Jensen Huang non è un tipo che spreca parole. Quando afferma che l’impatto dell’intelligenza artificiale applicata alla scienza sarà immensamente più grande di quello sui compiti umani, non sta lanciando uno slogan motivazionale, sta mettendo in chiaro chi guiderà la prossima corsa all’oro tecnologica. Gli esseri umani hanno creato linguaggi per descrivere se stessi, e l’AI li ha già decifrati con una facilità imbarazzante. Ma la biologia non parla la nostra lingua, parla quella di miliardi di anni di evoluzione cieca e caotica. Ed è proprio qui che Huang, con il suo classico sorriso da visionario pragmatico, ci fa notare che stiamo entrando in un territorio dove l’AI dovrà imparare non a tradurre, ma a interpretare il significato della vita stessa.

Non è un caso che proprio dalla Cina arrivino i segnali più forti di questa rivoluzione. Alibaba Cloud e la sua Damo Academy stanno spingendo sull’AI scientifica come se fosse la nuova via della seta digitale. E non lo fanno per moda. Quando sviluppi un algoritmo che individua i segni precoci di un tumore gastrico con maggiore precisione dei radiologi umani e senza l’arroganza del “secondo parere”, non stai solo costruendo un prodotto, stai ridefinendo cosa significa essere medico. Huang ha ragione: la biologia è molto più difficile da “manipolare” perché non è stata progettata per noi. Ma la promessa è irresistibile. Capire le proteine, decifrare i segnali chimici, riscrivere le regole cellulari. E, certo, vendere più chip nel processo.

La parola chiave qui è AI per la scienza. E non stiamo parlando della solita narrazione occidentale dove DeepMind con AlphaFold gioca a fare Dio predicendo strutture proteiche. In Asia, l’approccio è più pragmatico, più aggressivo. Il recente IntFold di IntelliGen AI ha osato sfidare AlphaFold 3, mentre ByteDance con Protenix e Baidu con HelixFold 3 stanno trasformando l’analisi biomolecolare in una gara da Gran Premio. La battaglia non è solo accademica, è commerciale. Chi controlla la predizione delle proteine controllerà la prossima generazione di farmaci, e chi controlla i farmaci controllerà la longevità. Huang lo dice apertamente: “AI for science is where we will make the greatest impact”. La scienza è il nuovo territorio da colonizzare e chi non lo capisce è già fuori gioco.

Quello che rende tutto ancora più interessante è la componente hardware. Perché, inutile girarci intorno, senza potenza di calcolo non si arriva da nessuna parte. Ed ecco che la storia dell’H20 di Nvidia diventa molto più che un semplice aggiornamento di mercato. L’AI per la scienza è assetata di chip e la Cina è affamata. L’approvazione alla vendita degli H20, nonostante siano una versione annacquata degli H200, è un compromesso geopolitico mascherato da decisione commerciale. Huang, sempre attento a non inimicarsi nessuno, ha definito Huawei “una compagnia tecnologica incredibile” e ha liquidato chi la sottovaluta come “profondamente ingenuo”. Tradotto: Nvidia venderà alla Cina tutto quello che può vendere, entro i limiti imposti da Washington. E se nel frattempo qualche start-up cinese riesce a battere DeepMind, pazienza, l’importante è che girino i chip Nvidia.

Il mercato lo conferma. TrendForce prevede che la quota di chip stranieri nel mercato AI cinese salirà al 49 per cento quest’anno, segno che la sete di potenza di calcolo è più forte del nazionalismo tecnologico. Tencent, che sviluppa il suo Yuanbao ma non si fida abbastanza da non comprare H20 a palate, ha già speso miliardi di yuan per garantirsi le scorte necessarie. ByteDance vende potenza computazionale come fosse petrolio, e la corsa ai server è più frenetica di quella all’oro in California. Chi crede che l’AI sia solo software non ha ancora capito che la vera guerra è sull’hardware.

Eppure il vero punto non è se la Cina riuscirà a superare l’Occidente, ma come l’AI cambierà la scienza stessa. Perché quando un algoritmo inizia a scoprire correlazioni tra strutture proteiche e malattie che nessun umano aveva mai ipotizzato, la linea tra ricerca e creazione si assottiglia pericolosamente. Stiamo ancora parlando di scienza o stiamo delegando all’AI la riscrittura della biologia? È un dettaglio che a Huang probabilmente interessa poco, finché la domanda di GPU continua a crescere. Ma per il resto del mondo, questa non è una nota a piè di pagina. È la questione etica più grande dei prossimi dieci anni.

Il paradosso è che la stessa tecnologia che ci promette di vivere più a lungo ci ricorda quanto siamo irrilevanti. Se le macchine possono “capire il significato della vita” meglio di noi, il nostro ruolo nel grande schema dell’evoluzione potrebbe ridursi a spettatori. Eppure continuiamo a sorridere, a investire, a fare code per comprare chip che alimenteranno algoritmi che, un giorno, potrebbero decidere che il nostro significato è trascurabile. Ma tranquilli, ci penserà Nvidia a venderci la prossima generazione di GPU per decifrare l’immortalità.