L’intelligenza artificiale sta finalmente iniziando a guadagnarsi il diritto di essere chiamata “intelligente” anche nello spazio. Non per qualche filosofia futurista o per l’ennesima applicazione da keynote marketing, ma per qualcosa di infinitamente più concreto: selezionare cosa osservare e, ancora più importante, cosa ignorare. In un’epoca in cui ogni byte trasmesso da un satellite è denaro, tempo e risorsa computazionale, la capacità di “guardare con giudizio” diventa una nuova forma di efficienza operativa.
Benvenuti nell’era del Dynamic Targeting, la tecnologia che insegna ai satelliti a non fotografare le nuvole.Le osservazioni dallo spazio sono sempre state ostaggio dell’imponderabile. Nuvole, nebbie, riflessi, eventi atmosferici: nemici invisibili dell’ottica satellitare che, nella migliore delle ipotesi, producono immagini inutili e, nella peggiore, fanno perdere opportunità critiche.
Circa due terzi delle osservazioni ottiche della superficie terrestre sono compromesse dalle nuvole. Un rapporto che, in qualsiasi altra industria, sarebbe intollerabile. Eppure ci siamo abituati. O meglio, ci eravamo.
Dynamic Targeting nasce proprio per rompere questo schema disfunzionale. Si tratta di un sistema che permette ai satelliti di riconoscere in anticipo se vale la pena scattare una foto oppure no. Per essere precisi, “vede” 500 chilometri avanti rispetto alla sua orbita attuale, analizza le condizioni atmosferiche e decide autonomamente se vale la pena spendere energia, spazio di memoria e potenza di calcolo per catturare l’immagine di quel particolare angolo di pianeta. Se c’è una nuvola, passa oltre. Semplice. Elegante. Brutalmente efficiente.
Questa sofisticazione non è teorica. È in orbita, funziona e ha un nome: CogniSAT-6, un CubeSat grande quanto una valigetta, lanciato nel marzo 2024. Progettato da Open Cosmos, alimentato da un processore AI commerciale sviluppato da Ubotica, e controllato da un algoritmo nato nei laboratori del Jet Propulsion Laboratory della NASA, questo piccolo satellite è più sveglio di quanto suggerirebbe il suo volume ridotto.
Quando deve scattare, inclina la sua camera ottica in avanti di 40-50 gradi per ottenere un’anteprima del territorio da sorvolare. Poi analizza la scena. Se è limpida, cattura. Se è nuvolosa, cancella. Il tutto in meno di 90 secondi, mentre viaggia a 27.000 km/h.
Questa non è solo una curiosità ingegneristica. È un salto concettuale. È la differenza tra osservazione passiva e decisione attiva. Perché ogni immagine salvata è un’immagine processata, archiviata, inviata, interpretata. E ogni immagine inutile è un peso che rallenta l’intera catena del valore dell’osservazione spaziale. Ben Smith, del JPL, lo ha detto in modo pragmatico: “Se puoi essere intelligente su cosa fotografi, allora puoi evitare di salvare dati che nessuno userà mai”. Una banalità che vale milioni.
Ma non è solo questione di evitare le nuvole. L’obiettivo finale è molto più ambizioso. I satelliti, una volta addestrati a ignorare il rumore, possono iniziare a cacciare il segnale. E il segnale, in questo caso, è rappresentato da eventi rari, dinamici, ad alto impatto: incendi boschivi, eruzioni vulcaniche, tempeste severe, anomalie termiche. Tutto ciò che sfugge agli attuali cicli di osservazione passiva potrebbe finalmente essere “inseguito” dallo spazio.
Per esempio, la prossima fase del progetto sarà invertire il paradigma: non evitare le nuvole, ma inseguirle. Più precisamente, inseguire le tempeste. Un satellite in orbita bassa potrà usare la stessa logica del Dynamic Targeting, ma con nuovi algoritmi addestrati a identificare formazioni convettive violente e imprevedibili.
Una volta identificate, il satellite potrà inclinare il radar per “fissare” queste tempeste per alcuni minuti, raccogliendo una quantità di dati attualmente impensabile per eventi così rapidi. Sarebbe come passare da una fotografia casuale a un’osservazione mirata in slow-motion. E se l’algoritmo individua qualcosa di davvero insolito, può passare l’informazione a un altro satellite in formazione per approfondire l’analisi. Coordinamento multi-orbitale in tempo reale.
Il nome di questo progetto successivo è Federated Autonomous MEasurement. Il concetto è tanto semplice quanto devastante: una costellazione di satelliti che si comporta come un branco di predatori intelligenti. Uno scova la preda, un altro la studia, un terzo raccoglie i dati termici, un quarto elabora le immagini e li comunica a terra. Tutto senza intervento umano, tutto in pochi minuti, tutto con logiche di edge computing distribuito nello spazio.
L’ispirazione viene in parte anche dallo spazio profondo. Alcuni dei tecnologi che lavorano al Dynamic Targeting avevano già esplorato approcci simili utilizzando i dati della sonda Rosetta dell’Agenzia Spaziale Europea, impegnata a studiare la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. L’idea era permettere al software di riconoscere autonomamente i getti di particelle emessi dalla cometa e decidere quando e come fotografarli. Una forma primitiva, ma già funzionante, di targeting autonomo applicato al deep space.
Ma mentre le comete sono esotiche, la Terra è caotica. Il vero campo di battaglia è qui. E gli algoritmi di Dynamic Targeting, per essere realmente efficaci, devono essere addestrati su dati imperfetti, rumorosi, incompleti. Devono distinguere tra una nube temporalesca e una coltre innocua. Tra il fumo di un incendio e una formazione di nebbia. Non basta riconoscere. Bisogna capire. E agire.
Questa capacità decisionale è ciò che separa un satellite stupido da uno utile. Non si tratta solo di sensori migliori, ma di logica applicata a monte del flusso dati. Un tempo si credeva che più immagini significasse più conoscenza. Oggi sappiamo che più immagini inutili significa solo più rumore. La selezione intelligente del dato è il nuovo oro nero.Dynamic Targeting non è l’ennesimo aggiornamento incrementale in un catalogo di innovazioni spaziali. È la dimostrazione che possiamo trasferire l’autonomia decisionale nello spazio operativo. È un’anticipazione brutale di cosa significa edge AI orbitale. Ed è anche una lezione per la Terra: processare tutto non è più una strategia sostenibile. È solo una forma costosa di cecità.
La domanda ora è quanto tempo servirà perché questa tecnologia esca dal laboratorio e diventi lo standard operativo delle costellazioni commerciali. Con le nuove mega-costellazioni in orbita bassa, ogni ottimizzazione di banda, energia e tempo di osservazione può significare miliardi.
Ma bisogna essere disposti a lasciare che sia l’intelligenza artificiale, e non più l’uomo, a decidere dove guardare.In un’epoca in cui tutto è visibile ma niente è osservato davvero, il Dynamic Targeting rappresenta una rivincita dell’intenzione sulla casualità. Un algoritmo che sa dire “no” è, paradossalmente, il più umano che ci sia.