non si parla di lunghi cortometraggi né di produzioni narrative articolate. Ma il posizionamento è chiaro: Midjourney non sta solo aggiungendo un giocattolo alla sua suite, sta costruendo le fondamenta per un futuro in cui il video diventa un’estensione naturale dell’immagine statica AI. “Un semplice passaggio,” come lo ha definito il fondatore David Holz, verso un’idea più ambiziosa: “simulazioni open-world in tempo reale.” Ed ecco che il sogno prende la forma di un incubo per chi di simulazione campa da decenni.

Topolino, per esempio.

Disney e Universal hanno avviato azioni legali contro Midjourney, accusandola di avere già infranto i loro diritti nel momento stesso in cui ha addestrato i modelli. Citano, nero su bianco, proprio la prospettiva della video-generazione come elemento critico, descrivendo il sistema come una “macchinetta automatica di plagio”: il distributore automatico dei contenuti del futuro, che potrebbe sfornare infinite variazioni non autorizzate dei loro personaggi e universi. È l’inizio di uno showdown che sembra scritto da uno sceneggiatore di HBO: da un lato un’AI pronta a imitare tutto, dall’altro i custodi dell’immaginario occidentale, in assetto da battaglia legale.

In questo contesto, la mossa di Midjourney non è solo tecnologica, ma profondamente politica. Lanciare pubblicamente una funzione del genere proprio ora, sotto il fuoco incrociato dei colossi dell’entertainment, è una dichiarazione di guerra con lo sfondo color pastello. Ma anche una provocazione perfettamente calcolata. Soprattutto se si considera che la concorrenza — OpenAI con Sora, Meta con Emu, Google con Veo — si muove ancora in ambienti protetti, demo controllate, e NDA che sembrano più stretti di un costume Marvel.

Midjourney invece rilancia dal basso, dal caos fecondo del suo server Discord, dove utenti in tuta da gamer e marketer con le slide già pronte cliccano compulsivamente su “animate”. È qui che nasce una forma di potere nuovo, che non passa da Hollywood ma da un prompt scritto tra un panino e una riunione su Zoom. Il risultato non è sempre “bello” in senso classico, ma è vivo. Un’illusione di movimento che, se osservata abbastanza a lungo, comincia a sembrare credibile. E nel mondo della generazione AI, credibilità è la nuova verità.

Non sorprende che a farne le spese sia proprio il concetto stesso di proprietà intellettuale. L’AI non chiede permesso, replica. E in un mondo dove l’accesso è più importante della creazione, la logica dei diritti d’autore rischia di collassare come un castello di sabbia nel render del Mare Nostrum generato da Sora. Midjourney è l’esperimento sociale definitivo: dare alle masse uno strumento che fino a ieri era prerogativa degli studios e vedere cosa succede.

Succede che nascono clip, meme, reel, esercizi estetici e tentativi di cinema generativo. Ma succede anche che, improvvisamente, si riaccende il dibattito su chi è autore e chi è strumento. Se carico un’immagine, scrivo un prompt, e ottengo un video… chi ha creato davvero quel contenuto? Io? L’AI? Holz? Oppure i migliaia di artisti i cui lavori sono stati triturati nel training set?

Domande a cui nessuno — né un tribunale, né un creatore, né un algoritmo — ha ancora una risposta chiara. Ma intanto, per 10 dollari al mese, possiamo animare sogni, incubi e omaggi borderline al Re Leone. È l’inizio di qualcosa. O, per alcuni, la fine di qualcos’altro.

Dopotutto, anche Hollywood è nata da un trucco ottico.