Ci voleva la Prof.ssa Carrozza, a Montecitorio, per ricordare (IA e Parlamento) che i robot non sono più giocattoli da laboratorio e che la visione di Elon Musk, con i suoi Optimus firmati Tesla, è ormai solo un pezzo del puzzle. Ma la vera partita non si gioca in California, bensì a Shenzhen, dove un umanoide ha appena compiuto un gesto che vale più di mille slogan: ha cambiato la propria batteria, da solo, senza un dito umano a intervenire. Il Walker S2 di UBTech Robotics non è un prototipo goffo da fiera tecnologica, è un lavoratore instancabile che può teoricamente funzionare 24 ore su 24. Tre minuti per sostituire l’energia vitale, batterie che si inseriscono come chiavette USB e un algoritmo di gestione dell’autonomia che decide quando e come effettuare il cambio. Sembra banale? Non lo è. È la differenza tra un robot da esposizione e un asset industriale che può sostituire interi turni umani senza interruzioni.

Chiunque si ostini a credere che la leadership tecnologica sia ancora appannaggio degli Stati Uniti dovrebbe rileggersi l’ultimo rapporto Moody’s che parla senza mezzi termini di “Cina come potenza emergente nella robotica”, grazie a una combinazione esplosiva di intelligenza artificiale avanzata e costi di produzione ridicoli per gli standard occidentali. Morgan Stanley rincara la dose: più della metà delle aziende quotate che sviluppano umanoidi sono cinesi. E non si parla solo di start-up, ma di colossi che attraggono i migliori fondi di venture capital globali, tanto che l’IPO di UBTech a Hong Kong nel 2023 è stata solo l’inizio di un’ondata di capitali orientati al controllo di un settore strategico. Gli americani, con Musk in testa, possono continuare a twittare sulle meraviglie future degli Optimus, ma sei aziende cinesi si sono già poste l’obiettivo di produrre più di mille unità all’anno, e questo senza aspettare l’approvazione di Wall Street.

A Shenzhen, la capitale invisibile dell’innovazione, più di 1.600 aziende lavorano nel settore robotico, trasformando la città in un laboratorio vivente. Un esempio che rasenta il surreale, ma che in realtà è già business: robot che prendono la metropolitana per rifornire i 7-Eleven direttamente nei tunnel delle stazioni. Per chi ride di queste applicazioni “triviali”, la risposta è semplice: la robotica vincente è quella che genera cash flow, non quella che compare sui TED Talks. Una volta risolti problemi di autonomia e manutenzione, un Walker S2 può diventare il nuovo operaio universale. Non ha sindacati, non chiede ferie, non ha orari e, soprattutto, non si ammala.

Chi si preoccupa della sicurezza dei posti di lavoro farebbe meglio a rassegnarsi. La Cina non si limita a produrre umanoidi da fabbrica, ma sta investendo in nicchie più redditizie, come la silver economy. RT HealthTech, ad esempio, sta portando sul mercato supporti articolari gonfiabili che fungono da muscoli artificiali per anziani e atleti in riabilitazione. È lo stesso ecosistema che nel 2012 ha generato la “Hand of Hope”, oggi usata in 15 mercati per la riabilitazione post-ictus. E il futuro prossimo parla di interfacce cervello-computer, come quelle di Hopebotics, che amplificano i segnali neurali e li trasformano in movimenti, riattivando percorsi nervosi danneggiati. È qui che si gioca la partita vera: l’ibridazione tra intelligenza artificiale e corpo umano, un mercato in cui il prezzo per dispositivo arriva a 50.000 dollari e i margini sono ben più interessanti dei robot da linea di produzione.

Il punto più disturbante, per chi ancora pensa che questa sia scienza lontana, è che la Cina sta creando una filiera completa. La robotica non è più confinata ai laboratori universitari, ma spinta da un ecosistema che incentiva professori e ricercatori a fondare start-up, a brevettare e a scalare con capitali privati. La pressione arriva anche dai ranking universitari internazionali, dove oggi conta l’impatto sociale più della pura ricerca teorica. Mentre in Europa ci si perde in discussioni etiche e commissioni di esperti, a Shenzhen un algoritmo decide se una batteria è scarica e un umanoide si mette in coda per ricaricarsi da solo. Non c’è morale in questa storia, c’è solo efficienza.

E mentre l’Occidente continua a sbandierare la necessità di “controllare” lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, la Cina ha già capito che chi controlla la robotica umanoide controllerà anche l’economia dei servizi, della logistica e della sanità. Un umanoide che cambia la propria batteria non è solo un gadget, è un simbolo. È la dichiarazione di indipendenza delle macchine, il segnale che l’autonomia non è più una promessa, ma un prodotto industriale. Il resto è solo propaganda, e Musk lo sa bene. Forse per questo il vero futuro dell’intelligenza artificiale non si scrive più nella Silicon Valley, ma nelle fabbriche elettriche di BYD, Nio e Zeekr, dove robot come il Walker S2 stanno già lavorando accanto agli umani, senza chiedere permesso.