Chiariamo: Doppl is an early experimental app from Google Labs that lets you try on any look and explore your style.

A quanto pare, nel futuro della moda basta un selfie per cambiare guardaroba. O almeno così giura Google, che con la nuova app Doppl (Solo US) ha deciso che provarsi un outfit non richiede più uno specchio, né tanto meno un camerino. Serve solo un po’ di luce, una posa dignitosa e l’umiltà di accettare che l’intelligenza artificiale ha ancora difficoltà a distinguere un paio di jeans da una mutanda da palestra.

Chiariamoci: il try on virtuale è il sogno erotico di ogni fashion brand. Una promessa antica quanto i primi widget di personalizzazione su e-commerce. Ma ora ci siamo dentro fino al collo, con IA che ti vestono e spogliano digitalmente come stylist senza etica. Eppure, anche nell’era dell’AI outfit generator, c’è qualcosa di profondamente umano e tragicomico che resiste: i pantaloni continuano a essere un mistero per l’algoritmo.

Google ci mette la faccia (finta), e anche i piedi (fasulli). Doppl, per ora disponibile solo negli Stati Uniti su Android e iOS, ti consente di caricare una foto a figura intera e un’immagine del look che vuoi emulare — pescato da Instagram, Pinterest o dove vuoi — e ti restituisce un tuo avatar animato che, teoricamente, indossa proprio quell’outfit. Teoricamente, appunto. Perché nei fatti spesso succede che, se indossi shorts nella foto originale, l’app abbia un collasso percettivo e ti restituisca un ibrido inquietante tra ballerina sovietica e turista canadese del 1989. E le calze? Spariscono, rimpiazzate da piedi AI, come in un sogno lucido partorito da Quentin Tarantino in modalità generativa.

Il vero incubo, però, non è estetico. È ontologico. In diversi test, la app tende a “rassodare” i soggetti, sfumando rotolini, assottigliando polpacci, limando fianchi. A quanto pare, il modello estetico sottostante all’AI moda di Google è ancora quello da showroom 2015, nonostante le retoriche sulla body positivity sventolate da Mountain View. Se ti fai una foto da solo allo specchio, Doppl ti restituisce una versione stilizzata, quasi una caricatura più magra, con proporzioni da bobblehead. Se invece ti fa la foto qualcun altro, magicamente il tuo avatar è più fedele. Forse l’algoritmo ha ancora un bias verso l’autoscatto: non ci vede come ci vedono gli altri. Un’idea piuttosto inquietante, se pensi che questa tecnologia si sta allenando a rappresentarti in modo “realistico” anche in altri contesti — compresi quelli pubblicitari, medici, e perché no, giudiziari.

Tecnicamente, Doppl è un’evoluzione del sistema di try on virtuale che Google aveva già lanciato nel 2023, allora limitato a capi specifici (camicie, pantaloni, gonne) e brand selezionati. Ora si allarga, ambiziosa, a qualsiasi look reperibile online. Con un semplice screenshot puoi chiedere all’IA di immaginarti in quell’outfit. Una feature potente per l’e-commerce, certo. Ma anche un’arma sociale. Perché nel momento in cui posso vedere me stesso in una giacca Balenciaga trovata su Threads, la distanza tra desiderio e consumo si accorcia drammaticamente. Non si tratta più di “vedere se ti sta bene”: si tratta di vederti vivere quella vita, quella versione di te che l’outfit promette. E quella promessa, quando è animata e ti fa l’occhiolino in un video loop, è maledettamente difficile da ignorare.

Eppure, questa rivoluzione dell’app AI moda inciampa su problemi che paiono usciti da un test di Turing con budget H&M. Pantaloni che diventano leggings. Gonne che si incollano al corpo come filtri di Instagram andati male. Look estivi che si trasformano in copertine di Vogue post-apocalittico. E poi il paradosso più dolceamaro: se l’outfit originale è “troppo rivelatore” (bikini, top eccessivamente scollati), l’app si rifiuta di generare l’immagine. Censura incorporata, con quella solita ipocrisia da big tech americana: niente carne scoperta, ma i piedi falsi sì. Quelli vanno benissimo.

Ora, immaginiamo un futuro prossimo dove ogni brand integra questa tecnologia nel proprio funnel di conversione. Visual search, screenshot, rendering, add to cart, Apple Pay. Un clic. E tu hai appena comprato qualcosa che hai visto su TikTok, provato con un avatar, approvato da una IA e che non hai mai toccato fisicamente. Tutto questo senza nemmeno alzarti dalla sedia. La moda si smaterializza. La prova specchio diventa prova specchio quantistico. Ma il risultato finale? Lo stesso, se i pantaloni continuano a essere sostituiti da scaldamuscoli e i tuoi calzini preferiti vengono obliterati da un piede digitale con sei dita.

La verità è che il try on virtuale è una delle frontiere più affascinanti — e più fragili — dell’interazione uomo-macchina. Perché non riguarda solo l’abbigliamento, ma la percezione di sé. L’identità aumentata. Il modo in cui ci proiettiamo nel mondo e nel metaverso. E se l’AI che ci veste ha già un’idea di come dovremmo apparire — più magri, più simmetrici, con piedi migliori — allora forse non è l’outfit a dover essere regolato, ma il framework di design.

Doppl è un primo passo. Malfermo, a tratti ridicolo, ma inevitabile. Come ogni nuova tecnologia, parte con bug e ambizioni fuori scala. Ma è già qui, disponibile, in fase di test, a disposizione di chiunque voglia vedersi vivere un’altra vita. In fondo, cosa sono un paio di pantaloni sbagliati in confronto alla possibilità di reimmaginare te stesso ogni mattina?

Tanto poi, se proprio non ti piaci, basta rifare il rendering. Magari la prossima volta ti restituisce anche i calzini. O almeno piedi veri.