Un titolo che suona come una sfida: “Art Is Dead”. Eppure, quando la community Generative AI Belgium ha scelto il Wintercircus di Gand – un’arena dalle volte teatrali, a eco di storia e spettacolari geometrie – per la sua undicesima edizione il 16 giugno scorso, l’intento era chiaro. Provocare, scuotere, mettere in crisi il dogma: è la fine dell’arte, o siamo invece all’alba di una nuova rivoluzione creativa?
Già dal teaser un mese prima, il messaggio era netto: “Art is dead; All is fake… Or.. is AI actually making us more creative?”, un campanello dall’ambivalenza esplicita: l’arte è morta o sta vivendo una seconda giovinezza grazie all’AI?
La risposta emerge dalle voci dei relatori e dalle storie riportate da Alexandre t’Kint (Sr. AI Governance PM @ Collibra): oltre 500 partecipanti, decine di interventi, uno “PromptBattle” che non era solo improvvisazione, ma uno scontro creativo fra uomo e macchina, prestigiatore e algoritmo. Racconta: “AI isn’t just a tool. It’s a creative collaborator, a provocateur, and yes — sometimes a performer.”. Niente retorica new age: l’AI si esibisce, compete, e a tratti frega.
Il programma ha toccato corde profonde: un’installazione teatrale targata NTGent – un’opera di “fiction” costruita su personalità di 7 registi che ora scrive, intervista, si produce in scena; un intervento dell’esperto di deepfake dell’Università di Gand sulla sfida della “forense AI” per recuperare fiducia nell’era digitale; campagne pubblicitarie in cui AI e marketing si mescolano fino a confondersi. Un coro di provocazioni: art is dead? Maybe it’s just getting an upgrade.
Qui si sceglie di giocare col fuoco: l’arte non solo non muore, ma rinasce in forma co-creativa, grazie all’AI che diventa partner e antagonista. È qui che entra in scena il paradosso: per alcuni menti – robotiche ma persuasivamente umane – col “nuovo controllo sull’AI” (la cosiddetta controls era di Adobe) si sta aprendo “un momento trasformativo” per liberare davvero la creatività.
Il Wintercircus non era solo teatro o ex tendone, ma modello di luogo polisensoriale dove l’hybrid continua a essere promessa e pratica, fra networking, sponsorship da Red Hat e Collibra, sequenze drammatiche, cocktail e possibilità di intravedere quello che viene dopo: l’arte stanca dell’uniformità generativa, desiderosa di mani e menti vere.
Si potrebbe parlare di “AI ART deadlock”: da un lato il timore di una cultura riempita di copie, dall’altro l’inesauribile sete di narrazione umana: lo chiamano ritorno dell’autenticità – dove l’artista usa AI come propellente, non come pistola. È una svolta culturale, ed è già partita .
Quasi ironico: quell’evento dal nome glacialmente nichilista diventa palco caldo e ribollente, sintesi di tensioni contrastanti e scintille creative. Non — una fiera del tech fine a sé stessa, ma un vivace manifesto che innesca la domanda: se l’arte è morta, forse era solo la prima versione.
Citazione per chiudere (ma non concludere): come ama ripetere qualcuno in sala… “No prompt can paint my heart.” Parola di Banksy 2.0? Forse, ma senz’altro è una sentenza.