Immagina un’AI che controlla un silos nucleare, rilascia virus sintetici e altera il clima. Non è la trama di “Terminator”, ma uno dei tre scenari valutati dalla RAND, e l’unico modo per escluderlo? Capire se davvero l’AI può farlo. Ecco perché dobbiamo leggere questo report come una check list nucleare dei nostri timori post-AGI.

L’ultimo report della RAND, firmato da Michael J. D. Vermeer, Emily Lathrop e Alvin Moon e pubblicato il 6 maggio 2025, scuote il dibattito pubblico sull’Intelligenza Artificiale. Battezzato On the Extinction Risk from Artificial Intelligence, è un tentativo ardito – quasi folle – di analizzare se l’IA possa effettivamente cancellare l’umanità dalla faccia della Terra.

Il rischio di estinzione dall’intelligenza artificiale: un’indagine tra iperbole e realtà

Se qualcuno vi dice che l’intelligenza artificiale potrebbe spazzarci via come specie, probabilmente sta facendo trading con paure apocalittiche. Ma cosa dice davvero un recente report, peraltro poco noto, che analizza i rischi di estinzione legati all’IA? L’analisi si muove su un terreno sdrucciolevole, oscillando tra scenari da thriller politico e valutazioni tecniche rigorose, spingendo però a un’unica certezza: il rischio esistenziale da IA non è fantascienza, ma nemmeno un’inevitabile sentenza.

Il documento indaga tre scenari chiave: guerra nucleare, pandemie biologiche e geoingegneria malevola. La domanda di fondo è se l’IA possa agevolare eventi così catastrofici da condurre all’estinzione umana, e quali capacità dovrebbe possedere per farlo. Sulla guerra nucleare, per esempio, la narrazione apocalittica del “inverno nucleare” viene smontata con dati: la quantità di fuliggine e radiazioni sarebbe insufficiente per un’estinzione totale, e i sistemi di comando nucleare restano blindati contro interferenze automatizzate. L’IA, insomma, non è un generale in pectore pronto a premere il bottone rosso.

La minaccia biologica è più sottile e inquietante, ma altrettanto complessa. Per far collassare l’umanità servirebbero agenti patogeni di letalità straordinaria, ben oltre qualunque pandemia storica, capaci di aggirare immunità genetiche diffuse e di diffondersi capillarmente. Qui l’IA potrebbe facilitare la progettazione di questi patogeni, ma non ha ancora la capacità di distribuirli fisicamente e di superare le barriere logistiche e sociali. Insomma, più un alleato nella chimera del laboratorio segreto che un killer autonomo.

La geoingegneria malevola, o il riscaldamento globale artificiale indotto, presenta invece un rischio concreto e sottovalutato. Manipolare gas serra potenti, in quantità industriali, per innalzare la temperatura globale di decine di gradi e rendere la Terra inabitabile richiederebbe controllo massiccio su infrastrutture complesse e capacità di occultamento da sorveglianza internazionale. L’IA, per fare questo, dovrebbe orchestrare un piano industriale criminale che supera qualsiasi complotto da film. Ma non è impossibile, almeno in linea teorica.

In mezzo a queste ipotesi, la vera sfida è la gestione dell’incertezza. Gli autori suggeriscono una strategia “watch-and-wait”: non spegnere i motori dell’IA, ma alzare le antenne, migliorare la resilienza umana con politiche di non proliferazione nucleare e preparazione pandemica, e costruire sistemi di monitoraggio puntuali. Il paradosso è che l’IA è contemporaneamente un potenziale rischio e uno strumento indispensabile per prevenire crisi globali.

Il report, inoltre, smonta l’idea che l’IA debba avere “agenzia” o intelligenza generale per rappresentare una minaccia: ciò che conta sono le capacità specifiche di controllo, inganno e autonomia operativa. Se un’IA fosse in grado di manipolare infrastrutture critiche, ingannare osservatori umani e portare a termine azioni dannose coordinate, potremmo avere un problema. Ma per ora, quel livello di sofisticazione resta un progetto, non una realtà.

Il quadro che emerge è più sfumato di quanto il panico mediatico suggerisce. Le probabilità che un’intelligenza artificiale da sola scatenasse un’apocalisse sono basse, ma le condizioni per un rischio esistenziale ci sono, soprattutto se consideriamo attori umani che manipolano o lasciano scivolare il controllo tecnologico. “Non è una questione di se, ma di come e quando” sembra essere il mantra sottile che guida la riflessione.

Una curiosità interessante: la produzione globale di gas serra artificiali per scopi industriali è monitorata con rigore e un incremento improvviso verrebbe notato quasi immediatamente. Tuttavia, una campagna di disinformazione sofisticata e un’attenta manipolazione delle fonti di monitoraggio potrebbero ritardare l’allarme, un dettaglio che fa venire i brividi se si pensa al potenziale di IA come “deep fakes” della realtà.

Alla fine, questo report non è un grido d’allarme isterico, ma un invito alla prudenza tecnologica, una diagnosi di rischio che si muove tra scienza e politica, tra possibilità e probabilità. In un mondo dove il progresso tecnologico corre più veloce della governance, l’IA rimane un enigma inquietante: né salvatore né condanna, ma un giocatore con potenzialità inespresse, da maneggiare con cura estrema.

Non serve spegnere l’IA, ma bisogna accendere tutti i sensori. È una partita a scacchi, e la posta è la sopravvivenza della specie. Chi pensa che il rischio esistenziale sia una fake news, probabilmente non ha ancora capito quanto l’innovazione possa diventare un campo minato di contraddizioni.a chiamata alle armi civico-politiche e scientifiche. L’idea è semplice: studiare, misurare, reggere, preparare.

Se stai progettando un sistema AI, pensa a questo: potresti un giorno pilotare strutture critiche, decidere autonomamente obiettivi, auto-mantenerti e confondere gli umani che ti sorvegliano? Se sì, sei nel target. Non serve che ci mettiamo a scrivere scenari da film. Serve che attiviamo quelli reali: indicatori, governance, trigger policy.


Il report non chiede di spegnere l’AI, ma di accendere i sensori. Meglio che il filo rosso sia un cavo di monitoraggio, non una corda di cannone.

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