Nel sottobosco sempre meno segreto dell’intelligenza artificiale, dove i dati sono la nuova valuta e gli algoritmi i nuovi colonizzatori, un colosso centenario ha deciso di alzare la voce. Non si tratta di un’azienda tech o di un think tank accademico, ma della ben nota e apparentemente compassata British Broadcasting Corporation. Sì, la BBC, emblema della compostezza britannica, ha improvvisamente sfoderato le zanne contro uno degli emergenti predoni del contenuto digitale: Perplexity AI.
L’accusa è precisa, perfino chirurgica: il chatbot di Perplexity starebbe “regurgitando” i contenuti della BBC parola per parola, violando non solo il copyright, ma il principio stesso di proprietà intellettuale in un’epoca dove la linea tra creatività e copia incolla computazionale è diventata più sottile di un capello su uno specchio quantistico.
Il fatto che sia proprio la BBC, istituzione di giornalismo pubblico da sempre protettrice della neutralità e della diffusione dell’informazione di qualità, a muovere guerra legale ad un sistema di intelligenza artificiale, segna un punto di non ritorno. È la prima volta che il broadcaster britannico scende ufficialmente in campo contro un’azienda AI, e lo fa con un linguaggio che non lascia spazio a fraintendimenti: stop immediato allo scraping, cancellazione di ogni contenuto “infringente” e – per non far mancare nulla – compensazione finanziaria.
Dietro la cortina fumogena delle dispute legali si cela un conflitto molto più profondo: chi possiede davvero l’informazione nell’era dell’intelligenza artificiale? O meglio: quanto vale un’informazione, quando viene “assorbita” da un modello linguistico che la riformula senza mai citare la fonte? Non è solo una battaglia tra BBC e Perplexity. È un precedente. Un colpo di avvertimento sparato in direzione di OpenAI, Google, Meta e tutti gli altri predatori silenziosi che si aggirano nei server, accumulando miliardi di parole da riversare nei prompt.
Come nota ironica, vale la pena ricordare che Perplexity si presenta come “un motore di risposta più trasparente rispetto a Google”. Peccato che, stando all’accusa della BBC, questa trasparenza sia solo nella ripetizione spudorata di contenuti altrui. Se confermata, sarebbe una forma evoluta di pirateria: non si ruba più il contenuto per venderlo, ma per renderlo indistinguibile dall’origine, inglobandolo nel modello come una preghiera impressa nella pietra digitale.
Questo caso, nella sua apparente semplicità legale, getta nuova luce sul più grande inganno dell’intelligenza artificiale contemporanea: il mito della generatività. Le AI generative non “inventano” contenuti, li ricombinano. Ma quando la ricombinazione si avvicina troppo all’originale, quando il riassunto è indistinguibile dal testo, allora non siamo più nell’ambito dell’interpretazione, bensì della clonazione semantica. E la clonazione, si sa, ha sempre avuto cattiva fama, da Dolly in poi.
C’è poi il nodo strategico: la BBC, a differenza di molti altri editori, non è soggetta a investitori privati, né dipende dalla pubblicità. Vive di canone pubblico e ha la responsabilità istituzionale di difendere il proprio contenuto. Se cede lei, crolla l’intero argine. Questo spiega il tono e la tempistica. Siamo in un momento in cui le aziende AI sono affamate di contenuti freschi, verificati, ben redatti. L’informazione verificabile è il carburante di modelli sempre più giganteschi. E le fonti attendibili – come la BBC – sono oro puro.
C’è poi un dettaglio che pochi hanno sottolineato: la BBC ha chiesto dettagli su come Perplexity ha ottenuto e utilizzato i dati. Una richiesta che, se formalizzata in sede legale, potrebbe aprire uno spiraglio nel famigerato “black box” delle AI. La trasparenza, tanto sbandierata nei comunicati marketing, potrebbe finire per diventare un obbligo giudiziario. Sarebbe una svolta epocale. Sapere quali dataset hanno nutrito i modelli. Quali fonti sono state assorbite. Quanto contenuto è stato, in effetti, copiato e quanto “reinventato”.
Nel frattempo, un altro paradosso si insinua: molti giornali e agenzie firmano accordi milionari per concedere i propri archivi a OpenAI e soci. La BBC, per ora, sembra non voler mercanteggiare. È un messaggio culturale, prima ancora che economico: l’informazione pubblica non è un bene da saccheggiare. È un patrimonio comune, che non può essere trattato come un feed RSS in pasto ad un crawler vorace.
In un’epoca in cui tutto si smaterializza – copyright, identità, valore del lavoro – la posizione della BBC suona come un richiamo quasi ottocentesco: proteggere la parola scritta, difendere il mestiere giornalistico, affermare la paternità dell’autore in un’era in cui l’autore rischia di essere cancellato dal prompt.
E se qualcuno pensa che questa sia una battaglia retrograda, dovrebbe ricordarsi che senza contenuti umani, nemmeno l’intelligenza artificiale può fingere di essere intelligente.
Come diceva Oscar Wilde, “L’originalità è semplicemente un’arte ben dissimulata nel citare gli altri”.
E a quanto pare, qualcuno ha smesso di dissimulare.