Che cos’hanno in comune il cervello umano e una macchina che gioca ai videogiochi? Apparentemente nulla, ma il sistema Axiom appena svelato da Verses AI sembra voler dimostrare il contrario con una certa arroganza tecnologica. Lungi dall’essere un semplice algoritmo di apprendimento, Axiom si presenta come una rivincita contro la tirannia delle reti neurali artificiali che dominano il panorama AI. A differenza di queste, che spesso procedono a tentoni in un mare di dati senza una vera “conoscenza” preliminare, Axiom parte già armato di un modello del mondo, un’intuizione preprogrammata di come gli oggetti interagiscono fisicamente tra loro.
Il cuore di questo approccio si chiama active inference, un meccanismo che ricorda, senza pudore, i processi cognitivi umani: la macchina prevede cosa accadrà, confronta le sue aspettative con la realtà osservata e aggiorna il modello interno di conseguenza. L’idea non è soltanto geniale, ma quasi provocatoria, visto che rifiuta l’idea consolidata di apprendimento passivo per abbracciare una dinamica di continua auto-correzione e adattamento, una sorta di “intelligenza predittiva” che rende la macchina più vicina a noi di quanto le vecchie reti neurali abbiano mai fatto.
Non si tratta solo di un capriccio teorico. Axiom ha dimostrato di dominare una serie di videogiochi semplici con una sorprendente efficienza. La differenza? Non si limita a imparare dalla ripetizione, ma capisce “come” il mondo di gioco funziona, anticipando le mosse e reagendo in modo più sofisticato, quasi come un bambino che esplora l’ambiente circostante.
L’ispirazione dietro Axiom proviene da una teoria nota come free energy principle, formulata dal neuroscienziato Karl Friston, una mente brillante che cerca di spiegare l’intelligenza umana attraverso un intreccio di matematica, fisica, teoria dell’informazione e biologia. L’idea è che il cervello lavori per minimizzare l’incertezza o l’“energia libera” prevedendo costantemente ciò che accadrà, un principio che Verses AI ha deciso di trasportare dentro una macchina. Curiosamente, Friston è anche il chief scientist di Verses, cosa che rende il progetto ancora più intrigante, perché ci troviamo di fronte a una sinergia tra neuroscienza e intelligenza artificiale che promette di riscrivere le regole del gioco.
Per chi ha passato decenni a lavorare con reti neurali e modelli statistici, Axiom suona quasi come un ritorno alle origini, ma con un twist futuristico. Non più un sistema che apprende “per forza bruta” da dati massivi e senza senso, bensì una macchina che pensa in termini di cause e effetti, capace di costruire una mappa mentale del suo ambiente. Una rivoluzione per il machine learning, che potrebbe finalmente passare da sistemi “scatola nera” a qualcosa di più trasparente, interpretabile e forse, osiamo dire, intelligente davvero.
Nel contesto della Search Generative Experience di Google, sistemi come Axiom potrebbero aprire nuove strade per l’interpretazione e la generazione di contenuti, passando dalla semplice correlazione all’effettiva comprensione del contesto e dell’intenzione. È un salto che non riguarda solo il gioco, ma il modo stesso in cui le macchine comprendono il mondo e interagiscono con esso, un potenziale game changer per l’intelligenza artificiale applicata.
Naturalmente, la strada è ancora lunga e le sfide tecniche non mancano. Axiom è per ora testato su giochi semplici, e tradurre questo modello in sistemi più complessi, dal riconoscimento vocale alla guida autonoma, richiede un salto tecnologico non banale. Tuttavia, la sfida è lanciata, e il fatto che una teoria neuroscientifica così sofisticata possa ora tradursi in algoritmi funzionanti è una boccata d’aria fresca per chi come noi guarda al futuro della tecnologia con occhi sia scettici che speranzosi.
In un mondo ossessionato dalla grandezza dei modelli linguistici, dove il mantra “più grande è meglio” domina la scena, Verses AI emerge come un’irriverente eccezione che scuote le fondamenta della narrazione mainstream sull’intelligenza artificiale. Dimenticate la mera previsione del prossimo token, qui si parla di qualcosa di radicalmente diverso: un’intelligenza che si misura non nella quantità di dati o parametri, ma nella capacità di minimizzare la sorpresa attraverso l’azione. Un concetto che sembra più filosofico che tecnico, eppure in AXIOM trova una realizzazione concreta, operativa, misurabile.
