l mondo del vibe coding non è un’altra moda passeggera. Ora che Google ha lanciato Opal in versione beta negli Stati Uniti tramite Google Labs, la battaglia per democratizzare la creazione di app AI è entrata nel vivo

. Finalmente chiunque può descrivere a parole il proprio sogno di app e vederlo materializzarsi in un mini web app funzionante, senza bisogno di scrivere una riga di codice.

Il paradosso è che per anni la promessa del no‑code era solo un miraggio per creativi e marketer. Ora un gigante come Google mette in campo Google Opal, che offre un editor visuale dove ogni fase input, output, generazione è un blocco cliccabile con prompt modificabile. Ogni passaggio può essere tweakato manualmente o espanso tramite la toolbar. Il risultato è un flusso di lavoro visibile e trasparente come un organigramma AI­-driven.

Criticare google non è nelle mie corde, ma è inevitabile notare l’ironia: decenni di silenzi tecnologici per poi rendere sviluppatori anche chi confonde HTML con Hotmail. Opal consente di partire da zero oppure remixare app da una gallery condivisa. Una volta pronto, l’app può essere pubblicata e testata da altri tramite link e account Google.

La semplicità di Opal è contagiosa, e la sua interfaccia punta a un pubblico più ampio rispetto allo studio degli sviluppatori. Google possedeva già AI Studio per dev, ma Opal col visual workflow sembra voler conquistare designer, hobbisti, visionari digitali privi di PhD in informatica.

Dietro a quella che sembra una novità giocosa c’è una strategia ben calibrata: Google intende scontrarsi con Amazon Kiro, Microsoft/Replit, Canva, Figma e startup emergenti come Lovable e Cursor, che da mesi attirano capitali miliardari solo in nome del vibe coding.

Parentesi storica: il termine vibe coding fu coniato da Andrej Karpathy per indicare un paradigma di sviluppo dove l’intento spiega tutto e i dettagli tecnici diventano secondari. Non serve conoscere “lint” o “boilerplate”, serve vibrare il flusso dell’AI e vedere costruire l’app davanti ai tuoi occhi.

In parallelo, Google ha sviluppato altri strumenti affini: Jules, un agente asincrono che gestisce compiti di coding in background, creando pull request e diff da approvare. Offre anche audio‑summaries per farti capire le modifiche mentre bevi il caff. E Gemini CLI, per vibe coding direttamente nel terminale, open source e supportato da Gemini 2.5 Pro: può generare codice, immagini, video usando solo prompt scritti nel terminale.

Se Gemini è il motore, Jupiter con vibe coding è la turbina: Google Cloud pubblica blog che spiegano come usare Gemini 2.5 Pro per costruire server MCP da prompt naturali, facilitando la generazione di codice complesso per protocolli di contesto modello.

Nel frattempo Optimizely spinge Opal AI come agente per il marketing e la content strategy. Non va confuso: non è lo stesso Opal di Google Labs anche se condividono il nome. Opal AI di Optimizely funziona attraverso agenti specializzati (content, sperimentazione, strategia) integrati in flussi di lavoro automatizzati che operano sulle performance dei contenuti e delle campagn. Supporta contenuti, personalizzazione, test A/B, analisi predittive, filtri di brand e altro ancora, il tutto a consumo di crediti Opal nel modello SaaS.

È lampante come il termine Opal sia ormai un brand potente sia per il vibe coding che per l’agenzia AI agentica nel marketing. Il flusso agentico di Optimizely ricorda la produttività di team umani orchestrati al millisecondo: un agente ruolo programmato genera contenuti, un altro configura esperimenti, un terzo analizza i risultati e adatta la strategia. Il tutto con interoperabilità fra agenti e contesti di business reali.

Tornando a Google Opal, i limiti attuali sono geografici e sperimentali: al momento è disponibile solo negli USA tramite Labs, su invito o iscrizione. Nessuna certezza su una data di rilascio globale. Manca una roadmap dettagliata di feature e timeline. Il vero punto interrogativo è se Google intenderà estendere il supporto a lingue diverse dall’inglese e se consentirà usi commerciali o enterprise.

In termini SEO e posizionamento nei risultati generativi di Google Search Generative Experience (SGE), l’articolo punta a emergere sulle query “vibe coding nuovo tool”, “Google Opal beta”, “sviluppo no-code AI app”. Frasi come “Costruisci web app con prompt”, “editor visuale fornisce workflow modificabili”, “condividi le app con link Google” sono vitali nella serp conversazionale.

Curiosità da ditini negli occhi: immagina un blogger che descrive “voglio un’app che suggerisca cocktail basandosi sull’umore dell’utente” e Opal genera crudely un prototipo in minuti. Il passo successivo? Fargli editare il prompt interno per farlo girare su un dataset di ricette. In sostanza: un hack creativo senza firewall cognitivi.

Sottile provocazione. Specchio di riflessione. Google si mette in gioco nel vibe coding, la nuova frontiera del sviluppo no-code, sfidando chi crede che le app le scrivano solo gli ingegneri. L’opportunità per startup e team creativi è chiara: padroneggiare prompt e workflow visivi significa saltare avanti nella curva di innovazione.