L’annuncio di Anthropic rappresenta una delle mosse più interessanti dell’attuale corsa tra LLM per conquistare l’interfaccia del futuro. Con la nuova funzione — ancora in beta — che consente agli utenti di costruire app AI direttamente dentro Claude, l’azienda fondata dai fratelli Dario e Daniela Amodei conferma una direzione già intuibile: Claude non è solo un chatbot, ma un runtime creativo, una sandbox semantica che fonde prompt engineering e sviluppo applicativo in tempo reale.

A differenza degli approcci più “chiusi” di altre big tech, la scelta di Anthropic punta sull’interattività visuale: l’utente descrive cosa vuole, Claude scrive il codice, lo esegue e mostra subito l’output, il tutto in un’unica interfaccia. Nessun passaggio a IDE esterni, nessuna complicazione da sviluppatore classico. È l’estetica del vibe coding elevata a prodotto: meno stack, più conversazione, meno toolchain, più immaginazione.

Questa evoluzione poggia sulle spalle della funzionalità “Artifacts” lanciata nel 2024, che già permetteva di interagire con i contenuti generati da Claude come se fossero oggetti persistenti — modificabili, ispezionabili, attivi. Ora questi artefatti diventano runtime veri e propri. Puoi costruire un’app AI per analizzare dati, creare un gioco interattivo, orchestrare agenti che chiamano Claude più volte in sequenza, o persino prototipare una micro-SaaS no-code, tutto con input in linguaggio naturale.

Ma c’è una nota ancora più interessante: queste app non sono solo esperimenti locali, ma potranno anche interagire con Claude tramite API, creando così un nuovo tipo di flusso ibrido, dove l’interfaccia utente è dialogica ma la logica applicativa è modulare e scalabile. È un passo non indifferente verso un paradigma dove i modelli linguistici non sono solo assistenti, ma runtime cognitivi in sé. Claude diventa il motore, l’interprete e l’ambiente di esecuzione di un nuovo modo di sviluppare.

Alcuni utenti della beta hanno già realizzato giochi AI-powered, strumenti educativi, workflow complessi per agenti, scrittori automatici personalizzati. Sì, tutto questo sembra uscito da un pitch di startup del 2015, ma ora funziona davvero. L’effetto collaterale più potente? Ogni utente diventa, potenzialmente, uno sviluppatore. Non nel senso di chi conosce il linguaggio di programmazione, ma nel senso più ampio di chi riesce a costruire strumenti digitali che agiscono, apprendono, reagiscono.

Questo non è solo low-code, è zero-dignity coding per alcuni dev tradizionali. L’AI non è solo parte del software, è il software. E quando il software scrive se stesso, tutto ciò che resta da fare è raccontargli cosa vogliamo. Ma attenzione: il rischio è che ci creda davvero.

La mossa di Anthropic è anche strategica in un altro senso: mentre OpenAI si concentra su assistenti e Google su agenti integrati, Claude sta diventando una piattaforma di creazione fluida. Più simile a Notion con steroidi che a un chatbot lineare. Si colloca cioè nella zona grigia — e molto redditizia — tra productivity e programmazione, tra IA generativa e sviluppo applicativo.

Non sorprenderebbe, a questo punto, un marketplace interno per queste app, una monetizzazione simile agli Applets di IFTTT o agli “AI Apps” di Perplexity. Per ora, però, Claude mantiene un’aria più sobria, quasi accademica, in linea con l’immagine di “costruttore responsabile” che Anthropic si è cucita addosso. Ma le potenzialità economiche sono evidenti: ogni utente diventa un nodo di valore generato, un creatore di microtools che vivono dentro Claude e, presto, ovunque.

Il punto di svolta sarà la persistenza: se queste app possono essere salvate, condivise, esportate e riusate, Claude non è più solo un assistente intelligente. È un sistema operativo cognitivo. E da quel momento in poi, la vera domanda non sarà più “cosa può fare l’AI per me?”, ma: “quanto posso costruire prima che Claude mi superi in autonomia?”

La risposta, probabilmente, è nel prompt.