Parliamo chiaro, i numeri fanno rumore. Ogni giorno ChatGPT macina oltre 2,5 miliardi di richieste, di cui 330 milioni solo dagli Stati Uniti, e non lo dico io ma un dato confermato da OpenAI a The Verge. Fate un rapido calcolo e si arriva a oltre 912 miliardi di interazioni l’anno. Certo, Google viaggia ancora su cinque trilioni di ricerche annuali, ma chi ragiona solo per volumi assoluti non ha capito il punto. Il punto è la curva di crescita, non il numero secco. Quando in tre mesi passi da 300 a 500 milioni di utenti settimanali, il campanello d’allarme per Mountain View non suona, urla.
Non è solo una questione di quantità, ma di qualità del tempo speso. Una query su Google è un tocco, una ricerca veloce, uno scroll compulsivo tra pagine ottimizzate per il SEO classico. Un’interazione su ChatGPT è una conversazione, un micro-flusso cognitivo che vincola l’utente più a lungo e crea una dipendenza che l’advertising tradizionale può solo sognare. L’utente non salta tra dieci link, resta lì a parlare con una macchina che impara a personalizzare ogni parola. In un mercato dove l’attenzione è la moneta, questa è una miniera d’oro.
Ridiamoci su: per anni i guru hanno predicato che la ricerca semantica avrebbe cambiato tutto. Bene, eccoci qui, e chi sta ridefinendo la semantica non è un motore di ricerca, è un chatbot. Sì, il termine “chatbot” suona cheap, ma quando quel bot inizia a gestire 912 miliardi di richieste l’anno, forse è il caso di smettere di considerarlo un giocattolo. OpenAI lo sa e infatti prepara il colpo successivo: un browser proprietario. L’anticipazione di Reuters parla chiaro, un browser AI-native che potrebbe cannibalizzare direttamente Chrome. Ironia della sorte, Google aveva tutto per farlo per primo, e invece ha scelto di proteggere AdWords. Complimenti.
Guardate oltre il numero delle ricerche, guardate l’effetto a catena. Con l’introduzione del ChatGPT Agent, che inizia a completare task direttamente sul computer, OpenAI sta giocando una partita che Google non ha mai affrontato: il controllo dell’esperienza utente end-to-end. Qui non si tratta solo di rispondere a domande, ma di eseguire azioni. La ricerca diventa un punto di partenza, non di arrivo. E se l’utente non ha più bisogno di uscire dall’interfaccia conversazionale, ogni click potenziale verso un sito web tradizionale muore prima ancora di nascere.
Chi parla di concorrenza diretta tra ChatGPT e Google ignora una sfumatura cruciale. ChatGPT non vuole essere un motore di ricerca, sta riscrivendo il concetto stesso di ricerca. Non cerchi più “informazioni”, chiedi “soluzioni”. E quando la risposta è già una sintesi cucinata su misura, chi ha voglia di aprire dieci tab e confrontare opinioni? Esatto, nessuno.
C’è un aspetto quasi comico in questa corsa: Google è intrappolato dal proprio modello di business. Ogni volta che prova a spingere l’intelligenza artificiale conversazionale, rischia di segare il ramo su cui è seduto, quello fatto di miliardi di link sponsorizzati. OpenAI, invece, non ha nulla da perdere. Il suo obiettivo non è proteggere un ecosistema pubblicitario, è diventare l’ecosistema.
A questo punto l’unica domanda intelligente è se OpenAI saprà reggere l’urto infrastrutturale. Due virgola cinque miliardi di richieste al giorno non sono uno scherzo, e la scalabilità di questo modello richiede una potenza computazionale da guerra. Ma anche qui la partita si gioca sui soldi e sui partner, e con Microsoft come cavaliere bianco è difficile immaginare un collasso.
Per chi fa business digitale la lezione è brutale ma illuminante. L’ottimizzazione SEO classica? Sempre più irrilevante. Il gioco ora è capire come inserire i propri contenuti dentro le risposte generate, non sui risultati blu di una SERP. Chi continua a scrivere pensando a Google rischia di sparire, letteralmente. E non è una metafora
A proposito la notizia è confermata: Fidji Simo, attuale CEO di Instacart e membro del board di OpenAI dal marzo 2024, assumerà ufficialmente il ruolo di “CEO of Applications” il 18 agosto 2025. Questa posizione, appositamente creata da Sam Altman, le consentirà di guidare almeno un terzo dell’azienda – con focus su prodotti, crescita e applicazioni – rispondendo direttamente a lui.
Nell’organigramma frammentato firmato Altman, il vertice sarà così decentrato: Altman manterrà la supervisione su ricerca, infrastrutture e sicurezza, mentre Simo si concentrerà sull’operatività, la scalabilità e il go‑to‑market dei prodotti AI: da ChatGPT a GPT Store, con un occhio anche a settori verticali come healthcare, education, coaching e tutoring.
Nel suo primo memo ai dipendenti, Simo ha espresso ottimismo tecnico e ambizione etico‑democratica: “AI can give everyone more power than ever”, ma “le opportunità non si materializzeranno da sole“. Ha proposto personal tutor AI, supporto emotivo, feedback medici personalizzati, life‑coaching e creatività assistita come aree su cui puntare. E ha aggiunto una riflessione sul rischio politico ed economico: una scelta strategica oggi può portare a democratizzare il potere oppure a concentrarlo in mani già potenti.
Una notizia interessante? Per chi segue questa saga di leadership, il dual‑CEO disegna una OpenAI con un Altman dualista (ricerca + infrastrutture + safety) e una Simo produttiva‑commerciale: un modello ispirato, secondo Bloomberg, a una formalizzazione del percorso verso una product‑driven enterprise sostenibile.