C’è lo racconta REUTERS se Samsung fosse un giocatore di poker, ora si troverebbe con un bel tris… di problemi. E nessuna carta vincente in mano. Mentre il mondo brucia i watt dietro a ogni bit di intelligenza artificiale, la più grande produttrice di chip di memoria al mondo si sta muovendo con l’agilità di una petroliera in una gara di jet ski. Un tempo sinonimo di innovazione implacabile, oggi Samsung arranca dietro SK Hynix e Micron, entrambi decisamente più svegli quando si tratta di cavalcare la rivoluzione dell’HBM, quelle memorie ad alta larghezza di banda che alimentano il cuore pulsante dell’IA nei data center globali.

Il dato che scotta? Un tonfo del 39% nell’utile operativo del secondo trimestre 2025, secondo le stime LSEG SmartEStimate. Una voragine da 6,3 trilioni di won (circa 4,62 miliardi di dollari), il punto più basso degli ultimi sei trimestri. E non è solo una questione contabile: il rallentamento pesa sul prestigio strategico della compagnia e mina la sua capacità di sedersi al tavolo dei big dell’intelligenza artificiale.

Nvidia, il demiurgo dell’IA moderna, sta aspettando pazientemente i chip HBM3E 12-high di Samsung. Ma “pazientemente” nel contesto tecnologico globale è sinonimo di “rischiosamente tardi”. La certificazione da parte di Nvidia, una sorta di battesimo tecnico per poter entrare nel club esclusivo delle supply chain di AI, sembra essersi arenata tra test, revisioni e qualche pressione geopolitica di troppo. Mentre i colleghi di SK Hynix forniscono HBM3e come se fossero caramelle a Halloween, Samsung resta al palo, imbalsamata da un mix letale di lentezze interne, dipendenza dal mercato cinese e una buona dose di politica internazionale.

Già, la Cina. Quel mercato immenso dove Samsung ha sempre potuto scaricare i suoi eccessi produttivi oggi è diventato un campo minato. Le restrizioni americane sulla vendita di chip avanzati a Pechino stanno strangolando la redditività delle esportazioni high-end. E mentre l’amministrazione Biden (o peggio, Trump 2.0) minaccia tariffe “reciproche”, blocchi, revoche di licenze e altri simpatici strumenti da guerra commerciale, Samsung si trova esposta su tre lati: Cina, USA e la competizione interna che corre più veloce.

Eppure, qualche barlume c’è. Gli analisti prevedono una certa tenuta nelle vendite di smartphone, trainate da un’ondata di acquisti preventivi negli USA prima che eventuali dazi facciano impennare i prezzi. Ma è una fiammata tattica, non una strategia. Nessuno costruisce un impero tecnologico sulle paure doganali di Trump.

Nel frattempo, la leadership tecnologica di Samsung, tanto decantata nei comunicati stampa, sta mostrando le sue crepe. Perché mentre l’azienda annunciava a marzo che progressi significativi sull’HBM sarebbero arrivati “già da giugno”, ora rifiuta persino di confermare se i suoi chip abbiano passato la certificazione Nvidia. La realtà? Secondo NH Investment & Securities, è improbabile che Samsung riesca a spedire quantitativi rilevanti di HBM3E a Nvidia prima della fine dell’anno. Nel frattempo, si accontenta di fornire Advanced Micro Devices, che certo non è Nvidia in termini di scala AI.

In borsa, la performance è l’ennesimo campanello d’allarme. Nonostante un rialzo del 19% da inizio anno, il titolo resta il peggiore tra i big della memoria. Il benchmark Kospi ha fatto meglio, +27,3%, e i competitor viaggiano a velocità ben diverse. In un mercato in cui l’ottimismo per l’IA sta gonfiando valutazioni ovunque, Samsung sembra un atleta fuori forma in una gara olimpica.

C’è poi la questione meno visibile ma altrettanto letale: la complessità interna. Samsung, per sua natura, è un conglomerato pachidermico. Il suo ciclo decisionale non è esattamente agile, e la governance familiare non aiuta quando bisogna reagire in tempo reale a una disruption come quella dell’intelligenza artificiale. Gli altri corrono con startup, spin-off e alleanze strategiche leggere. Samsung porta con sé un elefante, due giraffe e mezza savana ogni volta che si muove.

Quello che una volta era considerato il gioiello high-tech della Corea del Sud ora rischia di diventare l’esempio da manuale su come non affrontare una transizione tecnologica. Troppo lento sull’HBM, troppo esposto alla Cina, troppo dipendente da linee di business mature come smartphone e home appliance. In un contesto in cui anche Apple si prepara a tagliare i ponti con la Cina per produzione e forniture, Samsung sembra ancora troppo ancorata a logiche da anni 2000.

Sotto il cofano, resta un gigante con risorse immense e una capacità produttiva che può spostare gli equilibri globali. Ma la questione non è quanto puoi produrre, bensì cosa riesci a far girare nei prossimi sei mesi. Perché nel mercato dell’IA, sei mesi sono un’era geologica.

Non è nemmeno più una questione di tecnologia: è una guerra di velocità, di relazioni geopolitiche, di capacità di anticipare i trend invece di inseguirli. Samsung oggi insegue, arranca, e perde pezzi. Nonostante il potenziale, nonostante la brand equity, nonostante tutto quello che dovrebbe bastare per vincere. E in un mondo dove l’IA promette rendimenti da capogiro e vantaggi competitivi esponenziali, rimanere indietro è l’equivalente moderno del suicidio industriale.

Nel 2025, il vero valore non sta nei gigabyte, ma nei millisecondi. E quelli, per ora, Samsung non li sta guadagnando.