Il tempo sembra sospeso mentre ci chiediamo dove sta portando Giorgia Meloni l’Europa. Non c’è titolo altisonante né mantra rassicurante, solo un mix di nazionalismo popolare, retorica incarnita e pragmatismo atlantico. L’Italia, prima donna premier, è volata sulle montagne russe delle aspettative: da presunta minaccia europea a possibile architetto di una nuova sintesi politica continentale. È un paradosso storico: nel Paese che unì il Risorgimento e poi generò il mostro fascista, oggi cresce una leadership che afferma esplicitamente di voler “ricostruire la nostra identità, il nostro orgoglio” senza però rinnegare alleanze NATO o l’Aiuto all’Ucraina.

Chi tira i fili di questa metamorfosi? Giorgia Meloni ha riunito sotto l’etichetta Fratelli d’Italia un insieme di patrioti e moderati ex nostalgici della destra dura, nuovi democratici conservatori, populisti ragionati. Suggeriscono i suoi sostenitori che questo “pop nazionalismo nativo‑estremista” può essere canalizzato nel sistema democratico, trasformando un corridoio di estrema destra in un canale istituzionale. I detrattori, però, vedono l’anticamera di una deriva autoritaria lobata, con passi misurati per erodere lo stato di diritto.

Il risultato? Una leader abilmente sfuggente sui confini ideologici talvolta dura sull’immigrazione, altre volte conciliatrice su Bruxelles. A marzo ha criticato l’iniziativa Readiness 2030, denunciandola come colpo alla sovranità italiana, costringendo la Commissione a rinominare il piano. Ma senza mai sfasciare l’Europa: continua a sostenere la NATO, l’Ucraina, e a discutere con la Casa Bianca su tariffe e difesa comune.

L’Europa reale non è più quella delle rigoriste élites di Parigi e Berlino. È un continente alla ricerca di rottamatori: disorientata sul futuro energetico, assediata dalle crisi identitarie, divisa sulla difesa comune. Meloni però occupa un varco strategico: lei dialoga con Trump e Musk, critica Bruxelles ma non la sfida frontalmente, costruisce ponti senza mai chiudere la porta occidentale.

L’articolo di TIME “Where Giorgia Meloni Is Leading Europe” descrive proprio questo equilibrio magmatico: nazionalista ma alleata, nativa di destra ma con sguardo pro‑atlantico.

E adesso? Da Ovest a Est, da Lisbona a Bucarest, cresce un’ondata conservatrice che vede in lei un modello. In paesi che rifiutano l’establishment tecno‑liberista, la Meloni offre un’alternativa: un’agenda patriottica, sicura, popolare, ma incapsulata in un framework democratico.

Allo stesso tempo, le sirene critiche lanciano allarmi su libertà civili, indipendenza giudiziaria, pluralismo mediatico. È una scommessa: riuscirà a cambiare l’Europa dal cuore istituzionale, oppure finirà per smontarla pezzo per pezzo dall’interno?

Domani l’Europa sarà più italiana? Forse. Ma sarà multiforme, divisa, e più imprevedibile. E tutto passa dalla prossima mossa: Meloni come pilastro del nuovo centro‑destra europeo o semplice comprimaria di un’onda populista transnazionale? Il punto fermo è solo uno: l’Europa non potrà più ignorarla.

Articolo Time Massimo Calabresi