Forse “un tizio in un seminterrato”, ha detto, che deciderà di cambiare per sempre il mondo, armato solo di una buona idea e una GPU di seconda mano.

Nel podcast “High Performance”, il miliardario texano ha spiegato come ci troviamo solo nella “preseason” dell’AI. Paragonando la situazione attuale all’alba dei personal computer o degli smartphone, ha disegnato uno scenario in cui il vero impatto della tecnologia deve ancora manifestarsi.

Secondo lui, tra cinque anni il cambiamento sarà così profondo da stravolgere completamente la nostra percezione del lavoro, del business, perfino della creatività.

L’idea centrale, lanciata con la consueta aria da imprenditore che sa leggere le onde prima dello tsunami, è disarmante nella sua semplicità: l’AI permetterà a chiunque non solo ai soliti noti della Silicon Valley di scalare l’economia fino a vette mai raggiunte e quando dice “chiunque”, intende davvero “chiunque”.

Non servono venture capitalist, né uno yacht a Dubai. Serve solo un approccio radicale, visionario, e una capacità di usare l’AI in modo imprevedibile. Non si tratta di una profezia estemporanea. Cuban ha le idee piuttosto chiare anche sul lato sociale: l’intelligenza artificiale non distruggerà tutti i lavori, come alcuni guru del catastrofismo amano ripetere. Anzi, ne genererà di nuovi.

Esattamente come è accaduto con ogni grande rivoluzione tecnologica: per ogni dattilografo perso, nasce un esperto di prompt engineering. La differenza è che stavolta il ritmo del cambiamento è potenzialmente devastante.

C’è un passaggio cruciale nel suo ragionamento, ed è qui che emerge il vero messaggio per imprenditori, developer e apprendisti stregoni del codice: l’AI non è un gioco è la nuova infrastruttura del potere economico.

Ma non sarà chi possiede più GPU a vincere. Sarà chi saprà immaginare usi nuovi, inaspettati, persino scomodi. La forza non è nella tecnologia in sé, ma nell’applicazione.

Se oggi siete seduti in un garage a smanettare con modelli open source, se state testando chatbot personalizzati o reinventando il modo in cui un’azienda prende decisioni, sappiate che, secondo Cuban, potreste essere voi i primi trilionari della storia. Non è retorica, è un avvertimento e suona più come una sfida che come un auspicio.

L’ironia? È tutta nel contrasto tra lo scenario immaginato e la retorica dei soliti esperti: mentre molti si affannano a organizzare summit sull’AI etica o a normare il futuro con regolamenti già vecchi, qualcuno magari uno sconosciuto sta costruendo silenziosamente un impero.

Curioso anche come Cuban, nonostante la sua esposizione pubblica e i suoi interessi multimiliardari, non abbia mai preteso di essere lui quel trilionario. Anzi, si è messo esplicitamente da parte: il futuro non è suo, è di chi saprà sporcarsi le mani con codice, dati e intuizioni.

È un invito, ma anche una provocazione: chi si accontenta di usare ChatGPT per scrivere email più velocemente, resterà nel limbo dei mediocri. Chi invece la AI la piega, la contamina, la forza a diventare qualcos’altro, quello potenzialmente ridefinisce l’economia globale.

Serve una visione più spregiudicata, meno accademica. Cuban lo dice senza mezzi termini: non credete a tutto ciò che l’AI vi dice. Interrogate, contraddite, sfidate i modelli. Solo così potrete davvero controllare la tecnologia, invece di subirla come una moda passeggera. In questo senso, la figura del trilionario diventa quasi un simbolo. Non si tratta solo di soldi che pure restano un dettaglio interessante ma di un salto di paradigma.

L’AI è lo strumento definitivo per rompere le logiche consolidate. Non importa dove vi trovate, se siete in una città di provincia o in un coworking fighetto a Shoreditch. Importa solo cosa siete disposti a rischiare.

La cosa che davvero colpisce, ascoltando Cuban, è che per la prima volta dopo decenni di dominio delle grandi corporation, sembra riaprirsi uno spiraglio per l’individuo. Non il CEO, non il team di 500 persone, ma l’individuo. L’hacker. L’artigiano digitale. Il pirata con un sogno. Il pazzo con una pipeline personalizzata. Il nerd con il vizio dell’ottimizzazione.

Qui l’ironia diventa feroce: mentre i giganti dell’AI lottano per la supremazia geopolitica e pubblicano whitepaper che nessuno legge davvero, il vero cambiamento potrebbe arrivare da chi non ha nemmeno un badge da mostrare a LinkedIn.Cuban non è un visionario naïf. È un capitalista puro. Ma sa riconoscere quando il tavolo si sta inclinando, e adesso è il momento in cui la palla può rotolare fuori dai soliti circuiti.

La domanda, quella vera, non è “quando arriverà il primo trilionario”, ma “perché non potrebbe essere uno qualunque di noi”.

Soprattutto se quel “noi” ha smesso di cercare lavoro su LinkedIn per iniziare a creare lavoro dentro modelli generativi che non rispettano regole, ma solo risultati e se vi sembra una follia, ricordatevi che anche internet sembrava una follia nel 1994.