Non è il solito report da scaricare e dimenticare. L’ISG Agentic AI Report 2025, fresco di rilascio, è un’autopsia in tempo reale di cosa sta succedendo davvero nel mondo dell’AI che fa, non solo parla. Il documento – un incrocio chirurgico tra il Provider Lens, il Buyers Guide e il Market Lens, con inside knowledge da 35 giganti come IBM, Accenture, Infosys, Genpact e Tiger Analytics – è un reality check brutale. Niente metafore o promesse zuccherate: l’agente intelligente non è un sogno futuristico, ma una realtà spietata in cui chi non si è attrezzato rischia l’oblio competitivo.
Benvenuti nell’era post-prompt. È finita la luna di miele con la GenAI che riassume e genera testi. Ora si entra nella fase in cui le macchine eseguono, decidono, orchestrano. Ed è qui che si separano i giocatori dai fanfaroni del marketing. ISG lo chiama “agent-washing”: quella tendenza a ri-brandizzare qualsiasi RPA o workflow automatizzato come “agentic AI”. È la nuova fuffa linguistica, condita da buzzword e pitch da conferenza. Ma la sostanza? Mancano governance, autonomia reale, architetture dati adeguate e soprattutto risultati misurabili.
L’agente non è un chatbot evoluto. È una macchina cognitiva in grado di prendere input, decidere azioni, orchestrare risorse digitali e reali. In altre parole: mentre la GenAI ti spiega come si fa qualcosa, l’agente lo fa. E inizia a farlo meglio, più velocemente e – in certi casi – senza chiedere il permesso. Il vero turning point è che non si tratta più di hype, ma di rollout attivi in settori ad alta frizione: banking, retail e manufacturing rappresentano il 70% delle implementazioni attuali. Perché? Perché lì ci sono i soldi. E i colli di bottiglia.
Chi lavora in questi settori sa bene che il problema non è “avere l’idea”, ma farla funzionare in ambienti legacy, stratificati, dominati da silos funzionali e flussi dati disomogenei. Il risultato? Un cimitero di proof-of-concept che non sono mai diventati prodotti. Gli agenti hanno bisogno di qualcosa che molte aziende hanno trascurato per anni: un’architettura dati event-driven, contestuale, reattiva. Non serve “più dati”, ma dati più pronti. E se non si ricostruisce la base, l’intelligenza agentica si pianta. Semplicemente non parte.
Non basta nemmeno delegare tutto all’autonomia. Il mito dell’agente self-driving sta già scricchiolando. Solo il 25% degli agenti, secondo ISG, opera in modo realmente indipendente. Il resto? Vive dentro sistemi HITL, Human-in-the-loop, dove la supervisione umana è un passaggio obbligato. Ed è qui che molti CIO si perdono: credono di poter semplicemente “scaricare” le attività su una macchina. Ma l’agente è un nuovo tipo di collaboratore, non un clone dell’automazione classica. Serve reingegnerizzare i processi, riscrivere le policy, preparare la cultura organizzativa. Tutte cose che il C-level ama promettere, ma odia implementare.
L’altro aspetto sottovalutato è la traiettoria evolutiva. I vendor stanno spingendo forte su quick win: customer support intelligente, automation delle operation, miglioramento dei KPI di produttività. Ma sotto traccia stanno costruendo un futuro basato su “sciami” di agenti autonomi, capaci di cooperare tra loro, apprendere dinamicamente e agire in tempo reale. La parola chiave è multi-agent orchestration, e la verità è che la maggior parte delle organizzazioni non ha né l’infrastruttura né la visione per gestire questa complessità. È come cercare di dirigere un’orchestra con un fischietto.
Ancora una volta, come in ogni rivoluzione tecnologica, si torna al tema della maturità organizzativa. ISG segnala un dato inquietante: il 43% delle implementazioni attuali usa agenti semplici, rule-based o modellati su RPA avanzate. Tradotto: siamo ancora alla fase “pilota intelligente”, non alla vera esecuzione autonoma. C’è fretta di mostrare risultati, ma poca pazienza per costruire fondamenta. Come ha detto recentemente un CIO intervistato nel report: “Tutti vogliono l’AI che prende decisioni, ma nessuno vuole darle accesso ai dati di business critici”. Voilà il cortocircuito.
Eppure c’è una luce. Alcune aziende, poche ma molto lucide, stanno già riposizionando l’AI agentica da strumento di efficienza a leva di crescita. Basta risparmio sui costi: il valore vero sta nella capacità degli agenti di creare nuovi modelli di revenue, nuovi prodotti, nuovi servizi. È l’evoluzione naturale di una tecnologia che può agire in autonomia 24/7, scalare con l’infrastruttura cloud, e trasformare l’employee experience come nessun ERP o CRM ha mai fatto. Chi ci arriva per primo, fa il salto. Gli altri, restano intrappolati a ottimizzare il customer service.
In sintesi? Il report ISG 2025 è un invito a svegliarsi. A smettere di fingere che basti un LLM e qualche workflow per parlare di agentic AI. A capire che servono scelte architetturali radicali, governance data-centriche, e una leadership capace di smettere di vendere hype e iniziare a implementare strategia. È il momento di passare dal prompt alla piattaforma. Dalla demo al dominio. E soprattutto, dall’illusione alla realtà. Anche se è brutale.