La scena è questa: il Parlamento discute di una legge delega sui data center e tutti annuiscono, con l’aria di chi finalmente affronta un problema urgente. Gli amministratori locali invocano da anni una normativa autorizzazioni data center chiara e uniforme, e la politica sembra voler rispondere. Sullo sfondo, una pioggia di miliardi: 37 annunciati nel 2024, 10 attesi solo tra 2025 e 2026. Sembra un’operazione chirurgica per far crescere l’economia digitale nazionale. Ma le operazioni chirurgiche, si sa, possono finire con il paziente più in ordine esteticamente ma in mani altrui.

Giulia Pastorella (Azione) lo ammette (intervista su Keybiz) senza giri di parole: l’autarchia digitale è un’illusione infantile. “Se domani Microsoft stacca la spina, viene giù tutto”. In questa frase c’è tutto il realismo di chi sa che i nodi della sovranità tecnologica non si risolvono con bandiere e inni. Ma c’è anche la porta aperta a un rischio meno dichiarato: trasformare l’Italia in un hub infrastrutturale dove l’hardware è locale, ma il potere è remoto. Colonialismo digitale 2.0, con meno cannoni e più fibra ottica.

La legge delega mira a distribuire i data center su tutto il territorio, con un occhio speciale al Sud, ricco di energia rinnovabile e terreni più economici. Buona notizia, se non fosse che la corsa per accaparrarsi i siti migliori la vinceranno quasi certamente gli hyperscaler esteri, forti di capitali infiniti e di supply chain rodate. Quando arriveranno, non porteranno eserciti ma team legali, contratti blindati e tecnologie proprietarie. Sarà difficile per un operatore nazionale competere, e ancora più difficile per un ecosistema locale strappare margini veri.

Gli incentivi fiscali previsti per i nuovi insediamenti aggiungono un retrogusto amaro: premiano chi arriva oggi, non chi ha tenuto in piedi infrastrutture in anni di desertificazione digitale. Pastorella ricorda che nella sua proposta originaria non c’era traccia di benefici fiscali; l’obiettivo era solo semplificare la burocrazia. Ma la politica ha il vizio di infilare zuccherini in ogni testo, e qui il sapore è chiaramente per palati stranieri.

La definizione di data center nell’articolo 2 è volutamente ampia, e questo è un bene: comprende anche i piccoli e gli edge data center, strumenti preziosi per la resilienza e per un modello distribuito di servizi digitali. Ma è un bene solo se questi attori sopravvivono alla competizione. In un mercato iperconcentrato, le definizioni larghe rischiano di essere il biglietto d’ingresso a un’arena dove pochi giocatori globali schiacciano con economie di scala insostenibili per chi non ha la stessa potenza di fuoco.

Poi c’è l’elefante nella stanza: l’energia. I data center divorano elettricità. Nel 2022, 460 TWh a livello globale, pari al 2% della domanda mondiale, e in crescita fino al 4,5% entro il 2026 secondo l’AIE. Terna ha un piano decennale da 23 miliardi per reggere l’urto. Pastorella vede la digitalizzazione come un driver della transizione verde e sostiene che la sostenibilità e l’innovazione siano due lati della stessa medaglia. Ma la storia recente dell’energia europea insegna che le crisi si risolvono male quando si sottovalutano i picchi di domanda. In assenza di una strategia industriale chiara, il rischio è di sottrarre energia a settori manifatturieri ad alto impatto occupazionale per alimentare server farm che creano poche decine di posti di lavoro diretti.

Sul processo legislativo, Pastorella rassicura: la legge delega ha ampio consenso e tempi rapidi per i decreti attuativi. Ma la velocità, in politica, è un’arma a doppio taglio. Può significare efficienza oppure scavalcare il Parlamento nelle decisioni più delicate, affidando la partita a pochi tavoli ristretti. Quando si parla di infrastrutture digitali strategiche, quei tavoli sono affollati di multinazionali con più lobby che scrivanie in Italia.

Il punto non è se la legge delega data center sia inutile; al contrario, è necessaria per dare ordine a un settore che corre più veloce della burocrazia. Il punto è se l’Italia riuscirà a scrivere decreti attuativi che non trasformino il Paese in un dormitorio di server di proprietà altrui. Perché i data center non sono solo capannoni climatizzati: sono il cuore fisico dell’economia dei dati. E chi controlla il cuore, controlla il corpo.


SWOT della legge delega data center e scenari futuri

Forze (Strengths)Debolezze (Weaknesses)
Quadro normativo uniforme per autorizzazioni data centerRischio che benefici fiscali favoriscano solo nuovi operatori esteri
Potenziale distribuzione geografica degli investimenti, inclusi poli nel Sud ItaliaMancanza di garanzie concrete di sovranità digitale
Attrattività per capitali esteri e sviluppo indottoLimitato numero di posti di lavoro diretti dai grandi hyperscaler
Definizione ampia che include anche piccoli ed edge data centerDipendenza da infrastrutture energetiche non ancora pienamente pronte
Opportunità (Opportunities)Minacce (Threats)
Creare un ecosistema digitale misto con operatori locali e internazionaliColonialismo digitale con controllo infrastrutturale da parte di pochi operatori globali
Sviluppare filiera nazionale (raffreddamento, gestione energetica, cloud sovrano)Concentrazione dei profitti all’estero e scarsa ricaduta fiscale
Integrare strategia digitale con piano energetico e nucleareSottrazione di capacità energetica a settori industriali strategici
Posizionarsi come hub europeo di connettività e servizi a bassa latenzaDecreti attuativi lenti o distorti che vanificano gli obiettivi della legge

leggi anche