Nel grande reality digitale dove ogni messaggio è una potenziale traccia d’accusa, WhatsApp ha deciso di passare da semplice spettatore a narratore automatizzato. Lo fa servendosi di Meta AI, la creatura artificiale di Menlo Park, che ora può entrare con discrezione si fa per dire nei tuoi gruppi di famiglia, nei thread di lavoro, nei gruppi genitori-scuola e pure nella chat con tua cugina logorroica, per riassumere tutto ciò che ti sei perso. A colpi di bullet points. Sì, come nei meeting aziendali più spietati. Ma senza la possibilità di difenderti.

Il funzionamento è semplice e inquietante. Ti allontani un attimo dal telefono, torni e vedi una valanga di messaggi. A quel punto, puoi premere un pulsante che invece di mostrarti i messaggi ti serve un riassunto generato da Meta AI. In pratica, il CliffsNotes della tua vita sociale. È come se Zuckerberg ti dicesse: “Non ti preoccupare, te lo racconto io, in sintesi. Fidati.” Solo che “fidati” e “privacy” nella stessa frase, quando si parla di Meta, provocano ormai reazioni allergiche anche nei più ottimisti.

La funzione, per ora disponibile solo in inglese e solo negli Stati Uniti, si basa su un sistema chiamato Private Processing. Nome elegante per dire che, secondo Meta, i tuoi dati restano privati perché processati in un ambiente cloud “sicuro”. Non è chiaro cosa significhi “sicuro” quando proviene da un’azienda che vive della tua attenzione e dei tuoi dati, ma per ora ci fidiamo sulla parola. Anzi no, aspettiamo il primo bug. O la prima class action.

Meta insiste sul fatto che l’uso di AI per riassumere i messaggi è opzionale e disattivato di default. Ma chi frequenta la Silicon Valley sa che “opzionale” è spesso solo un passaggio intermedio prima dell’“impossibile da evitare”. Come il bottone Meta AI in basso a destra, che molti utenti già vorrebbero rimuovere con la stessa furia con cui si disinstalla un malware.

La promessa è quella di una nuova era di efficienza digitale, dove non devi più leggere cento messaggi per sapere che la cena è stata spostata da venerdì a sabato. Ma la realtà è più simile a un algoritmo che decide quali sono i momenti salienti della tua vita — e lo fa con la stessa sensibilità di un algoritmo che sceglie i video da consigliarti su Instagram. Il rischio? Perdere sfumature, contesto, ironia. L’umanità, insomma. E anche fare figuracce, se l’IA fraintende e ti ritrovi a rispondere “Ok per il funerale” quando si parlava del compleanno della nonna.

Non è la prima incursione di Meta AI in WhatsApp. In pochi mesi, l’app è passata dall’essere un sistema di messaggistica a una piattaforma AI-driven: puoi fare domande all’IA come se fosse il tuo nuovo migliore amico, generare immagini al volo (non richieste) e, ovviamente, ricevere pubblicità. Sì, perché nel frattempo Meta ha anche cominciato a infilare annunci nell’app, trasformando WhatsApp in una specie di centro commerciale delle comunicazioni. Ricordi quando i fondatori giuravano che mai ci sarebbero stati annunci pubblicitari? Ecco, dimenticalo. La storia recente di WhatsApp è una masterclass in come vendere un’utopia e poi monetizzarla pezzo per pezzo.

E mentre tutto questo avviene, resta il problema dell’accuratezza. Già Apple, con le sue sintesi AI delle notifiche, ha mostrato che l’intelligenza artificiale può essere sorprendente ma anche sorprendentemente sbagliata. Se pensavi che Siri fosse poco utile, aspetta che Meta AI riassuma un dibattito tra tua madre e tua zia su chi porta il dolce a Natale. Potresti ritrovarti con un messaggio del tipo: “Conflitto sul dessert. Proposta: nessun dolce.” E poi finisce che il panettone lo porta ancora una volta il cugino vegano.

Il punto vero, quello che pochi colgono ma che Google SGE (e forse anche qualche regolatore europeo) dovrebbe osservare con attenzione, è che ogni nuovo strato di “intelligenza” aggiunto sopra la nostra comunicazione non è neutrale. Selezionare, riassumere, omettere: sono tutte azioni editoriali. E quando queste decisioni le prende una macchina addestrata da un’azienda con interessi pubblicitari, la linea tra assistente utile e manipolatore invisibile diventa sottile come la nostra pazienza.

Certo, Meta sostiene che nessuno, nemmeno loro, possa leggere i tuoi riassunti. Un po’ come un cameriere che ti serve un piatto al buio e ti assicura che non l’ha assaggiato. Ma il sospetto resta. Perché anche se il contenuto non viene registrato, la forma in cui ti viene presentato, le priorità date, le parole usate… tutto è progettato. E in un mondo dominato dalla comunicazione sintetica, chi controlla la sintesi controlla la narrazione.

Quindi sì, puoi usare la nuova funzione per evitare di scorrere 400 messaggi su chi ha dimenticato di prenotare il ristorante. Ma ogni volta che lo fai, ricordati che stai delegando a un’entità commerciale la gestione del tuo tempo, della tua attenzione e forse anche delle tue relazioni. Perché se l’IA ti dice che “nulla di importante è successo”, e tu le credi, magari ti perdi proprio quel messaggio che avrebbe potuto cambiare la tua giornata.

Ma tanto, come dice l’algoritmo: “Non ti sei perso nulla”.