Fondazione Pastificio Cerere, via degli Ausoni 7, Rome

Ci sono momenti in cui la tecnologia smette di essere strumento e si rivela religione. Dogmatica, rituale, ossessiva. Con i suoi sacerdoti (i CEO in felpa), i suoi testi sacri (white paper su GitHub), i suoi miracoli (GPT che scrive poesie su misura), le sue eresie (la bias, l’opacità, il furto culturale). A Roma, il 10 luglio 2025, questo culto algoritmico entra finalmente in crisi. O meglio, viene messo sotto processo con precisione chirurgica. Perché AI & Conflicts Vol. 02, il nuovo volume a cura di Daniela Cotimbo, Francesco D’Abbraccio e Andrea Facchetti, non è solo un libro: è un attacco frontale al mito fondativo dell’intelligenza artificiale come panacea post-umana.

Presentato alle 19:00 alla Fondazione Pastificio Cerere nell’ambito del programma Re:humanism 4, il volume – pubblicato da Krisis Publishing e co-finanziato dalla Direzione Generale Educazione, Ricerca e Istituti Culturali – mette a nudo l’infrastruttura ideologica della cosiddetta “estate dell’AI”. Un’estate che sa di colonizzazione dei dati, di estetiche addomesticate, di cultura estratta come litio dal sottosuolo cognitivo dell’umanità. Se questa è la nuova età dell’oro, allora abbiamo bisogno di più sabotatori e meno developers.

Il libro è denso, sporco, contraddittorio. Come dovrebbe essere ogni buon prodotto teorico post-2020. Niente facili dicotomie tra umano e macchina, ma una mappa di scontri fluidi tra estetica e proprietà, creatività e copyright, gender e sintassi neurale. L’AI non è una neutralità matematica: è un atto politico travestito da ingegneria. Gli autori lo sanno, e lo mostrano senza pietà. Dalla tossicità dei dataset coloniali alle impalcature epistemiche dei modelli di linguaggio, AI & Conflicts Vol. 02 scava tra le pieghe della macchina come farebbe un restauratore digitale in un museo d’avanguardia: rivelando le fratture, non levigandole.

La parola chiave qui è “conflitto”. Non come incidente, ma come metodo. Il libro non chiede consenso, chiede resistenza. Non cerca soluzioni, ma strumenti critici. È un manifesto frammentato che risponde alla Silicon Valley con il suo stesso linguaggio – ma tradotto, destrutturato, ri-significato. È l’arte che si fa guerriglia semantica, il pensiero che si sporca le mani con i log file e le API. E se qualcuno ancora pensa che la teoria sia morta, forse non ha mai letto una riflessione che menziona dataset, femminismo e glitch estetici nello stesso paragrafo.

Poi, alle 20:00, arriva la detonazione sensoriale:

DATALAKE:CONTINGENCY, performance audiovisiva di Franz Rosati, artista internazionale e vincitore dell’APA Prize. Dimenticate le visuals da screensaver per start-up, qui si entra nel cuore pulsante del rumore algoritmico. È un attacco sinestetico in piena regola: dati che fluiscono, ambienti generativi che collassano su sé stessi, suoni che non accompagnano ma disturbano. Rosati non crea “esperienze immersive”, costruisce trappole percettive in cui l’AI si mostra nella sua forma più viscerale: non come assistente, ma come entità autonoma, ipnotica, ambigua. È il MoMA versione dark: meno storytelling, più attrito.

L’intero evento sembra più un’infiltrazione che una presentazione. Una cellula critica che si muove sotto pelle nella città eterna, come se Roma potesse diventare improvvisamente Berlino Est in una notte del 2025. E non è una metafora: qui si parla di resistenza vera. Alla logica della standardizzazione generativa, alla trasformazione dell’immaginazione in prodotto, al mantra che dice che tutto può essere ottimizzato. Anche l’arte, anche il pensiero. Peccato che l’ottimizzazione sia la morte della differenza.

Perché sì, l’AI è diventata ovunque. Ma la sua ubiquità non è neutralità: è egemonia. Se il machine learning è il nuovo colonialismo, allora servono contro-narrazioni. E questo libro lo è. Ogni pagina è un controcampo, ogni concetto una mina semantica pronta a far esplodere il discorso dominante. È un libro che non vuole spiegare l’AI, ma farvela sentire addosso come una seconda pelle sintetica e scomoda.

Chi cerca una celebrazione del progresso può restare su LinkedIn. Questo è un evento per chi ha ancora il coraggio di porre domande disturbanti, per chi non si fida della trasparenza dichiarata, per chi intuisce che dietro la patina futurista si nasconde un nuovo ordine simbolico che ha bisogno di essere decifrato, e poi sabotato.

Roma, almeno per una sera, si trasforma in laboratorio critico. E tra le crepe del calcestruzzo culturale italiano, filtra un’intelligenza diversa. Non artificiale. Situata, incarnata, disobbediente. Come dovrebbe essere ogni macchina degna del suo nome.