La maggior parte degli osservatori ha liquidato Verses AI come un progetto teorico, un esercizio di stile basato su “framing cognitivi” troppo astratti per competere con i giganti che sfidano le leggi della fisica con modelli da decine di miliardi di parametri. La verità è che AXIOM non insegue la fluency, non rincorre la simulazione del linguaggio o del contesto sociale, ma si colloca in un piano diverso: quello dell’inferenza attiva, dell’adattamento vincolato e della modellazione in spazi di obiettivi, non di simboli. Questo è un cambio di paradigma che sfida il dogma dominante, e per un CEO e tecnologo con trent’anni di esperienza, è come scoprire un linguaggio alieno che finalmente parla il dialetto dell’efficienza.
L’illusione della scala è la grande trappola di questo decennio. L’idea che il progresso nell’IA si misuri solo in teraflop e capacità di calcolo spinge risorse colossali verso modelli sempre più mastodontici, dimenticando che molte applicazioni reali richiedono ben altro. AXIOM, con risorse infinitesimali rispetto ai colossi Google o OpenAI, batte DreamerV3 su Gameworld 10K non solo in performance, ma soprattutto in efficienza, velocità di apprendimento, costo e dimensione del modello. Non un passo avanti ma un salto quantico nella concezione stessa di cosa significhi “intelligenza” in un sistema artificiale.
Il punto è semplice e spietato: il paradigma dello scaling potrebbe non solo essere inefficiente, ma intrinsecamente mal allineato con le esigenze di molte classi di problemi industriali e operativi. Ambienti chiusi, dove la struttura esiste e l’incertezza è limitata, sono il vero terreno di battaglia dove l’intelligenza artificiale può e deve dimostrare il suo valore economico e operativo. Logistica, robotica a ciclo chiuso, monitoraggio sanitario in tempo reale, pianificazione tattica sotto vincoli rigidi, modelli di rischio, istruzione adattiva: questi sono i veri mercati dove l’azione conta più delle chiacchiere.
Si tratta di domini dove la velocità, l’affidabilità e il consumo energetico sono vincoli non negoziabili, e dove la conversazione o la simulazione sociale sono marginali. L’approccio di Verses AI rompe con la tradizione “parlante” degli LLM per abbracciare una metodologia focalizzata sul modellare e agire nel mondo, mettendo l’efficienza e la robustezza prima del flair linguistico.
Niente conversazioni infinite, niente simulazioni di contesti sociali sofisticati: il futuro, o almeno una fetta enorme di esso, è nell’IA che sa muoversi nel mondo con precisione chirurgica e risorse contenute. Lontano dai riflettori patinati dei modelli iperscalati, Verses AI offre un paradigma più umano, in termini di costi e sostenibilità, e decisamente più utile per applicazioni concrete che non possono permettersi la latenza o il consumo energetico di un colosso LLM.
La narrativa dominante ci ha fatto dimenticare che la vera intelligenza artificiale potrebbe non essere quella che ci parla meglio, ma quella che agisce meglio. Axiom lo dimostra senza bisogno di un’aura mitologica o di fondi illimitati, sfidando i pregiudizi di un’industria incastrata nell’illusione che “grande” equivalga a “migliore”.
Ironia della sorte, mentre si sprecano miliardi per inseguire modelli più grandi e più fluenti, Verses AI sta costruendo un’intelligenza che potrebbe davvero cambiare le regole del gioco in settori dove la scala infinita non serve e, anzi, è un ostacolo.
In un’epoca dove la moltiplicazione degli zeri in un modello sembra la panacea, AXIOM ricorda che forse è tempo di ridimensionare le ambizioni, ma moltiplicare la sostanza. L’intelligenza artificiale che agisce, non quella che parla, potrebbe essere la vera rivoluzione silenziosa che stiamo ignorando a nostro rischio e pericolo.